La Svizzera si prepara a lottare contro lo spreco di cibo
L'aumento dei prezzi, le difficoltà di approvvigionamento e un enorme consumo di risorse: sono molte le ragioni per essere parsimoniosi con il cibo. Eppure, un terzo di tutti i generi alimentari finisce nella spazzatura. Ecco come l'agricoltura, il commercio al dettaglio e vari gruppi di interesse in Svizzera vogliono lottare contro gli sprechi alimentari - e cosa possiamo fare nel nostro piccolo.
I generi alimentari scarseggiano, i prezzi salgono. Dall’inizio dell’invasione russa i campi ucraini sono attraversati dalle tracce dei carri armati e rimangono incolti, le vie commerciali sono interrotte. Le conseguenze della guerra sono percettibili in tutto il mondo. Il 10% della produzione globale di grano, il 13% dell’orzo, il 15% del mais e oltre il 50% dell’olio di girasole arrivano dall’Ucraina, stando ai calcoli della Commissione europea.
Queste fasi di scarsità diventeranno più frequenti in futuro, anche senza la guerra. Il riscaldamento climatico fa diminuire le superfici coltivabili e provoca eventi meteorologici estremi, spesso con gravi conseguenze per la produzione agricola. Ad essere particolarmente colpito sarà il sud del mondo.
Una possibile soluzione è quella di usare meglio gli alimenti a disposizione, che per oltre un terzo finiscono nella pattumiera. Non si tratta soltanto di un enorme potenziale inutilizzato, ma anche di un ulteriore fonte di rischio, perché contribuisce ad accelerare il cambiamento climatico. “Se la perdita e lo spreco di cibo fossero un paese, si tratterebbe della terza fonte più grande di gas serra”, osserva l’ONU in un rapporto.
Giovedì 12 maggio la consigliera federale Simonetta Sommaruga e 28 dirigenti di aziende e associazioni della filiera alimentare svizzera hanno firmato un accordo per limitare lo spreco alimentare. L’obiettivo è di dimezzare i rifiuti evitabili entro il 2030 rispetto al 2017.
Le misure sono su base volontaria e le aziende definiranno i loro obiettivi di riduzione specifici. A seconda dei settori, possono prevedere un miglioramento della dichiarazione della durata di conservazione di alcuni prodotti, l’aumento delle donazioni di cibo invenduto a organizzazioni caritatevoli, lo sviluppo di nuovi imballaggi per prolungare la conservazione delle derrate alimentari, la possibilità offerta ai clienti dei ristoranti di portare a casa gli avanzi o l’ottimizzazione della pianificazione delle colture.
Anche in Svizzera lo spreco di cibo contribuisce in modo significativo all’impronta ecologica. Le conseguenze ambientali di rifiuti alimentari evitabili corrispondono circa alla metà di quelle dell’intero traffico motorizzato individuale in Svizzera. In altre parole, se una persona in Svizzera riuscisse a evitare di produrre rifiuti alimentari durante un anno avrebbe lo stesso effetto che se rinunciasse per mezz’anno a usare l’automobile.
Le misure attuali non bastano
Ma come si può fare a diminuire lo spreco di cibo? È una domanda che si è posta anche la Svizzera. Le autorità elvetiche vogliono ridurre della metà i rifiuti alimentari entro il 2030. Un obiettivo ambizioso, per raggiungere il quale gli attuali sforzi non basteranno. È quanto constata l’Ufficio federale dell’ambiente (Ufam) in un nuovo piano d’azioneCollegamento esterno.
Il piano rivela anche altro: una soluzione semplice non esiste. Dalla coltivazione alla lavorazione fino alla vendita e al consumo sono coinvolti innumerevoli attori, spesso situati in paesi diversi.
È vero che ci sono numerose iniziative per ridurre gli sprechi alimentari, ma di solito hanno un “effetto locale e agiscono in un contesto di nicchia.” Per essere efficaci, le misure dovrebbero essere applicate su scala più grande.
Cos’è che già si fa e dove può intervenire il piano d’azione? Cerchiamo di capirlo osservando le tappe della produzione di un alimento – con qualche semplificazione – dal campo alla tavola (o alla pattumiera).
Il grafico seguente indica quali sono tappe dove si riscontrano i maggiori sprechi alimentari in Svizzera. La classifica è guidata dalla lavorazione, seguita dalle economie domestiche e dall’agricoltura.
“Si vede chiaramente che nei paesi industrializzati si producono molti più sprechi di cibo alla fine della catena alimentare, mentre nei paesi in via di sviluppo gli sprechi avvengono piuttosto all’inizio”, spiega Claudio Beretta, ricercatore della Scuola universitaria di scienze applicate (ZHAW) di Zurigo. Ciò non dipende solo dal fatto che nei paesi più benestanti i consumatori si possono permettere più facilmente di lasciar deteriorare il cibo. “Nei paesi più poveri mancano spesso le conoscenze e soprattutto la tecnologia per raccogliere e immagazzinare in modo ottimale gli alimenti”.
Nell’agricoltura svizzera i rifiuti alimentari si producono invece soprattutto perché il raccolto non corrisponde alle norme commerciali – particolarmente “severe” secondo l’Unione svizzera dei contadini (USC). La verdura o la frutta sarebbero buone, ma non hanno un aspetto sufficientemente bello per essere vendute.
