Heidi nel paese del drago tonante
Bumthang è la regione in cui ha preso avvio la cooperazione elvetica in Bhutan. Da luogo desolato e remoto, il capoluogo del distretto è diventato un centro dinamico, meta di numerosi turisti. Reportage dalla "Svizzera dell'Himalaya".
L’odore è inconfondibile: raclette. Un gruppo di turiste americane sta assaggiando per la prima volta la tradizionale specialità svizzera a base di formaggio. «Not bad, not bad».
Nel piccolo ristorante dal soffitto di travi spicca un grosso campanaccio appeso sopra al bancone. Non suonate la campana fino a quando non siete sicuri di voler pagare un giro a tutti, avverte un messaggio.
Sedie e tavoli di legno, tovaglie a quadretti e fotografie dell’altopiano elvetico. Si direbbe un tipico rifugio alpino, se non fosse per il gho, il tradizionale abito bhutanese indossato dal cameriere. A guardar bene, nemmeno il menù di carne è tipico svizzero: yak invece del manzo.
Più facile vedere lo yeti
La Swiss Guest House di Jakar, nel distretto di Bumthang, non è soltanto un ritrovo amichevole per i visitatori alla scoperta delle regioni centrali del Bhutan. È anche un pezzo di storia di questa valle immersa nel verde.
Del suo proprietario però, lo svizzero Fritz Maurer, nemmeno l’ombra. Abita sulle montagne e non ama stare in mezzo alla gente, ci dice un suo conoscente. «È più facile incontrare lo yeti di Fritz Maurer».
A dispetto della sua riservatezza, Fritz Maurer – amico della famiglia reale – gode di ampia stima. Non soltanto a Jakar, ma in tutto il Bhutan. Perché tanta popolarità? È stato tra i primi svizzeri a venire in Bhutan alla fine degli anni ’60, spiega Nado Dukpa dell’associazione di aiuto allo sviluppo Helvetas.
Anche grazie alle iniziative del bernese, prima con Helvetas e poi in quanto imprenditore privato, «Bumthang non è più un luogo in cui nessuno vuole vivere».
A piedi nudi sulla neve
Inviato in Bhutan per un anno, il mastro casaro di Schwarzenburg si è sentito a suo agio in questa regione che tanto ricorda le Alpi svizzere. Al punto che non è più ripartito.
Maurer è stato all’origine di numerosi progetti, dall’introduzione di nuove colture allo sfruttamento sostenibile delle foreste. Le mucche svizzere importate in Bhutan, le “Brown Swiss”, si sono dimostrate più resistenti alle malattie e più produttive delle razze locali.
Tutte le mattine il latte viene portato al caseificio di Jakar, dove Sonam Dorji e i suoi assistenti lo trasformano in burro e formaggio. «Abbiamo iniziato nel 1986 col sostegno di Helvetas. I contadini non sapevano cosa farne del latte in eccedenza», racconta Sonam Dorji. «Il signor Maurer mi ha insegnato a fare il formaggio e ora gli allevatori sono ben felici di poter trarre profitto dalla vendita del latte».
Bhumtang era uno dei distretti più poveri e isolati del Bhutan, ricorda Jampel Ngedup, proprietario di un albergo. «Alla fine degli anni ’70 non c’era alcuna infrastruttura turistica. Il telefono non esisteva e mancava l’elettricità. La gente camminava scalza, anche quando c’era la neve».
Nuovo volto a Zurigo
«Quando abbiamo iniziato i progetti svizzeri nel 1978 – prosegue Jampel Ngedup – c’era un certo scetticismo: molti vedevano l’assistenza elvetica come un aiuto temporaneo. Col tempo hanno realizzato che la Svizzera ha invece una visione a lungo termine».
Il programma più riuscito è quello delle patate. «La Svizzera ha introdotto alcune varietà resistenti e ora la patata è una coltura da reddito». Grazie soprattutto ai progetti svizzeri, sottolinea Jampel Ngedup, «ho assistito con i miei occhi alla trasformazione di Bumthang».
Jakar, antica sede reale, è oggi in pieno sviluppo. Nella vallata stanno sorgendo nuovi alberghi e presto verrà terminato un piccolo aeroporto. Nel villaggio si trova (quasi) di tutto: dai prodotti di base agli accessori per telefoni cellulari.
