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La tragedia dell’amianto approda in tribunale

flickr/degra

Si apre il 6 aprile a Torino il processo contro l'imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny e il belga Jean Louis de Cartier. I due ex proprietari di quattro impianti Eternit in Italia sono accusati di disastro doloso e di omissione volontaria di cautele professionali. Reportage.

Piero Ferraris, 21 anni passati come operaio in diversi stabilimenti Eternit – prima in quello svizzero di Niederurnen (cantone di Glarona), poi qui a Casale Monferrato, in Piemonte – ha gli occhi lucidi.

“Sto male da alcuni mesi, per me la sentenza arriverà fra pochi giorni. Hanno fatto nuove analisi, mercoledì prossimo mi diranno se ho il tumore, il mesotelioma pleurico”.

A Casale Monferrato si vive nella paura. Qui l’amianto continua a uccidere. Si è già portato via 1’646 persone, ex lavoratori dell’Eternit, ma anche abitanti che negli impianti non ci avevano neppure messo piede. Ogni anno i nuovi casi di mesotelioma in città sono una quarantina, e gli esperti dicono che aumenteranno: nel 2020 fino a 70 casi all’anno, prima di cominciare a decrescere.

Una storia brutta e tragica

È davvero una brutta e tragica storia quella delle vittime delle polveri di amianto, al di là dell’esito finale del procedimento che si apre a Torino il 6 aprile nei confronti di Stephan Schmidheiny e Jean Louis de Cartier.

I due ex proprietari di quattro impianti Eternit nella penisola rischiano una condanna pesante. Sono accusati di disastro doloso e di omissione volontaria di cautele anti-infortunistiche. Questi reati avrebbero complessivamente causato la malattia, e in molti casi la morte, di 2’889 persone.

Schmidheiny offre un indennizzo

La vigilia dell’udienza preliminare, che deve stabilire se vi sono le premesse per varare il mega-processo, è stata caratterizzata dall’offerta di Stephan Schmidheiny.

L’imprenditore svizzero ha offerto un indennizzo massimo di 60 mila euro per le vittime dell’amianto che lavorarono negli impianti Eternit dal 1973, quando la multinazionale svizzera assunse il controllo delle filiali italiane, fino al 1986, anno del fallimento.

Ai residenti di Casale, che si sono ammalati a causa delle fibre d’amianto, è stata offerta una somma di 20 mila euro, ai quali si aggiunge un versamento a favore della ricerca scientifica.

“Calcoliamo che in totale potremmo arrivare a una cifra tra i 50 e i 70 milioni di euro”, dice alla televisione svizzero-tedesca Astolfo di Amato, uno dei legali del magnate elvetico.

“Si tratta di una mano tesa, l’espressione di un sentimento di solidarietà, come già avvenuto per le vittime dell’amianto in altre parti del mondo, e anche a Messina; ma non è affatto un’ammissione di responsabilità da parte di Stephan Schmidheiny, che respinge tutte le accuse”, aggiunge l’avvocato.

La tesi della difesa

Ma chi accetta l’indennizzo si dovrà impegnare a non presentarsi parte civile nell’eventuale processo: “Certo, altrimenti sarebbe in contraddizione”, sottolinea l’avvocato di Amato.

“Noi non diciamo che l’amianto non ha ucciso”, precisa il legale: “Diciamo invece che quando l’Eternit svizzera subentrò nelle aziende italiane fece investimenti per 52 miliardi di vecchie lire anche per migliorare i sistemi di sicurezza. Inoltre, i bilanci di quegli anni dimostrano che la gestione era nelle mani degli amministratori locali pure per quanto concerne l’applicazione delle norme di sicurezza”.

“A comprova ulteriore della mancanza di responsabilità del nostro assistito, ricordiamo che la letteratura scientifica dell’epoca e le stesse norme della Comunità europea ritenevano accettabile una dose minima di fibre di amianto”, aggiunge ancora Astolfo di Amato.

Polveri di amianto mortali

Si scoprì invece che per uccidere bastava anche una “micro-fibra” nelle polveri di amianto, “mentre qui a Casale circolavano milioni e milioni di fibre”, replica Bruno Pesce, che guida “l’Associazione Famiglie Vittime dell’Amianto”.

“Della pericolosità dell’amianto si sapeva già dagli Anni Settanta, e ci sono tre sentenze della magistratura, che in passato ha già accolto nostri ricorsi sull’esistenza dell’amianto in tutta la città. Quello che la proprietà fece fu del tutto insufficiente: avrebbero infatti dovuto blindare la produzione dell’amianto per impedire il diffondersi delle polveri. Vi sono documenti che confermano come il problema sicurezza sia stato gestito soprattutto dalla Svizzera”, fa presente Pesce.

L’indennità offerta da Schmidheiny non lo convince. “Tenta di indebolire il fronte dell’accusa, le associazioni, i famigliari dei morti e i malati che vogliono partecipare al processo, ma non ci riuscirà, perché saremo comunque ancora in molti a costituirci parte civile. Non nego che quella dell’indennizzo sia una novità importante, ma aggiungo che secondo noi, e secondo logica, si tratta anche e soprattutto di una forma di ammissione di responsabilità”.

