L’imposta ecclesiastica divide i cattolici svizzeri
Le campagne per abolire l'imposta ecclesiastica a carico delle persone giuridiche hanno innescato un ampio dibattito sul sostegno alla religione da parte dello Stato in Svizzera. Il futuro dell'imposta è diventato un pomo della discordia tra conservatori e liberali nella Chiesa cattolica romana.
In Svizzera, nella maggior parte dei cantoni, è prelevata un’imposta ecclesiastica sul reddito delle persone registrate come membri di Chiese nazionali. In 20 cantoni su 26, sono tassate anche le persone giuridiche, vale a dire essenzialmente le imprese.
Delle sezioni giovanili del Partito liberale radicale (PLR, centro-destra) e dell’Unione democratica di centro (UDC, destra conservatrice) negli ultimi anni si sono mobilitate a livello cantonale per esonerare le aziende dal pagamento di questa imposta. Sostengono che si tratta di “una reliquia del Medioevo” e che indebolisce la capacità competitiva in materia di imposizione delle società dei cantoni in cui vige, soprattutto rispetto ad altri paesi europei. La sua soppressione, affermano, comporterebbe significativi sgravi finanziari per le imprese, con conseguente aumento degli investimenti e dei posti di lavoro.
In tre cantoni sono state lanciate iniziative popolari per esonerare le imprese: in quelli dei Grigioni e di Zurigo sono già riuscite e saranno sottoposte a votazione l’anno prossimo, mentre in quello di Nidvaldo è in corso la raccolta delle firme.
Il Tribunale federale – vale a dire la Corte suprema svizzera – ha ripetutamente stabilito che l’imposta è legale, ricorda a swissinfo.ch René Pahud de Mortanges, professore di diritto presso l’università di Friburgo. Tuttavia, il cambiamento può venire dalle urne, aggiunge il coautore di uno studio sull’imposta ecclesiastica sulle persone giuridiche nei diversi cantoni della Svizzera.
Infatti, l’alta corte “ha anche detto che se l’imposta non sarà più ritenuta opportuna per ragioni politiche, spetterà ai governi cantonali attuare cambiamenti. Le iniziative cantonali per abolirla vanno viste in questo contesto: propongono di modificare la situazione giuridica nei cantoni con mezzi politici”.
Nella maggior parte della Svizzera, i membri registrati delle Chiese riconosciute devono contribuire al loro mantenimento attraverso l’imposta sul reddito. I soldi sono versati alla Chiesa di cui fa parte il contribuente.
Nella maggior parte dei Cantoni, anche le aziende devono pagare l’imposta ecclesiastica: il denaro è distribuito in proporzione al numero dei membri della Chiesa nel cantone. Le aliquote variano da Cantone a Cantone.
Il denaro viene prelevato dallo Stato e amministrato da consigli parrocchiali eletti dai membri locali. Questi organismi sono indipendenti e composti di laici e del clero parrocchiale, che è membro ex officio. I consiglieri eletti sono organizzati in un’assemblea a livello cantonale. Ad ogni assemblea sottopongono il loro bilancio al voto dei membri della Chiesa per l’approvazione.
Con le entrate fiscali in genere si pagano gli stipendi del clero, la manutenzione di edifici di culto e i servizi sociali.
La maggior parte dei Cantoni riconosce le Chiese cattolica e protestante (riformata) ai fini fiscali; alcuni anche la Chiesa cristiana cattolica (una chiesa cattolica separatista) e le sinagoghe ebraiche. Altre confessioni e religioni devono procurarsi da sé i propri fondi.
Le persone che scelgono di non pagare l’imposta ecclesiastica, dichiarando che non appartengono a nessuna Chiesa normalmente non hanno diritto a servizi come battesimo, matrimonio o funerale. Un numero crescente di svizzeri escono dalle Chiese. Questo sviluppo sta già mettendo sotto pressione i loro introiti.
Le Chiese rispondono
Le reazioni delle Chiese, sia cattolica sia protestante, non sono unanimi. Non sorprende che al loro interno molte persone si oppongano. Senza il contributo delle imprese, le Chiese perderebbero una grossa fetta di entrate.
