Bambini Rom in Bosnia: dalla strada alla scuola
In Bosnia-Erzegovina vivono tra 50 e 80mila Rom, spesso in condizioni di povertà assoluta e ai margini della società. Caritas Svizzera si impegna da dieci anni per integrare i bambini Rom nelle scuole e offrire loro prospettive di vita migliori. Reportage in una scuola elementare di Sarajevo.
Siamo in una terza elementare della scuola Osman Nakaš, nel comune di Novi Grad, vicino a Sarajevo. Nella classe regna una certa agitazione per la nostra visita. «Ragazzi, calma!», ammonisce la maestra.
Come ogni venerdì, un allievo è incaricato di presentare un paese ai suoi compagni. Oggi è il turno di Tarik, 9 anni, che ha scelto di parlare della Svezia, la sua nazione preferita. Ci racconta che è un paese ricco, dove si lavora molto e l’aspettativa di vita è elevata. In Svezia c’è il re, moltissimi musei e da più di 200 anni non ci sono state guerre. «Non come da noi dove la guerra non è così lontana e i musei sono chiusi per mancanza di fondi», dice Sanela Numanović, la maestra.
Tarik mostra sul computer alcune foto di Alfred Nobel, del gruppo pop ABBA (sì, tutti conoscono «Mamma Mia» e cantano in coro), e di Pippi Calzelunghe. Tarik racconta poi della Volvo, degli sport nordici sulla neve e del gigante IKEA. «Chi di voi ha mobili IKEA a casa?», chiede l’insegnante. La maggior parte dei ragazzi alza la mano. Anche Fatima. Ha 12 anni, suo fratello Benjamin 9 e suo cugino Ibrahim 10. I tre fanno parte della comunità Rom.
Dei 489 ragazzi delle scuole elementari Osman Nakaš, 68 sono Rom. Grazie a Caritas Svizzera il numero di bambini Rom nella scuola è aumentato notevolmente negli ultimi anni. Dal 2010 l’ONG svizzera si impegna in 14 scuole delle provincie di Sarajevo e Zenica-Doboy a favore dell’integrazione di bambini Rom nel sistema scolastico.
Ai margini della società
In Bosnia-Erzegovina, i Rom rappresentano una grande minoranza di circa 50-80mila persone. Spesso vivono in insediamenti in periferia e hanno pochi contatti con il resto della popolazione. Il tasso di disoccupazione è molto elevato, in città non di rado si vedono bambini Rom che fanno l’elemosina oppure che vendono fazzoletti di carta anche tardi la sera. Molti di loro non vanno a scuola, benché in Bosnia vi sia l’obbligo di scolarizzazione. Come in tanti altri paesi, anche qui i Rom non hanno una buona reputazione e sono vittime di pregiudizi, accusati ad esempio di essere sporchi e ladri.
Altri sviluppi
Vivere in Bosnia
La direttrice della scuola Aida Mikić afferma che tra gli allievi non ci sono particolari problemi. «I bambini non fanno differenze e fanno amicizia tra di loro». E contrariamente ai pregiudizi, la direttrice dice che la maggior parte dei bambini Rom arrivano a scuola in orario benché abbiano un cammino più lungo degli altri. I compiti non li fanno sempre, ma in questo non vi è nessuna differenza tra loro e gli altri bambini, conclude Aida Mikić rassegnata.
Studiare invece di fare l’elemosina o lavorare
Fatima e suo fratello Benjamin si devono svegliare alle sei di mattina. «Se andiamo a scuola a piedi, ci vuole almeno mezz’ora», racconta la dodicenne che è la più anziana della classe. La maggior parte dei suoi compagni ha nove anni. La sua famiglia è arrivata in Bosnia nell’estate del 2015, dopo aver trascorso due anni in Belgio e tre in Germania. «Parlo meglio tedesco che bosniaco», ci spiega. Fatima ha otto fratelli e sorelle tra i cinque e i 20 anni. La sua materia preferita è l’educazione fisica. Benjamin invece preferisce la matematica, ride spesso e partecipa molto alle lezioni. Ogni due minuti alza la mano per dire qualcosa.
