«Gli orsi vanno trattati con rispetto»
Prima di essere sterminato nel 1904, l'orso ha fatto a lungo parte del paesaggio svizzero. Oggi è tornato ad aggirarsi alle nostre latitudini, non senza qualche difficoltà. Il biologo David Bittner è convinto che una coabitazione tra l'uomo e l'orso sia possibile, anche se a certe condizioni.
David Bittner sa di cosa parla: da anni vive regolarmente a stretto contatto con gli orsi selvatici nel cuore dell’Alaska. Un’esperienza che gli ha permesso di instaurare un rapporto di fiducia con i “suoi” plantigradi e di nutrire un profondo rispetto nei loro confronti.
Felice del loro ritorno in Svizzera, il ricercatore bernese riconosce tuttavia il rischio di un potenziale conflitto. Secondo lui, spetta alla popolazione decidere se intende dare agli orsi una nuova chance oppure no. Intervista.
swissinfo.ch: Da dieci anni trascorre un paio di mesi l’anno in Alaska, solo in mezzo agli orsi. Come è cominciata questa avventura?
David Bittner: Per puro caso. Ho sempre trascorso le miei vacanze fuori dai sentieri battuti, alla ricerca di nuove avventure in paesi lontani. L’Alaska e le sue foreste incontaminate sono sempre state in cima alla mia lista. All’inizio ci andavo per i salmoni, ora per gli orsi.
swissinfo.ch: Da dove nasce la passione per gli orsi?
D.B.: Da incontri occasionali. All’inizio avevo una paura tremenda, naturalmente. Sapevo che dove ci sono i salmoni, ci sono anche gli orsi. E così è stato. Ho avuto due o tre incontri ravvicinati con gli orsi bruni e mi hanno subito conquistato.
swissinfo.ch: Come ha reagito di fronte a questi animali pericolosi?
D.B.: Senza alcuna aggressività, perché bisogna trattare questi animali con il dovuto rispetto. È chiaro che all’inizio non avevo alcuna esperienza e devo ammettere che in più di un’occasione ho avuto molta fortuna. Da allora ho trascorso talmente tanto tempo con gli orsi che ho imparato a comportarmi nel modo giusto.
swissinfo.ch: Col tempo è riuscito a sviluppare quasi un rapporto di fiducia con questi plantigradi. Non ci sono momenti rischiosi?
D.B.: Gli orsi Kodiak sono più grandi dei loro cugini europei. In piedi, sulle zampe posteriori, un maschio può raggiungere i quattro metri e pesare più di 800 chilogrammi.
Ci sono orsi che non conosco. In casi simili bisogna agire con prudenza, evitare di avvicinarsi, restare in disparte. Poi ci sono quelli che tornano ogni anno nella stessa zona in cerca di cibo. Ormai ho imparato a conoscerli ed ho instaurato un rapporto di fiducia.
swissinfo.ch: Come si prova quando ci si trova a pochi metri da questi giganti?
D.B.: Lascio sempre che sia l’orso ad avvicinarsi e mai il contrario. Si sente tranquillo e sa che non gli farò nulla. E poi d’improvviso me lo ritrovo a due metri e poi a uno solo… Ho l’impressione che alcuni orsi vogliano conoscermi meglio, annusarmi, soprattutto quelli giovani.
Per me è estremamente importante evitare di entrare in contatto corporale con gli orsi. È una frontiera simbolica nei confronti di questi animali selvatici.
swissinfo.ch: L’orso bruno ha vissuto in Svizzera per diversi secoli, prima di essere sterminato nel 1904 nella Val S-charl. Dal 2005, sette o otto orsi sono giunti in Engadina dal Trentino. Se ne rallegra?
D.B.: Certo, per me l’orso è simbolo di vita selvaggia, paesaggio vergine e natura intatta. Il fatto che l’orso stia tornando in Svizzera dimostra che c’è stata una riflessione.
