Il mancato attentatore di Hitler può riposare in pace
Il 9 novembre 1938 lo svizzero Maurice Bavaud tentò di uccidere Hitler a Monaco. Arrestato, fu condannato a morte e ghigliottinato. A 70 anni di distanza, il presidente della Confederazione Pascal Couchepin ha espresso rammarico per il comportamento delle autorità federali.
In una dichiarazione diffusa venerdì, Pascal Couchepin ha deplorato lo scarso sostegno al connazionale giustiziato in Germania: «Sappiamo oggi che le autorità svizzere non perorarono sufficientemente la causa del condannato e non intervennero presso le autorità del Reich».
In Svizzera Maurice Bavaud, nato nel 1916, è infatti rimasto a lungo nell’anonimato. Fino a 10 anni fa, sulla sua casa di Neuchâtel non vi era neppure una targa.
Eppure settant’anni fa questo studente di teologia per poco non riuscì a cambiare il corso della storia. È il nove novembre del 1938. Tra poche ore si scatenerà quella che passerà alla storia come Notte dei cristalli, il primo pogrom in ‘grande stile’ scatenato dai nazisti contro gli ebrei.
Attentato fallito
Il 22enne Maurice Bavaud è a Monaco. È riuscito ad avere un posto nella tribuna d’onore per assistere alla parata di commemorazione del tentativo di colpo di stato nazista del 1923. Adolf Hitler sfila davanti al palco, ma è troppo lontano per essere colpito con la pistola di piccolo calibro che il giovane ha in tasca. Inoltre le braccia tese per il saluto nazista gli ostacolano la vista.
Interpellato da swissinfo, Paul Rechsteiner ha definito «vergognoso» il fatto che sia stato necessario attendere fino ad oggi per vedere tributato a Maurice Bavaud il riconoscimento che gli spetta. Secondo Rechsteiner, il coraggio di Bavaud deve rendere orgogliosi i cittadini elvetici e merita di essere fatto conoscere anche nelle scuole.
A suo parere, il caso di Bavaud ricorda quello di un altro svizzero, Paul Grüniger, condannato per aver fornito documenti falsi a cittadini ebrei – salvando loro la vita – e riabilitato soltanto nel 1995.
Anche Peter Spinatsch, del Comitato Maurice Bavaud, non riesce a nascondere una certa amarezza: «Il fatto che il presidente della Confederazione in persona si sia espresso è sicuramente un segnale importante, ma resta purtroppo la sensazione che la gente non sia realmente fiera di una persona che sacrificato la sua vita per una giusta causa».
Maurice Bavaud non si dà per vinto e i giorni seguenti tenta di avvicinarsi al cancelliere, senza successo. Il 12 novembre, a corto di denaro, cerca di lasciare la Germania. Sul treno per Parigi è però arrestato dalla polizia ferroviaria, poiché è senza biglietto. Bavaud è consegnato alla Gestapo, che ritrova la pistola.
Dopo essere stato condannato a una pena di due mesi e una settimana di carcere per aver viaggiato senza biglietto e non avere il porto d’armi, Bavaud è nuovamente interrogato e questa volta confessa. “L’accusato ha dichiarato di considerare il Führer un pericolo per l’umanità, in particolare per la Svizzera, minacciata nella sua indipendenza. Le ragioni principali che hanno motivato il suo progetto sono però soprattutto legate alla Chiesa, poiché in Germania la Chiesa cattolica sarebbe oppressa. Con il suo gesto voleva rendere un servizio all’umanità e alla Chiesa intera”, si legge nel protocollo del dibattimento processuale del 18 dicembre 1939.
“Intenzioni abominevoli”
La legazione svizzera a Berlino rimane a lungo all’oscuro della faccenda. Il padre, Alfred Bavaud, scrive al consigliere federale Giuseppe Motta, chiedendogli di intervenire.
Ad inizio gennaio, l’ambasciatore elvetico Hans Frölicher informa Berna della sentenza di morte e aggiunge: “Per la legazione è estremamente delicato impegnarsi per ottenere la grazia del condannato”.