Gli autobus e i camion che transitano da queste parti sono più frequenti, constata Gembo Tensing, proprietario di un negozietto di pezzi di ricambio. Come altri piccoli imprenditori, Gembo ha beneficiato del sostegno e della consulenza della cooperazione svizzera per lanciare la propria attività.
Il suo legame con la Svizzera è però unico. «Da giovane sono stato aggredito da un orso. Me ne stavo disteso senza speranze all’ospedale di Thimphu quando dei medici svizzeri hanno proposto di trasferirmi a Zurigo per ricostruire il mio viso».
Dopo dieci mesi trascorsi in una camera sulle rive della Limmat, Gembo è tornato in Bhutan, si è sposato e ha avuto quattro figli. Nel terribile incidente ha perso la vista, ma questo non gli ha impedito di imparare a conoscere alla perfezione ogni angolo del suo negozio. «A Zurigo ho imparato l’alfabeto braille». Per contare i soldi si fa però aiutare dalla moglie. «Le nostre banconote non sono fatte per i ciechi».
Il fascino del denaro
«Oggi è il tuo giorno fortunato», mi dice il mio accompagnatore, indicandomi un occidentale col grembiule bianco e un berretto di lana in testa. Fritz Maurer è indaffarato ad acquistare le mele dai contadini.
«È una delle iniziative parallele nate dai nostri progetti di aiuto allo sviluppo. La gente non sapeva cosa farsene di così tante mele e così ho iniziato a fare il succo. È il primo succo di mele del Bhutan», ci racconta lo svizzero dal passaporto bhutanese, durante uno dei suoi rari momenti di pausa.
Spiritoso ed estremamente cordiale, Maurer ha vissuto sulla sua pelle l’evoluzione di Bumthang. «La Svizzera da sola non avrebbe ottenuto nulla», osserva con modestia. «Il merito va all’intraprendenza della gente del posto».
«Oggigiorno – si lamenta Maurer – nessuno vuole più imparare i lavori di artigianato o in campagna. I giovani vogliono un’automobile e il cellulare. Anche in Bhutan il denaro gioca un grande ruolo».
D’altronde, prosegue, il paese del “drago tonante” ha dovuto prendere un’importante decisione: rimanere un museo oppure aprirsi al mondo. «Abbiamo scelto una via di mezzo – ci dice prima di congedarsi e ritornare alle sue mele – e direi che tutto sommato ce la stiamo cavando bene».
L’inizio della cooperazione svizzera in Bhutan è legato all’amicizia personale tra il terzo re del Bhutan, Jigme Dorji Wangchuck, e Fritz von Schulthess, imprenditore e uomo d’affari di Zurigo.
I primi progetti di sviluppo sono stati lanciati alla fine degli anni ’60 dalla Fondazione pro Bhutan, creata da von Schulthess; in seguito sono subentrate l’associazione Helvetas e la Direzione dello sviluppo e della cooperazione.
L’azione elvetica si è dapprima concentrata nel distretto di Bumthang (2’400 metri di quota, 20’000 abitanti), una regione all’epoca povera e isolata.
Ai programmi di produzione casearia e di sfruttamento sostenibile delle foreste si sono aggiunti dei progetti in campo agricolo e dell’assistenza medica.
Nel distretto sono inoltre stati creati diversi atelier quali officine di riparazione, falegnamerie e segherie.
La cooperazione svizzera ha successivamente ampliato i suoi progetti in altre zone del Bhutan, sostenendo anche programmi scolastici, di formazione professionale e di miglioramento delle infrastrutture.
Tra gli interventi più riusciti vi è quello dei ponti sospesi: oltre 400 ponti pedonali hanno facilitato il collegamento tra i villaggi più remoti.
Oggigiorno, la cooperazione svizzera si concentra principalmente sul miglioramento del sostentamento rurale, sulla gestione comunitaria delle foreste e sulla promozione del “buon governo” (good governance).
Nonostante il Bhutan non sia più un paese prioritario della DSC, la Svizzera continua a finanziare progetti di aiuto allo sviluppo con circa 5 milioni di franchi all’anno.
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