Questi animali sono stati messi sotto protezione, quando quasi ovunque venivano sterminati. La popolazione restante, una manciata di orsi, si è installata nel Trentino. E da lì ha lentamente riconquistato lo spazio alpino.
swissinfo.ch: L’ultimo orso giunto in Bassa Engadina (M13) non si è mostrato molto schivo nei confronti della gente. Dopo essere stato travolto da un treno, è tornato per qualche settimana nel Trentino per poi ricomparire nei Grigioni verso fine giugno. Invece nel 2008 JJ3 – un orso definito “problematico e pericoloso” – è stato abbattuto. La convivenza tra l’uomo e l’orso è dunque impossibile in Svizzera ?
D.B.: Francamente non credo. È chiaro che ci sono orsi problematici, come ad esempio M13 o JJ3. In questi casi il rischio che accada qualcosa è grande. Non solo a causa della curiosità di questi animali, ma soprattutto per i nostri comportamenti poco rispettosi nei loro confronti. Quando ad esempio ci avviciniamo troppo perché vogliamo fotografarli ad ogni costo o perfino dar loro da mangiare.
Queste circostanze disastrose creano spesso una dipendenza dell’orso nei confronti dell’uomo e del suo cibo e finiscono sempre con la morte dell’animale. Ma gli orsi attivi di notte, che evitano il contatto con gli esseri umani, hanno un futuro anche alle nostre latitudini.
swissinfo.ch: La Svizzera non è troppo piccola e troppo popolata per garantire uno spazio vitale all’orso?
D.B.: Naturalmente, il nostro paesaggio è coltivato e le zone selvagge non esistono praticamente più. Eppure ci sono ancora regioni naturali intatte, soprattutto nei Grigioni, in Ticino e nel Vallese. Ci sarebbe sufficiente spazio vitale per alcuni predatori, o per una piccola popolazione autosufficiente.
swissinfo.ch: Cosa bisognerebbe fare per garantire all’orso uno spazio vitale in Svizzera e tenerlo lontano dalle zone abitate?
D.B.: La cosa più importante è che spetta a noi decidere se vogliamo dare una chance all’orso oppure no. Se la maggior parte della popolazione accetta la presenza di questo animale, soprattutto le persone coinvolte da vicino, allora la convivenza è possibile.
Ma bisogna prevedere anche delle misure di protezione appropriate delle greggi, come i cani, le recinzioni elettriche – soprattutto per il piccolo bestiame e le api – e la copertura dei rifiuti negli agglomerati.
Ci vorrà però ancora del tempo prima che la prima femmina trovi la strada per la Svizzera e che i suoi cuccioli si ambientino. Per il momento il fenomeno si limiterà a brevi visite di giovani maschi solitari.
Nato nel 1977 a Berna, David Bittner ha un dottorato in biologia conseguito all’università di Berna.
Dal 2002 viaggia regolarmente in Alaska per osservare gli orsi bruni Kodiak.
Grazie a questa esperienza, nel 2007 coproduce con Jean-Luc Bodmer il documentario “Unter Bären – Leben mit wilden Grizzlies in Alaska”.
Nel 2009 dopo viene pubblicato il suo primo libro “Der Bär – Zwischen Wildnis und Kulturlandschaft”. Lo stesso anno, Animal Planet e Discovery Channel gli dedicano un film.
Nel 2010 il Museo di storia naturale di Berna consacra un’esposizione al suo lavoro e gli conferisce un premio speciale per la ricerca ambientale.
Attualmente lavora come collaboratore scientifico per l’università di Berna e l’Istituto svizzero di ricerca nel campo dell’acqua (eawag).
Ogni anno sulle montagne svizzere vengono alpeggiate 250’000 pecore e 20’000 capre circa.
La riapparizione dei grandi predatori – lupo e lince in primis – ha spinto allevatori, contadini e associazioni a difesa degli animali e del paesaggio a elaborare una serie di misure per proteggere le greggi.
L’uso di cani è stato progressivamente reintrodotto e attualmente ve ne sono 140 dispiegati nelle zone più a rischio, come Vallese e Grigioni. Anche l’asino si è rilevato molto utile contro le linci e i cani randagi.
Il bestiame viene inoltre tutelato con recinzioni elettriche e lampade lampeggianti.
Negli ultimi anni, durante il pascolo estivo, sono stati registrati soltanto pochi attacchi alle pecore.
(Traduzione dal tedesco, Stefania Summermatter)
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