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Stampa svizzera divisa sulla sentenza di Strasburgo

La Corte europea dei diritti umani ha dato torto alla Svizzera che ha condannato il nazionalista turco Dogu Perinçek per aver pubblicamente negato il genocidio armeno: la sentenza di Strasburgo provoca la controversia. AFP

La sentenza emessa giovedì dalla Corte europea dei diritti umani, che dà torto ai giudici svizzeri, divide la stampa svizzera. Per gli uni, Strasburgo ha fatto bene ad anteporre la libertà di espressione di Dogu Perinçek alla verità storica del genocidio armeno. Per gli altri, tutti i negazionisti sono condannabili e la Svizzera ha ragione ad attenersi alla sua severa normativa penale contro il razzismo. Una normativa che tuttavia ora viene ulteriormente rimessa in questione.

“La norma penale è indebolita”, titola il Walliser Bote, secondo il quale la sentenza della Corte europea (CEDU) sul caso Perinçek, pur non mettendola in discussione, avrà delle conseguenze sulla normativa antirazzismo svizzera: “in futuro potrebbe essere sottoposta a revisione oppure essere applicata con più ritegno”, scrive il giornale dell’Alto Vallese.

“Che conseguenze avrà la voluminosa sentenza della Corte di Strasburgo sull’ordinamento giuridico svizzero dovrà ancora essere chiarito in dettaglio. Ma è già prevedibile che con questa sentenza l’articolo sul razzismo possa essere messo ancor più sotto pressione e che probabilmente dovrà fare i conti con ulteriori richieste di abrogazione o almeno di adeguamento”, scrive la Neue Zürcher Zeitung (NZZ)

Parlando di “sconfitta amara” per la giustizia elvetica, il quotidiano zurighese osserva: “Proprio quella Svizzera, che ha voluto distinguersi a livello internazionale come modello nella lotta contro l’intolleranza e la discriminazione razziale, deve farsi rimproverare dai giudici di Strasburgo di essere andata troppo lontano in questo impegno e di aver violato la libertà di espressione del nazionalista turco Dogu Perincek, che ha negato il genocidio degli armeni durante la Prima Guerra mondiale”.

Altri sviluppi

“La disposizione penale contro il razzismo, in base alla quale Perinçek era stato multato, non ha superato l’esame europeo di conformità”, rileva più decisamente la Berner Zeitung, la quale pronostica che non ci vorrà certo molto tempo prima che la controversa normativa sia nuovamente sottoposta a pressioni politiche.

Giudici stranieri danno ragione a Blocher

Molto esplicita sull’impatto che avrà il verdetto di giovedì sulla legislazione elveticaCollegamento esterno anche la Basler Zeitung. “I coerenti fautori della subordinazione del diritto svizzero alla Corte di Strasburgo dovrebbero ora giustamente dare la mano all’UDC [Unione democratica di centro, destra conservatrice], e limitare o abolire la disposizione penale”, afferma il quotidiano basilese, che segue la linea del tribuno UDC ed ex consigliere federale Christoph Blocher.

“Dei giudici stranieri sostengono le critiche di Blocher”, titola la Südostschweiz, che sottolinea come la Corte di Strasburgo abbia giudicato che la normativa antirazzismo elvetica sia formulata in modo troppo restrittivo, limitando la libertà di espressione. Il quotidiano grigionese ricorda che Christoph Blocher “come ministro di giustizia voleva allentarla, ma i suoi colleghi di governo gli risposero picche. Il fatto che adesso la CEDU venga in soccorso a Blocher, non rallegrerà però tutti i suoi colleghi di partito, che lottano rabbiosamente proprio contro simili ‘giudici stranieri'”.

Sulla stessa scia, il Blick parla di “una buona ingerenza” e di come la sentenza di ieri dimostri quanto sia sbagliata la demonizzazione della CEDU. “I giuristi strasburghesi, nel caso Perinçek, hanno posto la libertà di espressione al di sopra dei sentimenti degli armeni. La loro argomentazione testimonia lungimiranza, coraggio e un grande rispetto per la libertà di parola. Ora si può solo sperare che la giustizia svizzera in proposito prenda esempio dai giudici stranieri”, conclude il quotidiano popolare zurighese.

Il valore della libertà di espressione

“Questa decisione si capisce meglio se si rammenta la formula che Strasburgo ha forgiato per indicare il valore della libertà di espressione”, analizza Le Temps. Una libertà di espressione che non vale solo per le idee inoffensive, “ma anche per quelle che urtano, scioccano o preoccupano”, ricorda il quotidiano ginevrino. “Lo esigono il pluralismo, la tolleranza e lo spirito di apertura, senza i quali non c’è società democratica”.

Per il foglio di Ginevra, “la questione è ovviamente quella di sapere dove porre l’asticella. Si può, anzi ci si deve interrogare sul merito di una giurisprudenza che rischia di aprire un dibattito delicato, in cui le memorie non avranno mai lo stesso peso”.

Le Temps non ha però dubbi sul fatto che “per quanto sia dolorosa questa questione [il genocidio armeno, NdR.], e per quanto siano complesse le sue implicazioni politiche, in Turchia e altrove, occorre comunque salutare questo verdetto”.

Di parere diverso “La Liberté” di Friburgo e altri quotidiani della Svizzera francese che, in un commento comune, affermano che la CEDU, “a furia di voler salvare capra e cavoli, ha seminato confusione. I giudici non si sono pronunciati sulla denominazione del genocidio, che era l’oggetto del litigio. Si sono accontentati di concludere che il negazionismo di Dogu Perinçek non era ingiurioso per la comunità armena. Si può dunque dire qualsiasi cosa, purché siano rispettate le forme”.

Due pesi e due misure

Amari anche il 24 Heures di Losanna e la Tribune de Genève, secondo i quali “la Corte di Strasburgo utilizza due pesi e due misure in questo verdetto che delizierà tutti coloro che, in Svizzera, sognano solo una cosa: svuotare della sua sostanza la norma penale antirazzista”.

Quanto alla comunità turca in Svizzera che saluta la sentenza di Strasburgo come un passo che agevolerà la riconciliazione con gli armeni, i due quotidiani romandi commentano: “Ci piacerebbe crederlo. Ma la Turchia sulla questione del genocidio armeno adotta lo stesso atteggiamento della Cina sul Tibet. Non si intravvede l’ombra di un’introspezione storica, di una ricerca sincera della verità o di una lettura meno nazionalista di un passato così irrigidito che diventa una zavorra diplomatica”.

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