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“La società svizzera è solidale, ne sono convinto”

Keystone

In che misura ogni individuo è responsabile per evitare la diffusione di un virus? Il coronavirus pone la società di fronte a questioni morali difficili. Ne abbiamo parlato con Alberto Bondolfi, professore emerito di etica.

swissinfo.ch: Quali sono le questioni che il coronavirus suscita a un esperto di etica?

Alberto Bondolfi: Per l’etica, un’epidemia è una situazione classica, poiché l’etica si occupa da tempo di situazioni catastrofiche. Ciò che rimane difficile da trasmettere, tuttavia, è che in una situazione di catastrofe si applicano standard non intuitivi. Il punto di vista dell’epidemiologia è diverso dalla nostra esperienza quotidiana.

Alberto Bondolfi.
Il teologo ed eticista Alberto Bondolfi è nato in Ticino nel 1946. È stato professore presso le Università di Losanna e Ginevra e membro di numerose commissioni bioetiche, tra cui la Commissione nazionale d’etica nel campo della medicina umana e la Commissione federale per l’Aids. © 2009 Roberto Ackermann – Photo Tornow 1003 Lausanne

swissinfo.ch: Cosa intende dire?

A.B.: Un esempio: la medicina di catastrofe consiglia di trattare prima i casi meno gravi e non quelli più difficili. A prima vista, sembra ingiusto.

swissinfo.ch: Qual è l’idea alla base di tutto questo?

A.B.: Semplicemente di servire di più alla vita umana.

La visione epidemiologica tiene anche d’occhio il modo con il quale una malattia si diffonde nel tempo. Si agisce oggi con un occhio al domani. Mentre il normale riflesso ci impone di comportarci in modo corretto nel presente.

La malattia ha quindi due facce. Le epidemie visibili e ciò che noi, come portatori, portiamo invisibilmente nel futuro.

swissinfo.ch: Questa visione conduce dall’individuo malato all’intero corpo sociale?

A.B.: Sì, esatto.

swissinfo.ch: Quando ora si dice che l’etica ha una certa familiarità con le situazioni di catastrofe, si pensa quasi inevitabilmente alla guerra.

A.B.: Sì, ci sono somiglianze, grandi somiglianze. I sistemi di razionamento garantiscono la giustizia, il mercato nero invece rompe l’ordine. La disobbedienza civile si riscontra anche ora stiamo: giovani che non vogliono rinunciare alle discoteche. Stazioni sciistiche che non volevano chiudere. Tale resistenza nasce nella popolazione perché non tutto è immediatamente ovvio. Ma anche questo è normale in tali situazioni.

swissinfo.ch: Abbiamo bisogno di divieti e regolamenti o di informazioni e persuasione contro tali violazioni dell’ordine?

A.B.: Al momento il Consiglio federale sta giocando la carta della persuasione. Tuttavia, potrebbe perdere la pazienza. Così come il ministro dell’Interno, Alain Berset, ha sottolineato le possibilità di ricorrere al diritto penale di fronte a operatori di impianti di risalita recalcitranti. Ha funzionato.

swissinfo.ch: Quanto considera solidale la società svizzera?

A.B.: Sono convinto che sia fondamentalmente solidale. Finora, per esempio, la società ha messo a tacere tutti i politici che trarre profitto dal coronavirus.

swissinfo.ch: Ma come si fa a coinvolgere le persone se non si ha una visione chiara del futuro?

A.B.: Sono necessari messaggi mirati per i diversi gruppi di persone. I giovani non possono più andare semplicemente nei club, ma anche gli adulti devono limitarsi, non possono più incontrare altre persone. I giovani potrebbero pensare di non essere a rischio. Ma in realtà sono in pericolo o rappresentano un pericolo per altri.

swissinfo.ch: Si potrebbe dire che morire fa parte della vecchiaia. Perché non lasciar morire gli anziani?

A.B.: Vengo da una tradizione che afferma chiaramente: ogni essere umano è un obiettivo in sé. Quindi anche in tempi normali non possiamo semplicemente fare i conti e chiedere quali pazienti ci costano di più. Intuitivamente ed emotivamente non è possibile.

swissinfo.ch: E in tempi straordinari?

A.B.: Al momento la questione non si pone in Svizzera. In Lombardia, dove i reparti di terapia intensiva sono sovraffollati, è diverso. Ma non siamo ancora pronti e ci sono ancora delle riserve.

swissinfo.ch: In una situazione del genere, come si soppesano i danni all’economia e quelli alla salute? Per dirla in un altro modo: le vite vanno salvate anche se intere economie finiscono in crisi? C’è una linea etica che prevale?

A.B.: La mia risposta difficilmente la soddisferà: ho l’impressione che le nostre autorità abbiano un loro scenario e che questo scenario sia realistico. Si prevede una durata di due a tre mesi. Questo permetterebbe al nostro sistema di sopravvivere relativamente bene.

swissinfo.ch: Ma per molti commercianti la situazione è già diventata esistenziale. Anche per loro è una questione di vita o di morte – in senso figurato.

A.B.: La Confederazione ha trovato risposte ai problemi di liquidità, il denaro c’è. Queste misure si basano sul presupposto che sarà possibile sopravvivere nella situazione particolare. La povertà assoluta non è ancora una minaccia in questa ipotesi. Se l’orizzonte fosse di due anni e non di due mesi, le cose sarebbero difficili. Ma anche così ci sarebbero i soldi. L’unico problema da risolvere è che possano di nuovo operare i parlamenti che sono chiamati a legittimare tali sostegni.

Traduzione di Armando Mombelli

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