Gettare ponti per superare i pregiudizi
Troppo spesso cliché e ignoranza dell’altro caratterizzano ancora i rapporti tra Svizzera e Italia. Riuniti questo fine settimana a Bergamo per il loro congresso annuale, gli svizzeri d’Italia e le istituzioni elvetiche nella Penisola possono fungere da tramite per avvicinare le due realtà.
A volte può capitare di leggere sulla stampa italiana articoli dove si parla del canton del ‘Wallis’ o, peggio ancora, del ‘Tessin’. Il fatto che per quasi tutti i nomi dei cantoni svizzeri esista il corrispettivo italiano sfugge a volte ai professionisti dei mass media. Oppure la Svizzera si riassume a banche, cioccolato e orologi. Inversamente non è che le cose vadano poi meglio. L’Italia? Malaffare, burocrazia e, quando la penna è bendisposta, cultura e gastronomia.
Certo, calchiamo un po’ la mano. Comunque, per due paesi che hanno relazioni economiche così importanti, a volte è sconcertante constatare l’ignoranza reciproca che regna.
«Il gap di conoscenza è grande – conferma Bernardino Regazzoni. Questo deficit è presente anche tra i politici. E quando non c’è coscienza dell’importanza dell’altro, ciò è dannoso per lo sviluppo delle relazioni», ci dice l’ambasciatore elvetico in Italia, intervenuto sabato al Congresso del Collegamento svizzero in Italia, organizzato a Bergamo e al quale hanno partecipato oltre 150 espatriati.
Per cercare di ridurre questo ‘gap’, l’ambasciata ha allestito in febbraio, in collaborazione con la rivista Limes, un forum per far dialogare non solo esponenti politici, ma anche responsabili economici, dei media e personalità del mondo della cultura dei due paesi. «Sono stati abbordati temi come la piazza finanziaria, l’industria di rete e la percezione reciproca. L’incontro è stato un successo, sia a livello di partecipazione che di impatto mediatico, ciò che ci ha incoraggiati ad organizzare una seconda edizione, che si terrà nei primi mesi del 2014 a Berna», precisa Regazzoni.
Alla fine del 2012, in Italia vivevano 50’091 cittadini svizzeri, stando alle cifre del Dipartimento federale degli affari esteri. L’Italia è al quarto posto per numero di espatriati svizzeri, dopo Francia, Germania e Stati Uniti.
In Italia esistono oltre cinquanta associazioni, circoli e istituzioni create da svizzeri. A Milano, Bergamo, Roma e Catania vi sono anche delle scuole svizzere.
L’ultimo arrivato è il Circolo svizzero Magna Grecia di Reggio Calabria, fondato nel settembre 2012.
«Ho condiviso l’idea con il console onorario Renato Vitetta e ci siamo resi conto che c’era un interesse potenziale da parte dei circa 150 svizzeri che vivono nella provincia», ci dice il presidente dell’associazione Claudio Coletta.
«Siamo circa ottanta e l’età media si aggira sui 40 anni. Partecipano generalmente persone che vivono da un certo tempo in Calabria, a volte sono svizzeri di prima generazione trasferitisi qui per diversi motivi oppure famiglie miste. Ci sono però anche diversi italiani emigrati in Svizzera e che sono rientrati», aggiunge Coletta.
Scuole svizzere, uno strumento di politica estera
Oltre a queste iniziative ufficiali, un ruolo importante per migliorare la conoscenza reciproca possono svolgerlo però anche gli svizzeri in Italia e le istituzioni svizzere nella Penisola. In primis le scuole elvetiche.
«Trasmettiamo non solo delle conoscenze, ma anche dei valori», sottolinea Elena Legler, presidente della Scuola svizzera di Bergamo, che quest’anno festeggia 120 anni d’esistenza e conta quasi 200 allievi. E soprattutto li si trasmettono non solo a ragazzi di nazionalità svizzeri, ma anche italiani. Un’apertura che in futuro sarà ancora maggiore, poiché la nuova legge sulla presenza della formazione svizzera all’estero non prevede più una proporzione minima di studenti elvetici per beneficiare dei sussidi federali.
«Nei miei tre anni di presenza a Roma, nessun’altra rete si è dimostrata altrettanto efficace delle scuole svizzere. Per anni sono state sottovalutate. Quelle di Napoli o di Firenze, ad esempio, sono state chiuse. Oggi però ci si è resi conto di quanto siano preziose, anche perché non riguardano più solo i giovani svizzeri, ma sono il luogo di scolarizzazione di parte della classe dirigente italiana. Queste scuole sono diventate uno strumento di politica estera», osserva Bernardino Regazzoni. .
Circoli e associazioni
Questo ruolo di ponte tra i due paesi possono in parte svolgerlo anche i vari circoli e associazioni di espatriati. Un ruolo che a Berna comincia a essere capito, sostiene Jacques-Simon Eggly, presidente dell’Organizzazione degli svizzeri all’estero.
«In un mondo globalizzato, queste associazioni permettono di difendere le nostre origini e quindi i nostri valori», sottolinea Irène Beutler-Fauguel, presidente del Collegamento svizzero in Italia.
«Quando discuto coi miei coetanei italiani, l’immagine che hanno della Svizzera si riassume ai suoi paesaggi, agli orologi, ai soldi e al cioccolato. Io parlo loro di qualcos’altro: di pluralità, di democrazia, dello spazio dato ai giovani, che spesso manca in Italia», ci dice Bianca Rubino, una ragazza svizzera di 24 anni che abita a Trapani.
«Per poter dialogare, è fondamentale non chiudersi in se stessi, ma aprirsi, anche a persone che non sono di nazionalità svizzera, e far conoscere questi valori. Il nostro è appunto un ruolo di ponte», osserva la presidente del Collegamento svizzero in Italia. In questo senso, i circoli accolgono sempre più spesso italiani vissuti in Svizzera e rientrati in patria o persone interessate alla Confederazione. E soprattutto è necessario coinvolgere i giovani, una quindicina dei quali erano presenti a Bergamo. Questo è un aspetto che sta particolarmente a cuore a Irène Beutler-Fauguel: «Se riusciamo ad ‘agganciare’ i giovani, riusciamo anche a far vivere le nostre origini. Dobbiamo però lasciare loro spazio».
Un aspetto su cui concordano Bianca Rubino e la sua compagna 18enne Cecilia Döring: «Per avvicinare le nuove generazioni è necessario un approccio diverso. Il nostro obiettivo è di creare un organismo vero e proprio, parallelo al comitato degli adulti, allo scopo di portare delle novità nel quadro di eventi come il congresso», spiegano.
Ma non vi è comunque il rischio, giovani o non giovani, che all’interno di queste associazioni si perpetuino dei cliché, che si trasmetta un’immagine un po’ troppo idilliaca della Svizzera? «Il nostro compito è di trovare la giusta via. Non dobbiamo glorificare la Svizzera, ma neanche denigrarla – risponde Irène Beutler-Fauguel. Il nostro paese non si riassume agli sbandieratori, ma neanche ai conti bancari dove nascondere il denaro».
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