La Svizzera volta la pagina degli «eroi» di guerra
Con la fine dell'attività della Commissione parlamentare di riabilitazione si è chiuso un capitolo della storia svizzera. Complessivamente sono state riabilitate 137 persone che durante la Seconda guerra mondiale avevano aiutato i rifugiati perseguitati dai nazisti.
Da colpevoli a eroi. È il destino di 137 persone di nazionalità svizzera, italiana, francese, tedesca e polacca, che dopo essere state condannate per aver dato una mano ai rifugiati del nazismo hanno potuto riappropriarsi del loro onore.
Per la maggior parte di coloro che tra il 1938 e il 1945 hanno favorito l’entrata in Svizzera di numerosi ebrei, il riconoscimento morale è comunque arrivato in ritardo. Oggi sono tutti deceduti e soltanto tre hanno vissuto abbastanza a lungo per vedere il loro nome stralciato dalla lista.
La legge sull’annullamento delle sentenze penali pronunciate contro le persone che hanno aiutato i profughi al tempo del nazionalsocialismo è infatti entrata in vigore solamente nel 2004. Nello stesso anno la Commissione di riabilitazione (CRia) ha iniziato a sfogliare gli archivi, a studiare i singoli casi e a riconoscere ufficialmente che le persone condannate all’epoca avevano agito in modo corretto.
Erano «eroi sconosciuti», afferma a swissinfo.ch Alexandre Schneebeli, segretario della commissione. La pubblicazione dei loro nomi, sottolinea, è una sorta di memoriale per i loro discendenti.
«Lavoro pericoloso»
Durante la guerra le frontiere della Svizzera erano sotto stretta sorveglianza. Ciononostante circa 300’000 persone sono riuscite a varcare i confini dopo essere scappate dai paesi occupati dai nazisti.
Tra queste vi erano oltre 100’000 militari (altrimenti destinati alla prigione) e 30’000 ebrei. Circa 20’000 civili, per la maggior parte ebrei, sono al contrario stati respinti.
Nelle zone di frontiera erano attivi anche alcuni passatori. Nonostante il rischio di essere multati o imprigionati, hanno aiutato migliaia di persone in fuga dalle persecuzioni.
«In generale si trattava di gente semplice, della classe sociale più bassa», ci spiega Nils de Dardel, ex parlamentare che ha contribuito all’introduzione della legge sulla riabilitazione. «Queste persone erano molto coraggiose. Il loro lavoro era estremamente pericoloso, difficile e faticoso. E in cambio ricevevano soltanto qualche spicciolo».
Altri sviluppi
L’accordo sui fondi ebraici ha “purificato” la Svizzera
«Meglio tardi che mai»
Fino ai lavori della CRia si conosceva poco o nulla di queste persone. Si è così dovuto cercare negli archivi dei tribunali militari e nei registri cantonali per ritrovare questi 137 casi. Ce ne potevano comunque essere di più visto che alcuni passatori non sono mai stati presi, annota de Dardel.
La legge sulla riabilitazione, aggiunge, è «assolutamente unica» in Svizzera. «Sebbene sia giunta 50 anni dopo, una legge che annulla le sentenze pronunciate da un tribunale militare è senza precedenti. Dal punto di vista simbolico, giudiziario o storico si tratta di una legge importante».
«Ovviamente giunge con troppo ritardo. Ma è meglio tardi che mai», prosegue l’ex deputato, ricordando che a favorire l’adozione della legge è stata la vicenda degli averi ebraici in Svizzera scoppiata negli anni Novanta e il susseguente riesame del ruolo della Confederazione durante la Seconda guerra mondiale.
«Come tutti coloro che hanno sostenuto questa legge credo che sia molto utile riesaminare tutta quell’epoca con occhio critico. Si possono così imparare molte cose sul nostro paese, sul modo in cui si è sviluppato e su tutte le illusioni che abbiamo tentato di mantenere a ogni costo», afferma de Dardel.
La stessa commissione, che ha annunciato di aver passato in rassegna tutti i casi noti, riconosce che la Svizzera è stata «chiaramente in ritardo» nel trattamento dei dossier.
