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Perché l’aiuto al suicidio è “normale” in Svizzera

“Non voglio uccidere nessuno”

Donna sulla sessantina con capelli bianchi corti ritratta a mezzobusto in un giardino.
La dottoressa Erika Preisig, presidente dell'associazione Lifecircle e presidente del consiglio di fondazione di Eternal Spirit. Severin Bigler

Erika Preisig, medico di famiglia e presidente dell'associazione svizzera Lifecircle, da anni aiuta dei pazienti, anche stranieri, a morire. È inoltre tra i fautori della legalizzazione del suicidio assistito in altri Paesi. Le abbiamo chiesto perché.

SWI swissinfo.ch: Perché l’associazione Lifecircle, attraverso la fondazione Eternal Spirit, presta assistenza al suicidio anche a persone provenienti da luoghi in cui essa è illegale?

Erika Preisig (EP): Perché l’accompagnamento alla morte è un diritto umano. Ogni essere umano deve poter decidere quando, dove e come vuole morire.

Spesso, quando le persone vengono in Svizzera per morire, soffrono di malattie gravi e non sono in condizione di viaggiare. Se avessero l’opportunità di farsi assistere nel loro Paese, non dovrebbero farlo qui. Il suicidio assistito dovrebbe essere legale in tutto il mondo.

Come medico di famiglia, da 21 anni lavoro con pazienti che ricevono cure palliative. E anche con delle buone cure a fine vita, a volte vedi le persone morire in maniera orribile.

Mio padre è morto una quindicina di anni fa con un suicidio assistito; soffriva di un male incurabile. Si è seduto accanto a me, ha bevuto il preparato, ha posato la testa sulla mia spalla ed è morto. Nessuna sofferenza, nessun problema, nessuna paura. È lì che ho iniziato a pensare: le cure palliative sono davvero l’unica via? Devi proprio continuare a vivere anche se sei molto vecchio e molto malato?

Da allora, aiuto i miei pazienti che si avvicinano alla morte sia attraverso il suicidio assistito che con le cure palliative.

Le persone decidono autonomamente se vogliono sposarsi, avere figli, mangiare qualcosa. Ma non si consente loro di scegliere alla fine della loro vita.

SWI: Diversamente dai Paesi Bassi, la Svizzera proibisce ai medici di iniettare la dose letale ai pazienti. Crede che l’eutanasia attiva debba, invece, essere legalizzata anche qui?

EP: No. 

SWI: Perché?

EP: Non voglio uccidere nessuno. Potrà sembrarvi codardia, ma credo che debba essere il paziente ad attivare la somministrazione endovenosa, in sicurezza e senza soffrire.

SWI: E come fanno i pazienti con gravi deficit motori o paralizzati?

EP: Abbiamo un piccolo dispositivo che consente loro di aprire la valvola con la lingua o muovendo un po’ la testa. L’unico caso in cui non ci è possibile prestare assistenza al suicidio è la sindrome locked-in (rara condizione neurologica nel quale i muscoli volontari sono completamente paralizzati, fatta eccezione per quelli che controllano gli occhi). Ma se un tecnico informatico sviluppasse un apparecchio che consente al paziente di aprire la valvola muovendo gli occhi, allora potremmo aiutarlo.

SWI: Anche molte persone con problemi di salute mentale vorrebbero essere aiutate a morire, ma nel quadro giuridico svizzero è difficile che abbiano luce verde. Crede che la Confederazione dovrebbe spianare loro la strada?

EP: Per fare questo, abbiamo bisogno di più psichiatri che possano valutare le capacità intellettive del paziente. Ci sono così tante persone che soffrono di disturbi mentali nel mondo e noi abbiamo davvero pochi psichiatri. Non possiamo accettare stranieri con malattie psichiche. Non abbiamo le risorse.

SWI: Ma se ci fossero abbastanza psichiatri?

EP: Sì. Se il disturbo psichico è incurabile, come una malattia somatica, il suicidio assistito dovrebbe essere permesso. Se una persona, ad esempio, è stata ricoverata in clinica psichiatrica tre volte ed è ancora bipolare, depressa o schizofrenica e non vuole continuare a vivere dovrebbe essere aiutata. In questi casi, la situazione è comparabile a quella di una malattia incurabile con cause organiche. È un diritto umano di questa persona, purché sia capace di intendere e volere, avere accesso alla morte alla pari di chi è affetto da una malattia somatica.

SWI: Mentre le persone che scelgono di ricorrere al suicidio assistito aumentano, le organizzazioni che forniscono questo servizio restano una manciata. Perché?

EP: Dopo ogni suicidio assistito, la polizia e il medico legale effettuano un’ispezione. Ci si sente a disagio, ad essere interrogati ogni volta. Bisognerebbe rivedere questa prassi.

