Jo Siffert o quando la corsa automobilistica diventa un mito
Il 24 ottobre 1971, il pilota svizzero Jo Siffert perdeva la vita su un circuito. Cinquanta anni più tardi, gli appassionati di motori si emozionano ancora ricordando colui che è diventato leggenda e a cui dobbiamo la tradizione della doccia di champagne sul podio.
24 ottobre 1971, circuito di Brands Hatch, Regno-Unito: Jo Siffert è alla sua novantaseiesima corsa di Formula Uno. Nonostante sia in pole position, alla partenza perde il primo posto e deve lottare per riconquistare la testa della gara. Al sedicesimo giro succede l’ineluttabile: dopo una sbandata, la sua vettura si capovolge e prende fuoco. I soccorsi giungono tardivi e il pilota, incosciente, muore asfissiato. Qualche giorno più tardi, ai funerali nella cattedrale di Friburgo partecipano quasi 50mila persone.
Come corridore di F1, Jo Siffert non ha un palmarès paragonabile a quello di Juan Manuel Fangio, Niki Lauda o Ayrton Senna. Tuttavia, a mezzo secolo dalla morte, questo pilota non è stato dimenticato, soprattutto non dagli appassionati della storia dello sport automobilistico. Come spiegarsi questa notorietà intramontabile?
Pilota d’eccezione
Le statistiche ufficiali Collegamento esternoricordano che Jo Siffert è salito sei volte sul podio, tra cui due sul gradino più alto (GP di Gran Bretagna nel 1968 e GP d’Austria nel 1971) nell’arco di dieci stagioni (dal 1962 al 1971) trascorse in Formula Uno, la categoria regina delle corse automobilistiche.
I suoi risultati in F1 sono certamente notevoli, ma non strabilianti. L’altro grande pilota svizzero, Clay Regazzoni, ha un palmarès più ricco, con 25 podi, tra cui 5 vittorie. Ciò che distingue Jo Siffert è il fatto che aveva molte frecce al suo arco.
Infatti, ha eccelso anche in F2 e nelle corse in montagna. Nelle gare di resistenza, con 14 vittorie in 41 partecipazioni tra il 1968 e i 1971 rimane un esempio da seguire. All’inizio della carriera, Jo Siffert ha brillato anche nel motociclismo, conquistando nel 1958 il titolo nel campionato svizzero della categoria 350 cm3.
Fotografie di motorsportfriends
motorsportfriends.chCollegamento esterno è un archivio internazionale di immagini risalenti al periodo che va dagli anni Quaranta agli anni Ottanta scattate da appassionati del mondo dell’automobilismo. I gestori sono costantemente alla ricerca di materiale fotografico. L’archivio pubblica annualmente un calendario. Nel 2015, in occasione di un’esposizione presso il museo Bellpark di Kriens è stato dato alle stampe il libro “Gasoline&Magic”.
“In undici anni ha partecipato a 298 corse. A volte prendeva parte a più competizioni nello stesso fine di settimana. È una cosa pazzesca”, dice Jacques Deschenaux, ex addetto stampa di Jo Siffert ed ex capo delle trasmissioni sportive della Televisione svizzero romanda.
Inventore della doccia di champagne
La scena fa ormai parte della tradizione: sul podio, il vincitore di un GP di F1 riceve una bottiglia di champagne, che svuota facendo la doccia al pubblico. Ebbene, Jo Siffert è involontariamente l’inventore di questo rituale.
Nel 1966, vince con l’inglese Colin Davis la 24 ore di Mans. Sul podio riceve una bottiglia non sufficientemente fredda e così il tappo parte accidentalmente. Jo Siffert cerca di trattenere lo champagne, chiudendo la bocca della bottiglia con il pollice. La conseguenza, il liquido esce sotto pressione e il pilota svizzero fa la doccia al pubblico che assiste alla cerimonia di premiazione.
