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La Svizzera dice “basta” all’omofobia nello sport

Lotta svizzera: "lo sport più difficile per un coming out", secondo un commentatore. Keystone

Le istituzioni sportive svizzere hanno lanciato una campagna per lottare contro la discriminazione sessuale. swissinfo.ch ne ha discusso con due atlete rossocrociate che hanno reso pubblica la loro omosessualità. Una è Simona Meiler, che fa parte della delegazione svizzera a Sochi.

«Come atleta, ma anche come essere umano, sono convinta che si debba combattere ogni forma di discriminazione, per poter liberare tutto il nostro potenziale», spiega Simona Meiler a swissinfo.ch.

Meiler è una delle migliori snowboardiste svizzere. È anche l’unica atleta apertamente gay della delegazione rossocrociata a Sochi e l’unica ad aver firmato la petizione che invita il Comitato internazionale olimpico (CIO) e gli sponsor a far pressione sulla Russia affinché riconsideri la recente introduzione di leggi anti-omosessuali.

Nel suo discorso d’apertura, il presidente del CIO Thomas Bach ha parlato delle olimpiadi come modello di «tolleranza e armonia, senza alcuna forma di discriminazione».

Dieci giorni prima dell’inizio dei Giochi, le istituzioni svizzere hanno lanciato una campagna di sensibilizzazione contro le discriminazioni sessuali nello sport. «Sfortunatamente l’omofobia è un problema quotidiano», afferma Sami Kanaan, presidente dell’Associazione svizzera dei servizi dello sport (ASSS), che ha promosso l’iniziativa col sostegno di Swiss Olympic.

«Lo sport dovrebbe essere sinonimo di inclusione, tolleranza, rispetto e fair play. Molti sportivi sono convinti che non ci sia un vero e proprio problema di omofobia. È dunque importante dimostrare il contrario, far caoure che ci sono persone che vengono discriminiate e che alcuni omosessuali non osano fare il coming out».

Multinazionali come McDonald’s, Coca Cola e la svizzera Omega pagano circa 100 milioni di dollari ciascuno per i diritti di sponsoring delle Olimpiadi, su un arco di quattro anni, e vogliono la garanzia di un’atmosfera di “benessere” durante i Giochi.

Oggi, queste società sono confrontate con pressioni crescenti di chi vorrebbe che si esprimessero sulle controverse leggi russe contro gli omosessuali.

Le polemiche internazionali suscitate dalle normative, firmate da Putin lo scorso anno, rischiano di oscurare le sue ambizioni di sfruttare le Olimpiadi per dare una nuova immagine della Russia come Stato moderno e aperto.

Putin sostiene che la legge – che di fatto vieta di fornire informazioni sull’omosessualità ai minorenni – è stata varata nell’intento di proteggere i giovani. Per le organizzazioni non governative, invece, la normativa favorisce un clima di discriminazione contro gay, lesbiche e transessuali,

Il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon ha condannato la discriminazione sessuale e gli attacchi contro gli omosessuali, in un discorso rivolto al Comitato internazionale olimpico, il 6 febbraio a Sochi, durante il quale ha anche parlato dei diritti dei gay in Russia.

Il vicepremier russo Dimitri Kozak ha affermato di recente che ai Giochi non ci sarà alcuna discriminazione. «Siamo tutti adulti e ognuno ha il diritto di esprimere la propria sessualità». Ma ha poi fatto eco a Putin, dicendo: «Per favore non toccate i bambini».

Sorpresa e stupore

Laurent Paccaud, 25 anni, pratica lo judo a livello competitivo. Cinque anni fa ha fatto il suo coming out. La reazione della gente è stata abbastanza positiva, ricorda.

«Nell’ambiente dello sport, la gente era sorpresa, stupita. Per loro era qualcosa di nuovo», racconta a swissinfo.ch in occasione del lancio della campagna. «Mi hanno fatto molte domande.  Erano curiosi e volevano saperne di più. Alcuni invece hanno avuto reazioni di rigetto».

Paccaud si è laureato in scienze sociali, con una tesi sull’omofobia nello sport. «Tra gli uomini, l’omofobia si esprime in modo più violento in un ambiente sportivo, perché vi è un focus diverso sul corpo. È senza dubbio un fattore sociale legato alla virilità: dopo l’allenamento, i ragazzi parlano delle loro conquiste in fatto di donne. I gay devono continuamente recitare e mentire». Ciò è dovuto in parte all’immagine che la società veicola degli omosessuali come persone meno mascoline e lontane dal modello del buon atleta.

Mancanza di modelli

Barbara Lanthemann, a capo dell’Organizzazione delle lesbiche svizzere, ritiene che la campagna lanciata dalle istituzioni sportive sia un passo nella giusta direzione. Sottolinea però che l’impatto sarebbe stato maggiore si fossero utilizzati i volti di atleti conosciuti, apertamente gay. Il problema, però, è che non ce ne sono.

