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Poca dignità nei circuiti di un computer

Nelle fabbriche cinesi (qui uno stabilimento di Shenzhen) non è raro lavorare per settimane di fila senza un giorno di pausa Keystone

L'industria informatica continua a sfornare prodotti innovativi e sempre più a buon mercato. Nel campo dei diritti dei lavoratori marcia tuttavia sul posto e gli abusi sociali negli stabilimenti cinesi rimangono una pratica ricorrente.

L’attività quotidiana di Li Mei si riassume in otto lettere: H, G, T, Z, U, V, B e N. Sono i pulsanti che deve fissare sulle tastiere in una fabbrica di computer in Cina. Quando le ordinazioni sono numerose, la giovane operaia è costretta a lavorare 11 ore al giorno, 28 giorni di fila. Li Mei però non si lamenta: se non fosse per gli straordinari, non guadagnerebbe abbastanza per vivere (160 franchi al mese).

Aumentando di 50 franchi il prezzo di vendita di un computer, sostengono le opere caritative Pane per Tutti e Sacrificio Quaresimale, si potrebbe garantire a Li Mei e alle sue colleghe e colleghi dei turni meno massacranti ed un minimo salariale ragionevole. La campagna di sensibilizzazione per una produzione di computer più dignitosa lanciata dalle due organizzazioni elvetiche un anno fa non ha però raccolto (per ora) il risultato sperato.

Uno studio presentato questa settimana a Zurigo, condotto in collaborazione con associazioni partner cinesi, evidenzia che la reazione dei principali produttori informatici tarda a manifestarsi. «La situazione nelle fabbriche in Cina non si migliorata – constata Chantal Peyer di Pane per Tutti – e i diritti più elementari dei lavoratori continuano ad essere calpestati».

200 ore al mese, solo di straordinario

La campagna «High Tech – No Rights?» intende coinvolgere le cinque marche di computer più vendute in Svizzera: Dell, Hewlett Packard, Apple, Acer e Fujitsu Siemens.

Dalle indagini condotte tra il gennaio 2007 e il marzo 2008 emerge che gli abusi sociali commessi negli stabilimenti di alcuni loro fornitori dislocati nel sud della Cina sono ricorrenti: turni di lavoro di 10-12 ore e fino a 200 ore di straordinario al mese (quando la legge cinese ne autorizza 36). L’azienda non fornisce sempre le adeguate protezioni – guanti, maschere – a chi deve maneggiare pericolosi prodotti tossici. In caso d’infortunio, l’assistenza medica all’interno della ditta è poi carente.

«Diverse aziende prevedono sanzioni se le quote di produzione non sono rispettate – puntualizza Peyer – e ai dipendenti non è fornita alcuna copia del contratto di lavoro, sempre che questo esista».

L’unica nota positiva, annota la responsabile della politica di sviluppo di Pane per Tutti, concerne l’aspetto salariale: «Il numero delle fabbriche che non prevedono uno stipendio minimo legale sembra essere diminuito». Un’evoluzione che, tuttavia, non è legata ad una maggiore presa di coscienza degli imprenditori: «L’aumento dei salari è dovuto principalmente alla penuria di manodopera nelle zone industriali».

60’000 franchi di multa a chi abusa

Nell’attesa di gesti significativi da parte dei produttori, sono gli acquirenti ad aver iniziato a richiedere standard più socio-compatibili.

Prima città europea ad esigere delle clausole sociali dai suoi partner commerciali, Ginevra vuole essere pioniera in un movimento destinato a fare emuli. «Nell’ambito della spesa pubblica prendiamo in considerazione esclusivamente i fornitori informatici o i loro principali subappaltatori che rispettano le convenzioni fondamentali dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) e i principi di sviluppo sostenibile», spiega Eric Favre, responsabile dei sistemi informatici del comune di Ginevra.

All’inizio di quest’anno, l’amministrazione municipale ginevrina si è poi dotata di una legge che consente di sanzionare (multa fino a 60’000 franchi) le ditte che non rispettano le norme dell’OIL e di escluderle dai suoi mercati.

«Purtroppo non abbiamo i mezzi per verificare tutte le informazioni che ci vengono trasmesse – ammette Favre – ma il nostro scopo principale è di sensibilizzare i fornitori su quelle che sono le nostre aspettative».

«Quello che manca – aggiunge Chantal Peyrer – è la volontà dei responsabili aziendali di agire in favore di una maggiore dignità sul lavoro».

Esigere standard basilari

A chiedere una politica d’acquisti di apparecchi elettronici più sostenibile sono anche altri comuni svizzeri, come Berna, Losanna o Bienne, in cui sono stati depositati o accettati dei postulati in questo senso.

La consigliera nazionale Lucrezia Meier-Schatz vorrebbe che lo stesso sia fatto a livello nazionale. «Diversi paesi europei applicano il principio dello sviluppo durevole alla loro politica di acquisti. La Svizzera deve fare altrettanto», sostiene la deputata popolare democratica, secondo cui la Confederazione deve integrare le convenzioni dell’OIL nella revisione della legge federale sugli acquisti pubblici.

Il Consiglio nazionale (camera bassa) si dovrà infine chinare sulla mozione dell’ex deputata socialista Vreni Müller-Hemmi, che incarica il Consiglio federale di esigere standard sociali ed ecologici per gli acquisti dello stato nel settore informatico.

swissinfo, Luigi Jorio, Zurigo

La campagna di Sacrificio Quaresimale e di Pane per Tutti chiede alle aziende di computer di garantire nelle loro fabbriche delle condizioni di lavoro eque, protette da codici di condotta e da contratti dignitosi.

Un’inchiesta svolta tra il gennaio 2007 e il marzo 2008 in sette stabilimenti cinesi rileva che alcune grandi marche hanno dimostrato un impegno progressista; la realtà lavorativa all’interno delle fabbriche evolve tuttavia molto lentamente.

Hewlett Packard si è distinta per l’impegno nell’applicazione del suo codice di condotta. Qualche piccolo progresso è stato compiuto anche da Dell e Apple (aumento del numero di persone incaricate della responsabilità sociale), sebbene quest’ultima manifesti ancora grosse lacune nella trasparenza.

Un passo in avanti importante è stato fatto da Acer (che soltanto un anno fa accumulava gli indicatori negativi), mentre Fujitsu Siemens ha ottenuto brutti voti.

Diversi paesi dell’Unione europea hanno rivisto le loro politiche di acquisti (ad esempio in ambito informatico o elettronico) per renderle conformi al principio dello sviluppo durevole.

In Olanda, il parlamento ha deciso che entro al più tardi il 2010 tutti i prodotti acquistati dal governo centrale devono soddisfare i criteri sociali e ambientali di sostenibilità.

A differenza della Svizzera, paesi come l’Italia, la Francia, la Germania o il Belgio hanno già iscritto nelle loro leggi e direttive delle clausole sociali basate sulle norme fondamentali dell’Organizzazione internazionale del lavoro.

Tra queste figurano la proibizione del lavoro minorile, il principio della non discriminazione sul posto di lavoro e il diritto alla libertà d’associazione e alla negoziazione collettiva.

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