Una scena che cattura l’attenzione di molti, anche del vincitore dell’edizione successiva della 24 ore di Mans, l’americano Dan Gurney che ripropone l’incidente, ma in maniera intenzionale. È così che nasce la tradizione della doccia di champagne. Tuttavia dobbiamo ricordare che ci sono altre versioni sull’origine di questo rituale.
Un uomo che si è fatto da solo
Se la sua storia continua a sedurre è anche perché è l’archetipo del “self-made-man”, l’uomo che si è fatto da solo. Jo Siffert è cresciuto in una famiglia estremamente modesta nella città vecchia di Friburgo, in un quartiere all’epoca popolare e molto povero dove la popolazione parlava spesso un misto tra francese e dialetto svizzero tedesco.
Non apparteneva a quella classe di “gentlemen diversi”, rappresentati in Svizzera da Emmanuel di Graffenried (famiglia patrizia) o Benoît Musy (figlio di un consigliere federale). Non disponeva quindi del denaro necessario per dedicarsi a una passione senza crucci economici.
Prima di strappare un contratto alle grandi scuderie (per esempio alla Porsche), il giovane Siffert ha dovuto barcamenarsi tra sport e attività professionale classica. Partito dal nulla, con gli anni si è fatto strada: a Friburgo possedeva un garage che vendeva le marche Porsche e Alfa-Romeo. “Alla fine era il secondo concessionario di Porsche in Svizzera”, ricorda Jacques Deschenaux.
Jo Siffert era anche dotato di fiuto per gli affari. E così ha di nuovo segnato la storia della F1, diventando il primo ambasciatore della marca orologiera svizzera Heuer, pioniera nella sponsorizzazione nella F1. Il pilota svizzero è stato anche il primo a firmare un contratto con quello che diventerà uno dei maggiori finanziatori a scopi pubblicitari della corse automobilistiche: la Marlboro.
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Fonte di ispirazione
Vista la sua notorietà, Jo Siffert diventa una fonte d’ispirazione per il cinema e lo ritroviamo in due pellicole cult nel mondo delle quattro ruote. In Le 24 Ore di Le Mans, Steve McQueen indossa una tuta simile a quella del pilota svizzero, caratterizzata dal logo Heuer. Presente sul set, Siffert mette a disposizione la maggior parte delle automobili. Lo stesso automobilista appare brevemente anche nel film Grand Prix, lungometraggio che ha ottenuto tre Oscar nel 1966.
Altra breve apparizione, questa volta però sul piccolo schermo, nella serie televisiva Attenti a quei due, con Tony Curtis e Roger Moore. In una scena si intravvede il casco rosso con la croce bianca di Jo Siffert. E quando, in un episodio il protagonista Lord Brett Sinclair deve disputare una corsa, la scelta di Roger Moore cade sullo stesso modello di macchina usato dal pilota svizzero.
Appassionato di velocità e di motori, l’artista svizzero Jean Tinguely era amico di Jo Siffert. Quando muore, il celebre scultore gli dedica una fontana.
Testimone di un’epoca
Ma i risultati sportivi da soli non spiegano il fatto che non ci si sia dimenticati di Jo Siffert. Bisogna considerare anche il fattore umano. “La sua passione per i motori e per le corse automobilistiche risale al 1948 quando il padre lo portò ad assistere al GP di Berna”, racconta Jacques Deschenaux. “La storia di questo ragazzo povero che ha superato mille difficoltà per realizzare il sogno di diventare pilota, un sogno quasi impossibile visto che aveva una possibilità su 100mila di riuscirci, ne fa di lui una leggenda”.
“E poi bisogna considerare l’epoca”, continua l’esperto. “Molti dei piloti di allora erano persone fuori dagli schemi che flirtavano continuamente con la morte. In quel periodo, ogni anno si registravano dai tre ai quattro decessi. Il fatto che Jo Siffert abbia trovato la morte in gara ha contribuito a rafforzarne il mito”.
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