In un’ulteriore missiva, il diplomatico elvetico scrive: “Dobbiamo mantenere un certo ritegno, viste le abominevoli intenzioni del condannato; credo quindi che non sia opportuno chiedere di potergli rendere visita”.
Il padre è tenuto all’oscuro di tutto ed è solo in aprile, quando riceve una lettera dal figlio, che viene a conoscenza della condanna a morte.
Il Dipartimento politico federale (affari esteri) valuta la possibilità di uno scambio con un sabotatore tedesco arrestato in Svizzera, ma il Dipartimento militare si oppone. La sorte di Maurice Bavaud è ormai segnata. Il 14 maggio 1941 sale sul patibolo.
Ragion di stato
In Svizzera le autorità vogliono soprattutto mettere a tacere la vicenda: “Non credo di sbagliarmi affermando che la famiglia del defunto non cercherà di approfittare di questo triste caso per attaccare le autorità, ma al contrario si rassegnerà, cosciente della colpevolezza del figlio”, scrive un funzionario.
Nel 1955 un tribunale di Berlino annulla a titolo postumo la sentenza capitale, ma condanna comunque Bavaud a cinque anni di prigione. L’anno successivo, anche questa condanna è cancellata e la famiglia Bavaud riceve 40’000 franchi di risarcimento.
In Svizzera la vicenda cade nell’oblio, almeno sino alla fine degli anni ’70, quando il drammaturgo Rolf Hochhuth lo presenta come un nuovo Guglielmo Tell e Hans Stürm gli consacra un film – “Fa freddo nel Brandeburgo; uccidere Hitler”. Nel 1980 lo storico Klaus Urner relativizza l’immagine eroica di Bavaud, analizzando gli aspetti psicologici della sua personalità e il presunto legame con Marcel Gerbohay, un suo compagno di seminario che lo avrebbe convinto ad essere il suo braccio armato contro Hitler.
Nel 1989 e nel 1998 il Consiglio federale ammette che “il governo svizzero dell’epoca e i suoi rappresentanti non fecero abbastanza per Maurice Bavaud e non furono all’altezza delle loro responsabilità. Egli forse capì prima degli altri gli effetti funesti che Hitler avrebbe avuto sul mondo”.
Un messaggio ribadito ancora più chiaramente da Couchepin dieci anni dopo: «Maurice Bavaud dichiarò di aver tentato di uccidere Hitler perché rappresentava un pericolo per l’umanità, per l’indipendenza della Svizzera e per le chiese cristiane in Germania. Aveva previsto gli eventi funesti cui la dittatura avrebbe portato e merita pertanto di essere ricordato e commemorato».
Nel 1997 il deputato socialista sangallese Paul Rechsteiner ha chiesto al governo svizzero di riabilitare a titolo postumo Maurice Bavaud, riconoscendo ufficialmente il suo atto.
Dopo aver esaminato il dossier, il governo svizzero giunse alla conclusione che le autorità non avevano fatto abbastanza per salvare la sua vita.
In occasione di un simposio organizzato nel 1998, l’allora presidente della Confederazione Flavio Cotti espresse il suo rammarico a nome del governo per “le dolorose manchevolezze dell’amministrazione dell’epoca”.
Non essendoci stato un gesto simbolico forte da parte delle autorità federali, Paul Rechsteiner è tornato alla carica il mese di ottobre di quest’anno, presentando una mozione nella quale invita il governo a rilasciare una dichiarazione in occasione del 70° anniversario del fallito attentato di Maurice Bavaud ad Adolf Hitler.
In conformità con gli standard di JTI
Altri sviluppi: SWI swissinfo.ch certificato dalla Journalism Trust Initiative
Potete trovare una panoramica delle discussioni in corso con i nostri giornalisti qui.
Se volete iniziare una discussione su un argomento sollevato in questo articolo o volete segnalare errori fattuali, inviateci un'e-mail all'indirizzo italian@swissinfo.ch.