“La pandemia rimette in discussione il nostro modello di mobilità”
Aerei che non decollano, telelavoro, mezzi pubblici semideserti, le ferie rinviate: la crisi del coronavirus ha ridotto radicalmente gli spostamenti e ha messo a nudo le vulnerabilità del mondo globalizzato. Uno sguardo ai mutamenti in atto in compagnia del sociologo Vincent Kaufmann.
Correndo sulle innumerevoli vie di comunicazione che innervano il pianeta, ospite clandestino di esseri umani in movimento, dalla sua prima comparsa a fine 2019 in Cina il nuovo coronavirus Sars-CoV-2 si è diffuso nel giro di pochi mesi in tutti i continenti. E quasi ovunque i governi hanno reagito alla minaccia sanitaria relegando in casa quante più persone possibile, per rallentare il diffondersi del contagio.
Altri sviluppi
La Svizzera è rimasta a casa durante il lockdown?
Difficile dunque ragionare sulla crisi senza considerare le possibilità di spostamento. “Si parla molto della pandemia in termini di salute pubblica, ovviamente, ma bisogna ricordare che la crisi è anche connessa fortemente alla mobilità”, dice Vincent KaufmannCollegamento esterno, professore di sociologia urbana e di analisi delle mobilità al Politecnico federale di Losanna. “Se si guarda alle aree più colpite dalla pandemia in Europa e negli Stati Uniti, non si può non notare che si tratta innanzitutto di grandi metropoli o aree urbane, con molti scambi e molta mobilità.”
Kaufmann risponde alla nostra telefonata dal giardino di casa sua, a Ginevra. Sullo sfondo si sente il cinguettio di uccelli, una vicina gli rivolge la parola durante l’intervista. “Al Politecnico federale di Losanna siamo passati rapidamente al lavoro online. Funziona, ma è tutto più faticoso, prende più tempo”, osserva il sociologo. “E poi mi colpisce una cosa: quando mi muovevo di più, gli spostamenti da un luogo a un altro erano un momento di respiro. E anche al lavoro, tra un lezione e l’altra c’era la possibilità di fare due chiacchiere, bere un caffè. Ora faccio una videoconferenza dietro l’altra, la vita professionale è più intensa di prima.”
Grande vulnerabilità
La crisi è destinata a mutare a fondo alcuni elementi fondamentali della società in cui viviamo? “È presto per dire se e come la pandemia trasformerà il modo di funzionare del mondo”, risponde Kaufmann. “Di certo mette in evidenza una grande vulnerabilità della nostra società. La delocalizzazione della produzione ha reso difficile l’accesso a beni essenziali, quali medicinali e materiale sanitario, in caso di crisi. È una vulnerabilità generata dalla mobilità, dal basso costo dei trasporti.”
Per quanto sia difficile analizzare gli effetti di una crisi in corso, il sociologo presume che se, com’è probabile, alcune misure di contenimento rimarranno in vigore ancora a lungo, l’impatto sul settore dei trasporti sarà consistente. “Penso in particolare ai trasporti pubblici. Nei bus, nelle metropolitane, nei tram, è praticamente impossibile rispettare la distanza di sicurezza di due metri. A essere messo in causa è il sistema stesso dei trasporti pubblici e questo è molto preoccupante”.
Kaufmann non ritiene tuttavia che a lungo termine si assisterà a un ritorno in massa all’automobile. “Il declino dell’attrazione per l’automobile in Svizzera e nei paesi dell’Europa del nord, in particolare tra i giovani, è una tendenza che non sparirà, almeno credo. Penso piuttosto che ci sarà un ritorno alla prossimità. Gli spostamenti avverranno su distanze più brevi. E poi, considerando la prevedibile contrazione dell’economia, è indubbio che nei prossimi anni saremo meno mobili.”
La difficoltà di anticipare i possibili effetti della pandemia è data anche dal fatto che la crisi attuale è unica nel suo genere, dal punto di vista dell’impatto sulla mobilità. È difficile trovare esempi del passato a cui riferirsi per individuare analogie. “Viviamo una situazione inedita, in cui sono stati sospesi alcuni diritti fondamentali, tra cui la libertà di movimento, sancita dall’articolo 13 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo”, osserva Kaufmann.
Una mobilità diversa
Ma si può pensare che alcuni degli strumenti di limitazione della mobilità adottati per contrastare la pandemia possano sopravvivere alla fine della crisi? Il sociologo individua almeno un elemento suscettibile di accompagnarci anche in futuro: “Credo che il telelavoro resterà”, dice. “Sono 30 anni che i ricercatori ne prevedono l’adozione su ampia scala, anche perché offre soluzioni ad alcuni problemi legati alla mobilità. Ora sia i dipendenti, sia le aziende e i servizi pubblici si rendono conto che può funzionare. Non mi stupirei quindi se dopo la crisi si diffondesse in molti settori.”
Un’ultima cosa ci tiene a dire, Kaufmann, prima di essere richiamato dalla prossima videoconferenza. “Oggi per noi mobilità è quasi sinonimo di trasporto, di movimento nello spazio. Ma se si guardano le definizioni dei vecchi dizionari, per esempio del XVIII secolo, mobilità significava agilità mentale, capacità di giostrarsi tra varie idee”, osserva il sociologo.
“Forse stiamo tornando a quel vecchio significato. In questo senso, non ho l’impressione che la crisi ci abbia reso meno mobili. Molti di noi devono sviluppare la capacità di cambiare rapidamente orizzonti mentali, perché abbiamo contatti con molte persone per videoconferenza, perché mentre siamo impegnati nel calcolo di un integrale siamo colpiti dal pallone calciato da nostro figlio. In questo senso, non siamo meno mobili.”
In conformità con gli standard di JTI
Altri sviluppi: SWI swissinfo.ch certificato dalla Journalism Trust Initiative
Potete trovare una panoramica delle discussioni in corso con i nostri giornalisti qui.
Se volete iniziare una discussione su un argomento sollevato in questo articolo o volete segnalare errori fattuali, inviateci un'e-mail all'indirizzo italian@swissinfo.ch.