Secondo l’USC, la seconda ragione importante per lo spreco di cibo nell’agricoltura svizzera è la sovrapproduzione. È il caso soprattutto di prodotti freschi che si deteriorano rapidamente, come l’insalata, la cui crescita e il cui consumo dipendono inoltre fortemente dalle condizioni meteorologiche.
Ci sono già organizzazioni che hanno riconosciuto questi problemi e che rivendono direttamente o regalano a persone bisognose i cetrioli storti o la lattuga in eccesso. La Confederazione ritiene che il potenziale ecologico di questi sforzi sia notevole, ma dovrebbero essere organizzati su scala più grande.
Il dettagliante Coop vende frutta e verdura che non corrisponde alle norme con una speciale etichetta. Ma secondo il piano di azione federale è poco più di una goccia nel mare. “Il volume di queste misure copre appena una frazione della perdita di cibo.”
Venduti e dimenticati
Una volta che gli alimenti arrivano sugli scaffali del commercio al dettaglio solo di rado finiscono nella spazzatura. SWI swissinfo.ch ha chiesto ragguagli ai due maggiori dettaglianti del paese. “Il 98,56% dei generi alimentari disponibili nei negozi e ristoranti Migros vengono effettivamente venduti o ceduti”, afferma Patrick Stöpper, portavoce del gigante della distribuzione.
La situazione è simile anche alla Coop: “Alla fine solo circa lo 0,2% dei generi alimentari dei nostri supermercati non è né venduto né regalato e viene trasformato in cibo per animali e in biogas”, spiega Melanie Grüter, portavoce del dettagliante.
Entrambi sottolineano di voler evitare gli sprechi alimentari. Per questo lavorano con svariate organizzazioni che distribuiscono alimenti invenduti a persone in difficoltà.
Tuttavia anche in questo ambito si potrebbe fare di più, constata l’Ufam. “Le circa 10’000 tonnellate di cibo date in beneficienza nel 2018 corrispondono solo al 7% delle 138’000 tonnellate di scarti alimentari evitabili prodotti dal commercio al dettaglio”, si legge nel piano d’azione federale. Spesso mancano le risorse finanziarie per fare di più.
La maggior parte dei generi alimentari finiscono tuttavia nelle dispense e nei frigoriferi dei consumatori. Cioè nei luoghi in cui sarebbe particolarmente facile evitare gli sprechi alimentari.
Spesso però i consumatori eccedono negli acquisti, in particolare in Svizzera, dove “i consumatori possono permettersi di comprare più di quello che hanno bisogno”, osserva Beretta.
Altri sviluppi
Perché allora non agire direttamente sui prezzi? Si potrebbero aggiungere al prezzo iniziale i costi ambientali causati dalla produzione di cibo. Il piano d’azione scarta tuttavia rapidamente questa opzione. Il calcolo per il supplemento è troppo complicato e non è politicamente realizzabile.
Gli incentivi negativi non riguardano tuttavia solo i consumatori, ma anche i dettaglianti. Per questi ultimi non è importante che i clienti consumino davvero i prodotti acquistati. “Ogni prodotto venduto genera profitto, indipendentemente dal fatto che finisca nella spazzatura oppure no”, fa notare Beretta.
Per non cadere in questa trappola ci sono soluzioni facili ed efficienti a disposizione dei consumatori. “Semplici norme di comportamento, come l’abitudine di guardare nel frigorifero prima di fare la spesa, possono evitare enormi sprechi ambientali”, osserva il ricercatore.
Anche i dettaglianti possono dare una mano. Una soluzione può essere, nel caso di cibi che si prestano, l’aggiunta alla data minima di conservazione di una frase del tipo: “Spesso si conserva più a lungo”.
È utile inoltre pianificare bene gli acquisti, conservare gli alimenti in modo adeguato e tener d’occhio la data di scadenza.
La Svizzera è in ritardo
Per Beretta è chiaro che altri paesi europei sono già alcuni passi avanti rispetto alla Svizzera, in particolare i paesi scandinavi e l’Olanda. “La Norvegia e la Gran Bretagna sono considerati dei pionieri. Entrambi hanno concluso degli accordi volontari con vari attori economici già oltre dieci anni fa”, ricorda anche il piano d’azione svizzero.
Entro il 2030 la Svizzera vuole recuperare il ritardo. Ma l’obiettivo del dimezzamento degli sprechi non sarà troppo ambizioso? Vedendo dove sono arrivati i paesi pionieri dopo dieci anni di sforzi, per Beretta è chiaro: se si continua con questo ritmo, “allora non riesco a immaginarmi che la Svizzera raggiunga il suo obiettivo”. Il piano d’azione è a suo avviso molto buono, ma il “passo per agire davvero è ancora lungo”.
Secondo l’esperto, la volontà politica di ridurre gli sprechi alimentari dovrebbe essere maggiore. “Si dovrebbero investire molti più soldi nelle misure per evitare gli sprechi e per il monitoraggio dei progressi. Dal punto di vista economico ne varrebbe la pena, perché gli alimenti sprecati costano alla Svizzera alcuni miliardi di franchi l’anno.”
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