Lotta alla corruzione per salvare le foreste del Borneo
Dopo essersi battuto per 20 anni a difesa della foresta tropicale e degli indigeni Penan, il Fondo Bruno Manser intende ora lottare contro la corruzione, tra le cause principali del disboscamento nel Borneo.
I Penan vivono nel Sarawak, lo stato malese sull’isola del Borneo. Questo paradiso della biodiversità è da tempo sotto pressione: negli ultimi anni i due terzi della foresta tropicale hanno dovuto cedere il posto alle piantagioni di palma da olio.
I poteri politici all’origine di tale evoluzione sono ora nel mirino del Fondo Bruno Manser (Bruno Manser Fund, BMF), tra le poche organizzazioni non malesi a impegnarsi nella difesa dei Penan.
Il BMF, basato a Basilea, porta avanti da undici anni la lotta lanciata dal suo carismatico fondatore Bruno Manser. L’attivista svizzero ha vissuto sei anni con i Penan e ha promosso azioni pacifiche (blocco delle strade) per porre un freno alla deforestazione.
Nel 2000 Manser è scomparso nel nulla, lasciando dietro di sé numerosi interrogativi sulla sua sorte. Nel marzo 2005 il Tribunale civile di Basilea ha dichiarato il militante ecologista morto dal punto di vista giuridico.
Sebbene gran parte della foresta vergine sia stata rasa al suolo, sono stati diversi i passi avanti realizzati in vent’anni, rileva il BMF. «Nel Sarawak siamo riusciti a portare avanti la nostra campagna e la nostra resistenza di fronte alla deforestazione. Abbiamo aiutato le comunità indigene a organizzarsi e ad agire nel modo giusto: ora sono consapevoli di avere diritto alle loro terre e diritto di esprimersi sulla loro sussistenza», afferma a swissinfo.ch Lukas Straumann, direttore del fondo.
L’azione del BMF si è manifestata in diversi ambiti, dalla cartografia della regione alla creazione di strutture prescolari e sanitarie. Ha inoltre aiutato i Penan a portare la questione della sottrazione delle terre nei tribunali locali, facendo al contempo conoscere la loro situazione in Europa.
Governo “cleptocratico”
«Oggigiorno – spiega Straumann – ci preoccupa il fatto che il Sarawak è guidato da 30 anni dallo stesso governo. A capo dello stato malese vi è sempre la stessa famiglia, in quella che può essere definita una forma cleptocratica di governo».
La famiglia in questione è quella del primo ministro del Sarawak Abdul Taib Mahmud, un uomo che secondo Straumann controlla la politica, l’economia e i media. Taib è pure ministro della pianificazione e delle finanze.
Le accuse di corruzione nel Sarawak sono regolarmente riportate dal sito internet del BMF. Nel febbraio 2001 è stata lanciata una campagna online contro Taib e contro 48 società elencate sulla “lista nera”. Una campagna intensificatasi a inizio dicembre, quando il BMF ha pubblicato una lista di 332 compagnie attive in Malesia e legate ai famigliari di Taib. Molti di loro ne sono i direttori o gli azionisti. Altre 101 società simili sono basate in altre parti del mondo.
Analizzando i registri e i rapporti aziendali, il BMF ha ad esempio scoperto che i quattro figli di Taib sono coinvolti in 342 compagnie nel mondo. «È davvero incredibile. In pratica controllano l’intero stato», rileva Lukas Straumann.
Secondo il BMF, la famiglia del ministro starebbe inoltre nascondendo degli averi all’estero. Indagini su questi presunti fondi illegali sono in corso in Svizzera e in Gran Bretagna.
Estirpare la corruzione
Per il direttore del BMF, è giunta l’ora di ampliare l’azione. «Riteniamo che la corruzione sia tra le principali cause della distruzione dell’ambiente nel Borneo, così come in altri paesi. In quanto gruppo a difesa dell’ambiente e dei diritti umani, per noi è quindi importante allargare il raggio d’azione».
Dopo aver condotto campagne per 20 anni, osserva Straumann, ci si è interrogati sulla mancanza di risultati a livello locale. E sul fatto che né il governo malese né quello del Sarawak hanno manifestato la volontà di collaborare. «E così abbiamo scoperto che tutto si basa sulla corruzione».
