Forni solari per salvare le foreste in Madagascar
Ogni anno in Madagascar spariscono 200'000 ettari di foresta, conseguenza di un uso intensivo della legna da ardere e del carbone in cucina. Per lottare contro questo fenomeno, un'organizzazione svizzera si è lanciata nella produzione semi-industriale dei forni solari.
Lungo i 1’000 chilometri della Strada nazionale 7, che collega la capitale Antanarivo a Tuléar, principale città del Sud-Ovest, i viaggiatori si trovano immersi in un paesaggio brullo. Nessun bosco in vista. Una manciata di alberi solitari, lontano ricordo di un fertile passato, sembrano attendere un unico destino: tagliati e trasformati in legna da ardere o in carbone, saranno venduti in sacchi sul ciglio della strada, ai taxi collettivi di passaggio.
In 20 anni, un milione di ettari di foresta sarebbero stati distrutti in Madagascar. Il problema del deforestamento e del saccheggio di legno prezioso – in particolare legno di rosa ed ebano – si è accentuato ulteriormente dopo la crisi politica del 2009 e il cambiamento di regime. L’isola conta ormai soltanto il 10% delle sue antiche foreste. A questo ritmo, tra 50 anni la zona boschiva sarà completamente scomparsa.
Un tempo denominata l’isola verde, il Madagascar rischia di trasformarsi in un “secondo Sahel”. La desertificazione, l’erosione del suolo, la carenza d’acqua e la riduzione della biodiversità sono le principali conseguenze di questo deforestamento selvaggio.
Non per il piacere
Quanto alle cause, sono da ricercare soprattutto nella situazione economica e demografica che ha caratterizzato il Madagascar dalla sua indipendenza nel 1960. La popolazione è quadruplicata, passando da 5 a 20 milioni di abitanti, ma il paese non si è sviluppato allo stesso ritmo. Oggi tre malgasci su quattro vivono sotto la soglia della povertà. Bruciare ettari di foresta per far spuntare il riso è un modo come un altro per tentare di sopravvivere.
Di facile accesso e per molto tempo ancora gratuito, il legno è utilizzato soprattutto su larga scala per produrre combustibile domestico. «L’80% della legna serve a cuocere gli alimenti», spiega Otto Frei, coordinatore dell’ONG svizzera ADES, che da dieci anni fabbrica dei forni solari per in Madagascar.
«I malgasci non tagliano i boschi per il piacere di farlo, precisa Otto Frei. Nella regione di Tuléar, dopo tre annate di siccità e il fallimento dell’industria del cotone, numerosi agricoltori hanno scelto di lanciarsi nel commercio del carbone per sopravvivere. Per questo è indispensabile sviluppare altri mezzi di produzione di energia», sostiene Otto Frei.
Occhi puntati verso il sole
A Tuléar, è verso il sole che si sono rivolti gli occhi di Regula Ochsner quando nel 2001 ha dato vita all’associazione ADES. Con 300 giorni l’anno di bel tempo, e un sole che splende come minimo per sei ore al giorno, questa regione è ideale per lo sfruttamento dell’energia solare.
Dalla sua creazione, l’ONG ha già venduto oltre 6’000 forni solari per i nuclei famigliari e gli stabili scolastici. Oggi la produzione ha raggiunto un livello semi-industriale e viene ripartita nelle diverse regioni del paese. Per poter competere con il mercato del legno e del carbone, i forni solari vengono venduti a 35’000 Ariary (circa 15 franchi svizzeri) ossia meno del 20% del loro costo di produzione.
Malgrado il prezzo conveniente, il successo non è garantito. «La cottura è più lenta e gli alimenti sono meno buoni», proclamano in coro le tre cuoche della scuola di Tuléar. L’istituto scolastico è un partner dell’ONG ADES e possiede tre forni scolastici. Ma all’ora di pranzo, quando il sole è allo Zenit, questi forni sono ancora freddi, abbandonati in un angolo. A funzionare sono invece i tre forni a legna nuovi fiammanti. «Ci vuole troppo tempo per preparare da mangiare per 350 bambini con dei forni solari. Inoltre, a ogni nuvola che passa, la cottura è messa in pericolo», affermano queste donne.