Molto deve cambiare in Svizzera. La morte assistita dovrebbe essere parte del normale lavoro di un medico, come prescrivere antibiotici. Certo: serve cautela per prescrivere gli antibiotici, così come per effettuare un intervento chirurgico; lo stesso vale per l’assistenza al suicidio. Non serve un gran numero di organizzazioni.

Nelle cure palliative, somministro iniezioni di morfina e sedazioni terminali. Tutti si fidano di me. Niente polizia, nessuna ispezione. Se invece presto un’assistenza al suicidio devo elaborare un sacco di documenti e affrontare un’ispezione di polizia.

SWI: Qual è secondo Lei la ragione principale per cui in molti Paesi non si legalizza il suicidio assistito?

EP: Si parla sempre di possibili derive e potenziali abusi. Ma ciò non è mai accaduto in Svizzera e neppure in Canada, dove l’eutanasia è legale.

L’altro, grande problema è la religione. I nostri più accaniti avversari sono i cattolici. Dicono che la Bibbia proibisce di uccidere se stessi: Dio ti ha dato la vita e soltanto lui può togliertela.

Noi medici cerchiamo continuamente di evitare che le persone muoiano. Ma talvolta, forse, a Dio non sarebbe dispiaciuto portare qualcuno in paradiso un po’ prima. Una persona si ammala di cancro o è affetta da demenza e le tocca morire in maniera orribile perché noi non smettiamo di cercare di salvarla. Davvero Dio e la Bibbia vogliono questo?

SWI: Crede che il suicidio assistito sarà, un giorno, legalizzato in tutto il mondo?

EP: Pensi all’inizio e alla fine della vita. Molti Paesi hanno legalizzato l’aborto. Perché uccidere un essere umano che non è malato e vuole vivere? Se questo bambino non ancora nato avesse una voce, urlerebbe “voglio vivere”.

Alla fine della vita, se qualcuno dice “voglio morire, non posso continuare a vivere così”, alcuni Paesi non rispettano la sua volontà.

Credo che alla fine avremo tanti Paesi che legalizzeranno il suicidio assistito quanti hanno legalizzato l’aborto. Entro cinque o dieci anni. Ne sono sicura.

SWI: Crede che il sistema svizzero sia migliore di quello dei Paesi Bassi?

EP: Secondo me, il modello svizzero è la migliore opzione. Qui, il paziente ha l’ultima parola sulla propria vita.

Non dovrebbero essere i medici a decidere se una vita vale la pena di essere vissuta. Se i dottori possono decidere essi stessi di somministrare l’iniezione, come puoi essere sicuro che questo fosse il desiderio del paziente?

SWI: Alcuni detrattori mettono in guardia sulla possibilità che il suicidio assistito porti a una forma di business.

EP: Siamo stati accusati molte volte da persone che sostengono che assistiamo al suicidio solo per soldi. Per evitarlo, ogni organizzazione dovrebbe essere sottoposta a un controllo dei conti (entrate, uscite) da parte delle autorità.

SWI: In Svizzera le associazioni di assistenza al suicidio sono obbligate a rendere pubblici i propri bilanci?

EP: Non c’è nessuna norma e io non sono d’accordo.

SWI: Cosa fa la sua organizzazione per la trasparenza?

EP: Eternal Spirit è una fondazione. I nostri libri contabili sono sottoposti a controllo delle autorità due volte all’anno.

SWI: Accompagnare alla morte è dunque il suo lavoro a tempo pieno?

EP: No. Se lo fosse, mi ucciderei (ride). Non è un lavoro che si fa per vivere.

Tutti coloro che lavorano per Lifecircle-Eternal Spirit sono impiegati a tempo parziale e per il resto hanno una normale professione. Io stessa, di mestiere, sono medico di famiglia.

SWI: Ha mai pensato di smettere?

EP: Cinque anni fa, sono stata accusata dell’omicidio di una donna svizzera molto anziana. Era stata in un reparto psichiatrico per tre mesi e le avevano diagnosticato una depressione. Ho avuto un colloquio con suo figlio, con il capo della casa di riposo nella quale risiedeva e con la sua badante. Ma non ero riuscita a trovare uno psichiatra per la perizia.

Donna con capelli bianchi corti risponde a domande di giornalisti radio-tv (microfoni con logo SRF)
Liestal, 7 maggio 2021. Erika Preisig dopo la sentenza del Tribunale cantonale di Basilea Campagna, che l’ha assolta dall’accusa di omicidio. Severin Bigler

Quando credi di aver fatto tutto in modo irreprensibile e invece subisci un processo per omicidio ti chiedi: perché mi sto cacciando in tutto questo? E pensi: perché non mi licenzio (ride)? Ma ci sono così tante persone che si fidano di me e hanno bisogno del mio aiuto. È per questo che continuo.

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Dibattito
Moderato da: Kaoru Uda

Siete pro o contro il suicidio assistito?

In Svizzera dagli anni ’40 chi presta aiuto a una persona per suicidarsi non è punibile se non lo fa per motivi egoistici.

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Traduzione dall’inglese di Rino Scarcelli

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