Siccome i Rom spesso parlano solo la loro lingua a casa, il 90% dei bambini segue lezioni di recupero finanziate da Caritas, così come i materiali scolastici e i pranzi. Quasi 20 bambini sono seduti in una piccola aula, vicini uno all’altro e impegnati a fare i compiti. Sono accompagnati da una docente, un’assistente sociale e una mediatrice per questioni Rom che li aiuta se hanno domande. Spesso infatti i ragazzi sono poco sostenuti a casa se, per esempio, i genitori sono analfabeti oppure parlano a malapena bosniaco. Le famiglie bisognose ricevono inoltre un pacchetto di aiuto con generi alimentari e articoli di igiene. Per le famiglie questo è uno stimolo a mandare i figli a scuola invece di farli lavorare.
Lo scopo principale del progetto è portare i bambini Rom dalla strada alla scuola e convincere i genitori sull’importanza della formazione per il futuro dei loro figli. Di questa parte si occupano le assistenti sociali e le mediatrici specializzate. Accompagnano i genitori e li sostengono nell’integrazione sociale.
Anche le minoranze hanno diritti
Il progetto di Caritas SvizzeraCollegamento esterno per l’integrazione dei bambini Rom in Bosnia-ErzegovinaCollegamento esterno è stato avviato nel 2010. Include lezioni di recupero per bambini Rom e di altri gruppi minoritari in 10 scuole elementari delle provincia di Sarajevo e in quattro strutture della provincia di Zenica-Doboj. I ragazzi sono preparati al passaggio nelle scuole professionali. In caso di prestazioni particolarmente eccellenti, possono inoltre ricevere delle borse di studio. I costi per le mediatrici in questioni Rom sono sostenuti dallo Stato. Gli assistenti sociali e gli insegnanti per le lezioni di recupero sono invece finanziati da Caritas. Attualmente sono in corso trattative affinché anche questi costi siano sostenuti dalla scuola, ovvero dallo Stato. Il preventivo di Caritas per il periodo 2017-2019 è di circa un milione di franchi svizzeri.
Lejla Hasanbegović conosce la vita delle famiglie Rom come nessun altro. Da nove anni, l’assistente sociale lavora per Caritas e si è guadagnata la fiducia dei genitori Rom. Va spesso a visitare le famiglie, accompagna i genitori dal dentista e da «sportello a sportello», come ci racconta. Aiuta i Rom a essere consapevoli dei loro diritti, che «spesso non conoscono». Li accompagna nei diversi uffici per ottenere i documenti necessari. «Se non sono registrati, non hanno diritto all’assicurazione malattia. Questo può diventare un problema».
Non è facile integrare i genitori, ci spiega Elma Ćurulija, la responsabile del programma del progetto di integrazione di Caritas in Bosnia-Erzegovina. «I Rom vivono in comunità chiuse e si fidano poco di quello che viene da fuori. Spesso non partecipano agli incontri con i genitori siccome vivono lontano, hanno molti figli e preferiscono stare tra di loro».
Le mediatrici in questioni Rom si impegnano anche a favore del contatto tra la scuola e le famiglie. Una di loro è Dženita Bostandžija. La giovane donna è anch’essa Rom e ha concluso la scuola secondaria professionale, cosa che è molto rara tra i Rom. Ancora più rari sono quelli che ottengono un titolo universitario. Quando per esempio un bambino manca a scuola, passa a trovare la famiglia. «Per me l’accesso è più facile perché sono anch’io Rom».
Dženita ci racconta che il suo lavoro è impegnativo e inteso: «I bambini sono molto diversi, ciascuno è fatto a modo suo, ha necessità diverse e proviene da un altro ambiente». Ci spiega anche che le ragazze vanno a scuola meno spesso rispetto ai ragazzi perché a casa devono aiutare ad accudire i fratelli e le sorelle più piccoli.
«Fanno parte di noi»
Per Elma Ćurulija, la questione Rom consiste anche nel contrastare i preconcetti e informare la popolazione. «Vogliamo far capire che i Rom e la loro cultura fanno parte di noi. Tematizziamo questo aspetto e organizziamo feste. L’integrazione avviene dalle due parti». Ci spiega che i Rom non hanno una lobby propria nel paese. «Sono le ONG ad aiutare. Lo Stato non ha i fondi necessari. Non basta costruire alloggi per i Rom, ci vuole integrazione, dialogo e bisogna creare fiducia. Per questo occorre tanto tempo».
Traduzione dal tedesco, Michela Montalbetti
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