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“Quella di Eluana è una storia iniziata male 17 anni fa”

Fuori dall'ospedale La Quiete, dove si è spenta Eluana Englaro, lumini accesi in sua memoria Keystone

Il caso di Eluana Englaro, la giovane italiana deceduta in seguito alla sospensione dei trattamenti, ha riacceso il dibattito sulla dolce morte. Lo sguardo del teologo svizzero e professore di etica Alberto Bondolfi.

Mentre dopo la morte di Eluana Englaro in Italia l’aspro confronto continua a livello politico con l’esame del Disegno di legge sul testamento biologico, il tema della dolce morte e dell’accanimento terapeutico è stato bruscamente riportato al centro dell’attenzione.

Un tema tra i più delicati e controversi della nostra società, che merita – come sottolinea Alberto Bondolfi, teologo e professore universitario di etica – riflessioni approfondite e pacate, in netto contrasto con quanto accaduto nel Belpaese.

swissinfo: A livello personale come commenta questa vicenda? Che cosa le ha dato più fastidio?

Alberto Bondolfi: La storia di Eluana è forse cominciata male già molti anni fa quando, dopo l’incidente e le giuste misure salva-vita, non si è visto che lo stato vegetativo cominciava a diventare persistente.

Dopo diversi anni in un simile stato vegetativo, addirittura 17 anni nel caso di Eluana, le probabilità di un risveglio sono così minime che qualsiasi ulteriore misura può essere interpretata soltanto come una forma di “accanimento” ingiustificato.

swissinfo: Quali insegnamenti si possono trarre dal caso Englaro?

A.B.: Il caso Englaro è diventato utile per trarre insegnamenti non solo a causa della discussione sull’alimentazione artificiale di persone in stato vegetativo persistente, bensì anche per lo stile con cui questi problemi sono stati discussi.

Lo stile che abbiamo potuto osservare, soprattutto attraverso i media italiani, è stato davvero inappropriato e talvolta persino fanatico. Invece di uno scambio di argomenti e di considerazioni, abbiamo piuttosto vissuto una litania reciproca di insulti e di insinuazioni. La volontà di Eluana è stata ricostruita ed interpretata da una serie di istanze giudiziarie, fino al Tribunale della Cassazione.

Una tale decisione non è infallibile, ma va discussa con rispetto nei confronti dei tribunali. Il tentativo del Governo italiano di limitare il potere giudiziario con un decreto urgente prima e con un disegno di legge poi, è stato reso fortunatamente vano. Il primo è stato bloccato dal capo dello Stato ed il secondo vanificato dalla morte di Eluana. Le leggi – e questo lo si dovrebbe imparare – non sono fatte per un caso singolo, ma per situazioni generalizzabili.

L’arsenale giuridico va preparato con calma e, specialmente in questo campo, deve poter trovare un consenso allargato. Il Governo Berlusconi ha invece voluto legiferare in fretta, privilegiando il soccorso dei numeri rispetto alla forza degli argomenti.

swissinfo: In Svizzera il dibattito sulla questione bioetica a che punto si trova?

A.B.: In Svizzera il dibattito è in corso da diversi anni e vive vicende alterne. Il diritto a chiedere un arresto delle misure terapeutiche che prolungano l’agonia è garantito ed applicato. In Italia è garantito persino dalla Costituzione (art. 32), ma reso vano da una serie di altre considerazioni.

Nel nostro Paese rimangono però controversi altri punti, regolati in maniera molto diversa rispetto all’Italia. Il cosiddetto “suicidio assistito”, cioè il fatto di togliersi la vita con l’aiuto di un’altra persona, non è punibile se tale aiuto viene prestato senza scopi di lucro. In Italia simile pratica è considerata un delitto ed è punita.

Al momento attuale in Svizzera si discutono due punti particolari: innanzitutto ci si chiede se tale gesto sia possibile anche in strutture pubbliche (case per anziani od ospedali) e, in secondo luogo, molti chiedono alla Confederazione di sorvegliare con maggiore efficacia le organizzazioni che propongono un aiuto nell’ambito del suicidio assistito.

Aspettiamo in merito la presa di posizione della consigliera federale Evelyne Widmer-Schlumpf. La Confederazione intende inoltre incoraggiare maggiormente la medicina palliativa, sperando che così la domanda di suicidio assistito possa diminuire. All’interno del Dipartimento federale dell’interno è appena stato istituito un gruppo di esperti incaricato di formulare proposte concrete.

swissinfo: Quali sono i principi che guidano la questione bioetica e dell’eutanasia in Svizzera?