«Molte persone – osserva Alexandre Schneebeli – si chiedono come mai la Svizzera si sia chinata adesso su queste vicende. Ma perlomeno è stato fatto, per fortuna. Penso che ci volevano effettivamente parecchi anni. D’altronde abbiamo visto quanto tempo hanno impiegato altri paesi per rendersi conto di cosa era successo in casa loro».
La Commissione parlamentare di riabilitazione è stata creata per riabilitare le persone condannate per aver aiutato i rifugiati, per lo più ebrei, a entrare illegalmente in Svizzera durante la Seconda guerra mondiale.
A quell’epoca migliaia di profughi venivano respinti alle frontiere per timore che la Svizzera fosse invasa da chi fuggiva dai nazisti.
Attiva dal 2004 al 2011, la commissione ha riabilitato 137 persone di nazionalità svizzera, italiana, tedesca, francese, polacca, ceca, ungherese e spagnola.
68 casi sono stati scoperti negli archivi federali e 63 sono stati segnalati dalla Fondazione Paul Grüninger. Tre casi sono invece emersi dalla segnalazione dei diretti interessati o dei loro discendenti.
Gli insegnamenti della storia
Quasi la metà dei casi trattati dalla commissione sono stati sottoposti dalla Fondazione Paul Grüninger, dal nome del comandante della polizia di San Gallo che aiutò 3’600 ebrei a passare dall’Austria nazista alla Svizzera. Lo stesso Grüninger (licenziato e multato per abuso d’ufficio e falso in atto pubblico) è stato riabilitato nel 1995 da un tribunale sangallese, 23 anni dopo la sua morte.
Per il deputato in parlamento Paul Rechsteiner, che dirige la fondazione, «la Svizzera ha il dovere di dire a questa gente e alle attuali generazioni che non si trattava di criminali e che non avevamo il diritto di condannarli».
«Erano al contrario degli eroi», prosegue. «Ciò è importante per la memoria dei loro discendenti».
Sebbene siano passati decenni prima della riabilitazione, non è troppo tardi per trarre insegnamenti dalla storia, aggiunge Rechsteiner. Il comportamento della Svizzera durante il periodo nazista è in effetti uno dei capitoli più difficili della storia elvetica. «Anche se la storia non si ripete mai è importante sapere come si è comportata la gente».
«È pure importante [capire] che ognuno deve essere consapevole che non si può delegare l’umanità allo Stato».
Per far luce sugli averi giunti in Svizzera durante e subito dopo la Seconda guerra mondiale è stata creata, nel 1996, una Commissione indipendente d’esperti (CIE).
Nel suo rapporto finale pubblicato nel 2002, la cosiddetta commissione Bergier è giunta alla conclusione che la politica dei rifugiati adottata dalla Svizzera è stata eccessivamente restrittiva.
Circa 20’000 rifugiati, per la maggior parte ebrei, sono stati respinti alle frontiere. Questo nonostante il fatto che le autorità elvetiche fossero consapevoli del destino che li attendeva.
Dal canto loro, molte delle persone che invece sono state ammesse non sono state rispettate nella loro dignità umana.
La CIE ha rilevato che il governo e parte dell’industria privata si sono spinti troppo in là nella cooperazione con il regime nazista. In particolare, il governo svizzero ha contribuito al finanziamento dello sforzo bellico del Terzo Reich accordando crediti per l’esportazione a ditte che rifornivano Germania e Italia con materiale cruciale.
Le aziende farmaceutiche elvetiche hanno dal canto loro deciso volontariamente di “arianizzare” le loro filiali in Germania licenziando i dipendenti ebrei.
La CIE ha inoltre scoperto che dopo la guerra il governo e le imprese svizzere non avevano restituito correttamente gli averi delle vittime del nazismo.
Traduzione e adattamento di Luigi Jorio
In conformità con gli standard di JTI
Altri sviluppi: SWI swissinfo.ch certificato dalla Journalism Trust Initiative
Potete trovare una panoramica delle discussioni in corso con i nostri giornalisti qui.
Se volete iniziare una discussione su un argomento sollevato in questo articolo o volete segnalare errori fattuali, inviateci un'e-mail all'indirizzo italian@swissinfo.ch.