Taib ha sempre negato di aver intascato tangenti o di aver nascosto denaro all’estero. Per il ministro, la deforestazione è portata avanti esclusivamente in nome dello sviluppo del paese. Persino Bruno Manser, osserva Straumann, ha tentato di intervenire. Ma si è rapidamente reso conto che Taib era troppo potente.
Il ruolo delle ong
Oltre a portare avanti la sua lotta alla corruzione, il BMF terrà d’occhio dodici progetti per la costruzione di dighe nel Sarawak. Interventi che potrebbero sommergere interi villaggi e rivelarsi «devastanti» per i Penan.
Nel 2010, anno del decimo anniversario della scomparsa di Bruno Manser, l’ambientalista Saskia Ozinga si era lamentata per la mancanza di organizzazioni a sostegno della popolazione Penan. La grande attenzione dedicata agli indigeni del Borneo negli anni Ottanta e Novanta si è infatti progressivamente spenta a causa dei disaccordi tra le ong malesi e delle errate priorità stabilite dalle organizzazioni europee, focalizzatesi sul legname invece che sui diritti umani.
La decisione del BMF di concentrarsi sulla corruzione è giusta, commenta a swissinfo.ch Saskia Ozinga. «Il problema nel Sarawak è in effetti causato da un governo corrotto e incompetente».
Organizzazioni quali il BMF sono «estremamente importanti» anche per la sezione svizzera della Società per i popoli minacciati, la quale rammenta che le popolazioni indigene sono spesso marginalizzate o ignorate.
«Senza Bruno Manser – ci dice il suo direttore Christoph Wiedmer – nessuno sarebbe al corrente del destino dei Penan». Il BMF e altre organizzazioni, aggiunge, hanno un ruolo importante. Possono sottoporre queste tematiche alle Nazioni Unite, esercitare pressione su governi e compagnie, sostenere le procedure in tribunale e portare avanti progetti socioeconomici sul terreno.
I Penan sono uno dei 24 gruppi indigeni del Sarawak, il più grande stato della Malesia, sull’isola del Borneo.
Una cinquantina di anni fa, circa 100’000 Penan conducevano una vita nomade o semi-nomade, cacciando e raccogliendo cibo nella foresta. Oggi soltanto 200 persone vivono ancora in questo modo.
La deforestazione è la principale minaccia che incombe sullo stile di vita dei Penan. È inoltre all’origine della contaminazione dell’acqua potabile e dell’erosione del suolo.
Meno del 10% della foresta vergine è rimasto intatto, secondo il Fondo Bruno Manser. I Penan e altri gruppi indigeni stanno sempre aspettando che venga loro riconosciuto il diritto alla terra nelle foreste in cui tradizionalmente risiedono.
Nato il 25 agosto 1954 a Basilea, ha vissuto tra il 1984 e il 1990 sull’isola del Borneo, studiando e registrando la lingua, gli usi e i costumi degli indigeni Penan.
Ritornato in Svizzera nel 1990, ha dato numerose conferenze sulla problematica della salvaguardia della foresta tropicale nel Sarawak.
Bruno Manser, scomparso nel 2000 dopo essere ritornato clandestinamente sull’isola del Borneo, ha ricevuto diversi premi e riconoscimenti per il suo impegno ambientalista.
Nel 2005 è stato dichiarato giuridicamente morto dal Tribunale civile di Basilea.
Creato nel 1991, il Fondo Bruno Manser (Bruno Manser Fund, BMF) si batte per la salvaguardia della foresta tropicale, per la diversità delle specie e in favore dei diritti dei popoli autoctoni minacciati dalla deforestazione.
L’associazione, che ha attraversato un periodo difficile dopo la scomparsa dell’ambientalista elvetico, è sostenuta oggi da circa 4’000 membri.
Il BMF collabora con l’Organizzazione internazionale del legno tropicale e con la Segreteria di Stato dell’economa per la realizzazione del parco naturale di Pulong Tau nel Sarawak.
Traduzione di Luigi Jorio
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