A.B.: Penso che i principi fondamentali siano tre: l’autonomia del paziente, la lotta al dolore ed il valore della vita. Attorno a questi principi c’è un largo consenso in Svizzera. Le diversità vengono all’occhio quando questi principi vengono interpretati e gerarchizzati in maniera diversa.

Così, ad esempio, ci sono persone che pensano, a torto, che si possa rivendicare un “diritto al suicidio assistito”, mentre di fatto questo gesto è solo “non punito”. Il rispetto della volontà di un paziente che non voglia più accettare misure che la medicina gli propone è invece indiscutibile. Nessuno può essere obbligato a vivere “il più a lungo possibile”.

swissinfo: Quanto è sottile il confine tra il diritto alla dignità nella morte e il rispetto della vita?

A.B.: Personalmente tralascerei l’espressione “dignità” poiché essa è fonte di molti equivoci. L’esistenza umana è infatti sempre degna di essere vissuta. Le condizioni concrete in cui ciascuno di noi può trovarsi alla fine della propria vita, possono essere tali per cui si possa dire in maniera verace che sia nel nostro interesse morire bene invece che continuare a vivere molto male.

Il valore della vita non viene negato quando si voglia morire. L’autonomia di ogni paziente non è infinita, ma si manifesta in maniera imperativa quando prende la forma negativa: “non voglio che si faccia con me quello che io non voglio”. Tale affermazione non implica necessariamente che “deve avvenire tutto quello che io voglio”.

swissinfo: Quanto è difficile per un teologo come lei trovare la sintesi tra etica e diritti dell’essere umano?

A.B.: È difficile come per una persona che non si ritiene credente. La fiducia in Dio che ci accoglie dopo la nostra vita terrena non ci dispensa infatti dal dover prendere decisioni, talvolta tragiche, che sono difficili per tutti, credenti o meno. La fede cristiana ci richiama costantemente che non tutto è nelle nostre mani, ma che dobbiamo al contempo agire come se tutto fosse nelle nostre mani.

Intervista swissinfo, Françoise Gehring

Alberto Bondolfi nasce a Giubiasco nel 1946. Studia filosofia e teologia all’Università di Friborgo, dove nel 1971 si laurea in teologia con le menzione “somma cum laude”.

Dal 1971 al 1977 è assistente presso l’Istituto di teologia morale all’Università di Friburgo.

Dal 2001 è professore titolare di bioetica alla Facoltà di teologia dell’Università di Lucerna, professore associato di etica all’Università di Losanna ed è stato responsabile dell’unità di insegnamento dell’etica alla Facoltà di medicina dell’Università di Zurigo.

È membro di diverse commissioni e associazioni, tra cui: la Commissione centrale di etica dell’Accademia svizzera delle scienze mediche, l'”Akademie Ethik in der Medizin”, società scientifica tedesca che raggruppa esperti attivi nel campo dell’etica morale e l’Associazione dei teologi morali italiani.

Ecco le principali classificazioni dei diversi casi di eutanasia:

Eutanasia attiva: quando una persona provoca direttamente e consapevolmente la morte di un’altra persona su sua richiesta e con intento dichiaratamente caritatevole.

Eutanasia passiva: quando vengono solamente sospese le cure alimentari e mediche che consentono la sopravvivenza della persona.

Suicidio medicalmente assistito: quando, su richiesta dell’interessato, gli vengono forniti i mezzi per togliersi la vita in modo poco doloroso (per esempio con farmaci).

Testamento biologico: consiste nel dichiarare, o consegnare ad una persona fidata, la propria volontà di ricevere o meno terapie rianimatorie, di ventilazione, di alimentazione o di idratazione nel momento in cui non si abbia più la capacità di esprimerlo da soli.

Uno dei principi cardine del disegno o di legge (Ddl) attualmente al varo del governo italiana introduce la Dichiarazione anticipata di trattamento (Dat) che non lascia spazio a interpretazioni: nutrizione e idratazione sono forme di “sostegno vitale” e dunque non possono essere oggetto delle dichiarazioni anticipate stesse non essendo terapie.

Il Ddl pone infatti al centro il consenso informato, l’alleanza terapeutica tra medico e paziente e contempla la nomina di un fiduciario che, in collaborazione con il medico curante, si impegna a far si che si tenga conto delle indicazioni sottoscritte dal paziente.

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