“Ci sono molti compiti che non saremmo più in grado di svolgere”, ha dichiarato Klaus Odermatt, presidente della Chiesa cattolica romana di Nidvaldo, al quotidiano locale Neue Nidwalder Zeitung. “Alcune parrocchie resterebbero senza soldi, perché le entrate fiscali provenienti da persone giuridiche costituiscono la maggior parte del loro finanziamento. Avrebbero difficoltà a coprire i costi quotidiani e a provvedere alla manutenzione di chiese, cappelle, centri parrocchiali e luoghi di incontro. Molti dei servizi sociali e religiosi che forniscono dovrebbe essere ridotti o eliminati, oppure essere assunti dallo Stato”.
Eppure non tutti nella Chiesa cattolica romana sono preoccupati. Secondo Vitus Huonder, vescovo conservatore di Coira – alla cui diocesi appartengono Nidvaldo, Zurigo e Grigioni –, la Chiesa può aspettarsi solidarietà dai fedeli stessi, ma non necessariamente dalle imprese, che nella natura delle cose non hanno una fede o un’anima da salvare.
“Perciò resteremo neutrali nelle prossime campagne per le votazioni”, ha comunicato il portavoce della diocesi Giuseppe Gracia.
Abolizione totale?
L’abolizione dell’imposta ecclesiastica per le persone giuridiche potrebbe però essere la punta dell’iceberg. In altre parole, la sua abolizione per le persone fisiche potrebbe essere il prossimo obiettivo?
“C’è una differenza importante”, sottolinea Pahud de Mortanges. “Le persone giuridiche sono obbligate per legge a pagare l’imposta ecclesiastica se hanno sede nel cantone in questione. Le persone fisiche, invece, possono smettere di pagarla se escono dalla Chiesa”.
“Questo perché la libertà di religione è ancorata nella Costituzione. Così, quando gli individui pagano l’imposta ecclesiastica, lo fanno realmente volontariamente. Un sistema del genere difficilmente può essere contestato dai politici o dal settore privato”.
Una vita dopo le imposte?
Ma le forze conservatrici della Chiesa cattolica romana vorrebbero sopprimere l’intero sistema. Il vicario generale della diocesi di Coira Martin Grichting è un sostenitore dichiarato dell’abolizione. Secondo l’esperto di diritto canonico, l’imposta ecclesiastica dovrebbe essere sostituita da donazioni o un’imposta volontaria. Egli sostiene che il rapporto Stato-Chiesa esistente è incompatibile con il diritto canonico.
“È solo in Svizzera, Austria e Germania che c’è un’imposta ecclesiastica nella sua forma attuale”, ha detto Grichting alla televisione svizzera tedesca. “Il 97% dei cattolici del mondo finanziano le loro chiese in altri modi”.
Ma le chiese in Svizzera potrebbero sopravvivere completamente senza entrate fiscali? “A seconda del Cantone, l’importanza degli introiti provenienti dalle imposte ecclesiastiche sulle persone giuridiche varia”, dice Pahud de Mortanges, riferendosi al suo recente studio.
“Quindi le Chiese sarebbero interessate a diversi gradi, se dovesse sparire questa tassa. L’abolizione dell’imposta ecclesiastica sulle persone fisiche avrebbe invece un effetto drammatico. Questo è evidente quando si guarda la situazione nei cantoni di Ginevra e Neuchâtel, dove non c’è questa imposta e le Chiese – in confronto con il resto della Svizzera – hanno pochi soldi. Ciò ovviamente ha significato una drastica riduzione dei servizi che possono fornire”.
L’imposta ecclesiastica è una caratteristica dei paesi di lingua tedesca, ma con differenze nazionali. Germania tassa le persone fisiche ma non quelle giuridiche. L’Austria ha un equivalente dell’imposta ecclesiastica, ma è prelevata dalle Chiese stesse.
“Quello che è unico nel sistema svizzero è l’opportunità per i membri della Chiesa di dire la loro sul modo in cui vengono utilizzate le entrate fiscali. Per la Chiesa cattolica romana in particolare, è qualcosa di straordinario. Ciò garantisce un’utilizzazione delle risorse finanziarie della Chiesa, vicina alla base”, afferma Pahud de Mortanges.
(Traduzione dall’inglese: Sonia Fenazzi)
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