L’offerta di Schmidheiny attrae…

Negli uffici della Camera del lavoro di Casale, da decenni impegnata sul fronte anti-amianto, è un flusso continuo di persone che hanno sofferto molto. Non poche sono tentate dall’accettare l’offerta di indennizzo:

“I tempi della giustizia italiana sono troppo lunghi, per questo penso di accettare”, dice Silvana Bertellotti, a cui il mesotelioma ha portato via la madre e un fratello. “Guardi che nessuno dei due aveva mai messo piede nelle fabbriche dell’Eternit”.

“Stiamo morendo come mosche”, aggiunge la vedova di Guido Verruca, ex operaio Eternit, che ha perso anche la madre e che deve ancora decidere.

Invece, anche se a fatica, la giovane Piera Canotto rifiuterà: “Capisco che vi sia gente preoccupata per i tempi della giustizia, o che semplicemente vuole chiudere questa vicenda dopo tanti anni di dolore e sofferenza. Ma poi ho pensato che mio padre – operato e morto per il cancro d’amianto sette anni fa – non ha prezzo”.

I responsabili della Camera del Lavoro non lo negano: la maggioranza degli interessati è pronta ad accettare l’indennizzo e a ritirarsi dal processo.

…e divide il fronte delle vittime

“Quella di Schmidheiny è una mossa strategica, che cerca di indebolire il fronte dell’accusa, perché in questo processo anche i numeri pesano. Questo processo è osservato da tutto il mondo, perché nei prossimi anni l’amianto ucciderà altre centinaia di migliaia di persone in vari continenti,” sostiene Vincenzo Bonetto, della CGIL.

“È evidente un altro fatto: la ‘solidarietà’ di cui parla il miliardario svizzero è assai tardiva, visto che giunge solo alla vigilia del processo e già per questo motivo non è credibile. Inoltre, punta sul fatto che viviamo una forte crisi economica: anche tra i famigliari delle vittime c’è chi ha perso il lavoro, nella regione ben 90 aziende hanno sospeso l’attività e messo i lavoratori in cassa integrazione”.

swissinfo, Aldo Sofia, Casal Monferrato

Si è aperta lunedì l’udienza preliminare del processo per le vittime dell’Eternit con la presentazione delle domande di costituzione di parte civile di numerosi enti pubblici, associazioni e di circa 500 persone fisiche. Per motivi logistici la presentazione delle domande è stata suddivisa fra lunedì e mercoledì.

Per questo processo sono state allestite tre maxi aule che possono contenere fino a 1200 persone provenienti da tutte le aree dove l’Eternit aveva stabilimenti, Casale Monferrato e Cavagnolo in Piemonte, Emilia Romagna, e Bagnoli in Campania.

Molti gli striscioni che sono stati srotolati di fronte al tribunale tra cui uno con la scritta “Via l’amianto”, un altro con la scritta “Giustizia” e, quello dell’associazione famigliari delle vittime che recita “Eternit: fermiamo la strage”.

Disastro doloso e omissione volontaria di cautele contro le malattie professionali: con queste accuse la Procura di Torino ha concluso nell’ottobre del 2008 la sua inchiesta sulla serie di decessi provocati dall’amianto negli stabilimenti di Eternit S.p.A, Genova, a Cavagnolo (Torino), Casale Monferrato (Alessandria), Bagnoli (Napoli), Rubiera (Reggio Emilia).

Il pubblico ministero Raffaele Guariniello ha chiesto di processare i due ex azionisti di maggioranza degli stabilimenti italiani di Eternit: l’imprenditore elvetico Stephan Schmidheiny e il belga Jean Louis Marie Ghislain De Cartier. Secondo Guariniello i due conoscevano la portata del problema, ma non hanno preso provvedimenti adeguati.

Secondo l’atto d’accusa, la Eternit faceva infatti distribuire dai propri dipendenti una parte dei propri manufatti, senza però fornire informazioni sulla pericolosità dei materiali. Migliaia di persone hanno quindi subito per decenni «un’esposizione incontrollata e continua» alle sostanze nocive.

“No, non penso proprio che gli indennizzi indeboliscano l’accusa”, afferma con assoluta tranquillità Raffaele Guariniello, il procuratore aggiunto di Torino che ha istruito l’atto di accusa, noto anche per altri clamorosi processi, come quello alla Thyssen Krupp.

“Anzi, in casi come questi, quando si tratta di infortuni, malattie o morti sul lavoro, noi riteniamo che indennizzare sia una cosa positiva. Questo al di là del riconoscimento o meno di una responsabilità che dovrà essere accertata, e che rimane il fine primario di un procedimento penale”.

Tra i difensori di Schmidheiny c’è chi sostiene che la questione dell’amianto sia un “problema sociale” e non un problema di “responsabilità individuali”.

“Lo vedremo nel processo. Non intendo entrare in materia processuale. Mi limito a prendere atto del fatto che c’è tutta una giurisprudenza della Corte di Cassazione che ha confermato la condanna di dirigenti di aziende in cui si è prodotto l’amianto,” sottolinea Guariniello.

“In linea generale si può affermare con assoluta certezza che quella dell’amianto è una storia di decenni e decenni di mancata prevenzione dei danni che poteva causare, e che continuerà a provocare ancora per decenni”.

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