Le lavoratrici del sesso: né vittime né ribelli
Il libro "Sono una lavoratrice del sesso" mostra, attraverso ritratti e voci di esperti, come questa attività soffra ancora di stigmatizzazione sociale. In Svizzera, il Tribunale federale ha appena preso una decisione che rappresenta un importante passo avanti.
La prostituzione è legale in Svizzera. Nell’ambito del secondo semi-confinamento in corso, la competenza di sospendere o meno temporaneamente l’accesso alle prestazioni sessuali nell’ambito delle misure di lotta contro il coronavirus è stata restituita ai cantoni. Berna e Vaud hanno deciso di non vietare la prostituzione. Ginevra, che inizialmente aveva vietato il lavoro sessuale, lo ha permesso di nuovo da metà gennaio.
“La Confederazione ha lasciato i cantoni liberi di legiferare in questo campo. Questo ha prodotto regole disparate. Il cantone di Vaud non ha vietato la pratica, a differenza di Ginevra. Ecco perché abbiamo preferito allinearci”, ha detto Mauro Poggia, membro del governo di Ginevra.
Questo caso evidenzia la mancanza di omogeneità dei regolamenti cantonali sul lavoro sessuale. Disparità che esistono anche in tempi normali. Il libro “Ich bin Sexarbeiterin” (“Sono una lavoratrice del sesso”, casa editrice LimmatCollegamento esterno) affronta il problema.
Al libro ha contribuito tra gli altri anche la giornalista giudiziaria Brigitte Hürlimann. “Ogni amministrazione cantonale ha le sue regole sul lavoro sessuale e si interessa poco a quello che fanno gli altri cantoni”, spiega l’esperta di legislazione sulla prostituzione.
Brigitte Hürlimann vede un filo conduttore nelle leggi locali sulla prostituzione: “O si concentrano sulle lavoratrici del sesso come vittime o le ritraggono come piantagrane da cui bisogna proteggere la popolazione. E la maggior parte delle volte fanno entrambe le cose”.
Il libro presenta degli esempi concreti di queste disparità in uno dei Paesi più liberali nella regolamentazione della prostituzione in Europa, insieme a Paesi Bassi, Germania, Austria, Ungheria, Lettonia, Grecia e Turchia.
Anche l’Italia, la Spagna e il Portogallo permettono la prostituzione senza regolamentarla. Il “modello nordico”, applicato da Svezia, Norvegia, Islanda, Francia e Irlanda, punisce i clienti. Ed è stato oggetto di discussione anche in Svizzera.
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In Svizzera si dibatte sul divieto della prostituzione
Per Christa Ammann, responsabile di Xenia, uno dei centri specializzati nel sostegno alle lavoratrici del sesso in Svizzera, “questo modello abolizionista non mette fine alla domanda e all’offerta di servizi sessuali e rende i lavoratori del sesso più vulnerabili, come abbiamo visto in Francia dal 2016”.
Christa Ammann conosce la situazione internazionale attraverso i suoi contatti con le associazioni di altri PaesiCollegamento esterno, così come attraverso i suoi scambi quotidiani con le lavoratrici del sesso, la maggior parte delle quali sono europee. “Per loro è ovviamente meglio sapere che il lavoro sessuale qui è legale e che possono chiamare la polizia se c’è un problema”.
L’esperta conferma ciò che è già noto: una gran parte delle prostitute sono attratte in Svizzera dal fatto che il lavoro sessuale è legale e dalla paga, che è elevata per gli standard europei.
L’eccessiva regolamentazione della prostituzione e lo stigma che ancora pesa su coloro che la praticano sono le principali preoccupazioni di Christa Ammann. L’unico modo per migliorare davvero le condizioni di lavoro delle prostitute sarebbe eliminare questi ostacoli.
Il Tribunale penale federale (TPF), la più alta giurisdizione della Svizzera, ha fatto recentemente un passo importante in questa direzione, respingendo il ricorso di un cliente che aveva raggirato una lavoratrice del sesso, promettendo di pagarla dopo i servizi ricevuti.
Il cliente, che era stato accusato e condannato per frode in primo e secondo grado, aveva invocato una legge secondo la quale la prostituzione è un’attività contraria alla morale.
In concreto, fino ad oggi, se un cliente non voleva pagare, le lavoratrici del sesso non potevano perseguirlo, “perché il tribunale riteneva che gli accordi tra loro e i clienti fossero immorali e quindi non validi”, ha spiegato Rebecca Angelini nell’edizione del telegiornale delle 12:45 di Radio Télévision Suisse (RTS).
In una sentenza di principioCollegamento esterno, il TPF ha cambiato la sua posizione. “Il contratto per la fornitura di servizi sessuali non contraddice i principi etici e i valori contenuti nell’ordinamento giuridico generale”.
In altre parole, non si tratta di una grave violazione dell’ordine pubblico, ha chiarito il TPF,Collegamento esterno in primo luogo perché il guadagno di una lavoratrice del sesso è riconosciuto come legale in Svizzera, e in secondo luogo perché è soggetto all’imposta sul reddito e sul patrimonio e all’assicurazione vecchiaia e superstiti (AVS).
Inoltre, “la prostituzione è un’attività socialmente usuale e autorizzata, il cui esercizio è anche protetto dal diritto costituzionale alla libertà economica”, nota la massima istanza giudiziaria svizzera.
La decisione del TPF, “era attesa da decenni dalle lavoratrici del sesso”, dice Brigitte Hürlimann in un suo articolo comparso sul giornale online Republik.
“Il TPF ha deciso che il contratto tra una prostituta e il suo cliente non può essere qualificato come immorale in sé. La sentenza si riferisce a un caso penale – un caso di frode – secondo il quale la lavoratrice del sesso ingannata deve essere protetta dalla legge penale. Peraltro, il Tribunale federale menziona anche che le sue considerazioni si applicano anche al diritto civile”, dice Brigitte Hürlimann.
Non c’è più alcun dubbio: il contratto di servizio stipulato da una prostituta è valido, come qualsiasi altro accordo in questo Paese.
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