Vantaggi a lungo termine
I responsabili di ADES riconoscono il problema: le abitudini culturali costituiscono l’ostacolo principale alla riuscita del progetto. «Per questo seguiamo regolarmente le famiglie che hanno comprato un forno solare. Calcoliamo un 15-20% di fallimenti, spesso dovuti a un cattivo utilizzo», spiega Anatolie Razafindrafeno, dell’ONG ADES. Inoltre la cattura col forno solare dovrebbe alterare meno il gusto degli alimenti naturali. «La gente, però, si è ormai abituata a mangiare cibo troppo cotto», si rammarica Anatolie Razafindrafeno
Il forno solare non permette tuttavia di preparare la ranovola, ottenuta con l’acqua di cottura del riso leggermente bruciacchiato, che accompagna i pasi malgasci tradizionali. E neppure alcuni piatti grigliati a base di carne o pesce. Per rimediare a questa falla, ADES si è lanciata lo scorso anno nella fabbricazione di fornelli più moderni che permettono di ridurre del 50% il consumo di carbone. «Ne abbiamo già venduti 5’000 e non riusciamo a soddisfare la domanda, si rallegra Anatolie Razafindrafeno. Sono soprattutto i piccoli ristoranti a farsi avanti, perché così riescono a risparmiare qualche soldo».
Paradossalmente, la deforestazione crescente è un’alleata dell’organizzazione. Il legno si fa via via più raro e il prezzo del carbone sta esplodendo. Lo scorso anno, un sacco costava 6’000 Ariary (circa 2,5 franchi svizzeri), oggi ne vale 8’000. Il prezzo è salito fino a 15’000 Ariary durante la stagione delle piogge.
Tempo sufficiente?
In questi dieci anni di attività, ADES ha diversificato le sue attività legate all’energia solare, fino a diventare una delle organizzazioni più importanti dell’isola attiva in questo campo. Gli impiegati del centro di Tuléar stanno sviluppando ad esempio un forno solare munito di pannelli fotovoltaici che permetta di sintonizzare la radio o di ricaricare i telefoni portatili. Anche le parabole solari, che permettono di grigliare gli alimenti a 600°C (contro i 150°C di un forno solare), sono particolarmente in voga.
ADES si è fissata come obiettivo di rifornire gran parte della popolazione del Sud del Madagascar entro il 2030. «Non siamo che una piccola goccia d’acqua in mezzo all’oceano, ammette tuttavia Otto Frei. La nostra speranza è quella di fungere da detonatori, ma ci vorranno progetti ben più ambiziosi per poter salvare le foreste malgasce. Avremo abbasta tempo per riuscirci?».
Creata nel 2001, l’Associazione per lo sviluppo dell’energia solare (ADES) produce ogni anno circa 1’000 forni solari e 5’000 fornelli più moderni che permettono di ridurre della metà il consumo di carbone. Impiega un centinaio di collaboratori, nei quattro siti di produzione dell’isola.
I forni solari permettono di raggiungere temperature fino a 150°C, ideali per la cottura di legumi o torte. Sono concepiti con pannelli di cellulosa pressata sui quali viene montato un vetro doppio e un coperchio riflettente. Il contenitore è composto di scarti di stampa metallica, materiale importato in gran parte dalla Svizzera.
Il finanziamento di questi progetti è assicurato in gran parte da donazioni private. Tra due o tre anni, i certificati CO2 ottenuti dalla fondazione svizzera “myclimate”, tra i leader mondiali in materia di compensazione volontaria del carbone, dovrebbe permettere all’organizzazione di assicurare la sua indipendenza finanziaria. Ogni forno solare permette in effetti di economizzare 2,5 tonnellate di emissioni di CO2 l’anno.
Oltre alla protezione delle foreste e del clima, l’organizzazione ha quale obiettivo la lotta contro la povertà attraverso la creazione di nuovi posti di lavoro.
La fondatrice dell’organizzazione, Regula Ochsner, ha ricevuto lo scorso anno il premio Brandenberger, dotato di 200’000 franchi per il suo impegno nella lotta a difesa delle risorse naturali del pianeta e dell’uso di energia rinnovabile in Madagascar.
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