Quelli che hanno preferito non chiedere indennizzi
Le vittime di un collocamento forzato in gioventù avevano tempo fino al 31 marzo per richiedere gli indennizzi a cui hanno diritto. Molte persone hanno però preferito non ritornare su questo passato doloroso.
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Dopo un inizio di carriera nella stampa regionale (scritta e radiofonica) in Romandia, ho raggiunto Radio Svizzera Internazionale nel 2000, durante la transizione da cui è nata swissinfo.ch. Da allora, scrivo e realizzo ogni tanto dei brevi video su ogni tipo di tema, dalla politica all'economia, passando per la cultura e la scienza.
Le autorità si aspettavano dalle 10’000 alle 15’000 richieste. Le cifre si basano su delle stime dato che non esistono né registri né statistiche. Al 30 marzo, però, erano soltanto 7’839 le vittime di misure coercitive a scopo assistenziale ad aver presentato una domanda per ottenere il contributo di solidarietàCollegamento esterno, a cui hanno diritto. Si tratta di una forma di indennizzo di 25’000 franchi a persona.
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I dossier devono ancora essere esaminati dall’Ufficio federale di giustizia (UFG), il quale ha già approvato quasi mille richieste. I primi pagamenti sono stati effettuati all’inizio dell’anno. Negli ultimi mesi, le autorità hanno fatto tutto il possibile per informare le persone che non erano ancora al corrente di tale possibilità, ad esempio inviando oltre 10’000 lettere a varie organizzazioni e case di riposo. Lo sforzo ha portato i suoi frutti poiché in marzo sono state registrate quasi 1’800 richieste.
Migliaia di persone non si sono però annunciate. È una decisione che “dobbiamo rispettare”, ha commentato Claudia Scheidegger dell’UFG. “Ci sono vittime che semplicemente non vogliono presentare alcuna domanda. Rifiutano di immergersi nuovamente nella loro storia e non vogliono più raccontarla”, ha spiegato alla televisione pubblica svizzera di lingua tedesca SRF.
Luzius Mader, vice direttore dell’UFG e delegato per le vittime di misure coercitive a scopo assistenzialeCollegamento esterno, ha dal canto suo spiegato al quotidiano Tages-Anzeiger che tra coloro che hanno rinunciato all’indennizzo ci sono persone “che si vergognano della loro storia, che ritengono che non si possa ripagare la sofferenza, che sono fiere di non aver bisogno di questi soldi oppure che non vogliono avere più nulla a che fare con lo Stato”.
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