«Sanno che con un coming out rischierebbero di allontanare gli sponsor e di mettere così in pericolo la loro carriera. Sanno che una volta fatto il passo, sarebbero sempre descritti come gay o lesbiche».

Mehdi Künzle

Nel mondo sportivo, il coming out resta un tabù

Per la 24enne Meiler, invece, questo aspetto non è rilevante. «In sport come lo sci o lo snowboard non è un grosso problema. In generale la sessualità non è un tema. Siamo giudicate in base ai risultati ottenuti sulla neve», afferma la sportiva. «Noi snowboardiste non siamo al centro dell’attenzione mediatica  e quindi la nostra vita privata non è di grande interesse. Inoltre negli sport invernali, non c’è un vero e proprio modello sportivo di riferimento».

assa-asss.ch

Dal canto suo, Paccaud sottolinea che è difficile dare consigli perché ogni situazione è specifica. «Mi sento però di dire alle persone coinvolte di pensarci bene prima di fare un coming out. Non deve essere un gesto impulsivo, ma bisogna riflettere sulle possibili conseguenze. Molte sono positive, ma ci possono essere anche risvolti negativi».

«Nel mio caso, la reazione più comune è stata: “Oh, non mi disturba affatto”. Può sembrare un commento positivo, ma in un certo senso suggerisce che queste persone mi considerano anormale. La gente vuole essere empatica, vuole rassicurarmi. Le intenzioni sono buone, ma senza volerlo possono farmi male».

La nuova campagna presenta simboli sportivi dai colori arcobaleno – un pallone da calcio, un casco da hockey, il podio o il cronometro – sopra slogan come “Penalty contro l’omofobia” oppure “Non c’è posto sul podio per la discriminazione di genere”.

Simona Meiler

Gli atleti devono essere pronti a dare il tutto per tutto. E a mio avviso, ciò è possibile unicamente se possono esprimere la propria sessualità

Cambiamento di attitudine

Barbara Lanthemann sottolinea anche la sofferenza e la discriminazione di cui sono vittime quelle persone eterosessuali percepite come gay o lesbiche e di conseguenza intimidite.

«Dieci anni fa molte donne hanno iniziato a giocare a calcio e venivano considerate lesbiche. Molte avevano i capelli corti per questioni di praticità, visto che con gli allenamenti bisogna lavarli quotidianamente», afferma Barbara Lanthemann.

«Oggi invece le ragazze che giocano a calcio hanno quasi tutte i capelli lunghi. Sono molto femminili, così nessuno può più rimettere in questione la loro orientazione sessuale. Credo che questa sia una forma di omofobia: dimostra le pressioni alle quali la società ci sottopone. Di recente, negli Stati Uniti una calciatrice ha fatto il suo coming out e ha dichiarato: “Finalmente posso tagliarmi i capelli”».

Keystone

Coraggio e fiducia in sé stessi

«Nel mondo sportivo, il coming out resta un tabù», dichiara senza mezzi termini Mehdi Künzle. Membro dell’organizzazione gay Pink Cross, Künzle ha accolto favorevolmente la campagna lanciata in Svizzera, ma sottolinea anche la passività dimostrata finora dalle organizzazioni sportive. Il tema è stato mediatizzato unicamente dopo il coming out dell’ex calciatore tedesco Thomas Hitzlsperger, l’8 gennaio, e in relazione alle nuove leggi varate da Putin in Russia.

Secondo Künzle, quanto più uno sport è popolare, tanto più è difficile per un atleta “uscire allo scoperto”. «La lotta svizzera, ad esempio, è probabilmente lo sport più difficile per gli omosessuali che vogliono uscire allo scoperto. Significa dichiararsi di fronte a un pubblico che appartiene alla fetta più conservatrice del paese».

Ciò nonostante, Künzle incoraggia gli atleti a farsi avanti, se possibile nel corso della loro carriera in modo che il loro gesto abbia maggior effetto. «È chiaro però che una scelta simile necessità di grande coraggio e fiducia in sé stessi. Ma il miglior modo per lottare contro la discriminazione nei confronti degli omosessuali è il coraggio dei singoli».

Per Simona Meiler, gli atleti che aspirano alla vittoria devono avere completa fiducia in sé stessi e devono volersi bene. «Devono essere pronti a dare il tutto per tutto e a metterci il cuore. E a mio avviso, ciò è possibile unicamente se possono accettare ed esprimere la loro sessualità. Ciò non significa che devono gridare al mondo le loro preferenze sessuali. Ma il fatto di poter contare sul sostegno di chi ti sta vicino aiuta sicuramente».

(Traduzione dall’inglese, Stefania Summermatter)

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