Cittadini elvetici sempre più mobili
Oltre il 10% dei cittadini elvetici oggi vive fuori dalla Confederazione. E il numero degli svizzeri all'estero continua a crescere, mentre la durata media della loro permanenza nello stesso luogo continua a ridursi. Cosa significa questa mobilità internazionale per la Svizzera? E per il futuro dell'Organizzazione degli svizzeri all'estero (OSE)?
“È un andirivieni continuo”, ha sintetizzato il presidente dell’OSE Remo Gysin, introducendo il tema della mobilità al 94° Congresso degli svizzeri all’estero, riunito oggi a Berna. Un’evoluzione nel segno dei tempi, nei quali la Svizzera non rappresenta l’eccezione.
La mobilità è infatti una caratteristica mondiale. Oggi la gente si sposta molto, per diversi motivi: turistici, familiari, di studio, di lavoro, ha confermato Gianni D’AmatoCollegamento esterno, direttore del Forum svizzero per lo studio delle migrazioni e della popolazione (SFMCollegamento esterno).
La maggioranza degli svizzeri che si trasferiscono all’estero è giovane: l’età media di coloro che partono è di 33 anni per le donne e di 35 per gli uomini, ha precisato il professore dell’università di Neuchâtel. Ma ciò non significa che non vi siano anziani che facciano le valigie. Il 7% degli svizzeri che lasciano la Confederazione è costituito da pensionati.
L’emigrazione non è del resto un fenomeno nuovo. Gli svizzeri lo fanno da secoli, chi per necessità e chi di spontanea volontà. Non è dunque un caso che nel 1916 sia nata l’OSE, con l’obiettivo di aiutare gli svizzeri all’estero in difficoltà, ha ricordato lo storico e politologo Bernhard AltermattCollegamento esterno. Era l’immediato dopoguerra, quella Prima Guerra mondiale durante la quale molti svizzeri espatriati non erano potuti rientrare nella Confederazione perché avevano perso i loro averi o non erano più i benvenuti nel proprio luogo d’origine, ha proseguito il professore dell’università di Friburgo.
Da allora molto è cambiato. Così anche le esigenze e i problemi che incontrano gli svizzeri all’estero si sono trasformati e conseguentemente l’OSE si è adattata per rispondervi. Per esempio, oggi uno dei problemi di cui si lamentano molti svizzeri all’estero è che ricevono troppo tardi il materiale di voto per potere esercitare questo diritto, ha rammentato Altermatt. Perciò l’OSE si batte in continuazione a livello politico affinché sia introdotto il voto elettronico per tutti gli svizzeri all’estero.
Nonostante questa evoluzione, le missioni principali dell’OSE sono rimaste le stesse: gestire l’informazione, la comunicazione e i contatti tra e con le varie comunità di espatriati, sostenerli in caso di necessità, tutelare i loro diritti e rappresentare i loro interessi a livello politico, ha rilevato il professore friburghese.
Non c’è rosa senza spine
Un quadro in chiaroscuro delle conseguenze della mobilità internazionale è stato tratteggiato da Adrian Beer. Il Ceo del gruppo internazionale GrupoBeerCollegamento esterno ha sottolineato che il fatto che sulla Terra vivano sempre più persone costituisce una grande sfida riguardo al riscaldamento globale e all’inquinamento. “Gli uomini si autorottameranno?”, ha chiesto provocatoriamente Beer.
Il Ceo del GrupoBeer intravvede la soluzione nell’equa distribuzione delle opportunità e delle risorse tra la popolazione e nel collegamento tra i paesi per scambiarsi le materie prime inegualmente distribuite sul piano geografico.
Un altro importante aspetto della grande mobilità affrontato durante il Congresso è quello relativo alla formazione e alla ricerca. Campi nei quali la Svizzera è sempre più conosciuta nel mondo, ha rilevato il segretario di Stato per la formazione, la ricerca e l’innovazione, Mauro Dell’AmbrogioCollegamento esterno, illustrando numerosi indicatori in tal senso.
Il numero di studenti e ricercatori che vengono in Svizzera per formarsi è in continua crescita e la maggior parte sono già dottorandi: ciò è al contempo indicativo e induttore di qualità, ha precisato Dell’Ambrogio. Il segretario di Stato ha anche evocato la forte presenza elvetica nelle pubblicazioni scientifiche frutto di collaborazioni internazionali e ha esortato ad adeguare le basi legali affinché l’economia privata sia incitata ad investire maggiormente nella ricerca in Svizzera. Oggi, infatti, investe di più all’estero, si è rammaricato.
Le sfide poste da mobilità globalizzata e nuove tecnologie in materia d’informazione sono invece il tema trattato da Mariano Tschuor, responsabile Mercato e Qualità della direzione generale della Società svizzera di radiotelevisione (SSR). In mezzo al bombardamento costante di notizie che provengono da ogni dove attraverso la rete è estremamente difficile distinguere la propaganda, le speculazioni e le voci di corridoio dai fatti reali, ha osservato. In questo contesto di “self-made news”, dove tutto viene veicolato in un istante in tutto il mondo, “ognuno di noi può essere autore di verità, di mezze verità o di bugie”. È dunque più importante che mai, soprattutto in una democrazia diretta come la Svizzera, disporre di media pubblici o privati indipendenti, che facciano un giornalismo di qualità.
Un futuro con i giovani
Forse con una certa sorpresa per molti, la democrazia diretta è stata evocata da una rappresentante della generazione digitale proprio come uno dei motivi di orgoglio con cui guardano alla patria d’origine i giovani svizzeri all’estero. “Non in tutti i paesi in cui viviamo c’è la possibilità di partecipare alle decisioni in qualsiasi campo come in Svizzera”, ha sottolineato Wanja Kaufmann, illustrando al Congresso attività e aspettative del Parlamento dei giovani svizzeri all’estero (YPSA). Attese che comprendono il rafforzamento e il miglioramento dell’informazione dei giovani all’estero in materia di esercizio dei diritti politici da parte di Comuni, Cantoni e Confederazione, affinché siano incentivati a partecipare attivamente a votazioni ed elezioni in patria. E l’YPSA ha già elaborato proposte concrete in tal senso.
Il Parlamento dei giovani svizzeri all’estero nel suo primo anno di attività si è infatti dato molto da fare, benché i suoi membri siano sparsi in tutto il mondo e i contatti avvengano tramite la rete – social network, skype, e-mail –. Si tratta di “un gruppo molto motivato”, composto di giovani che nonostante gli impegni di studio e di lavoro “riescono sempre a trovare il tempo per dedicarsi all’associazione”, ha assicurato il presidente dell’YPSA, Davide Wüthrich.
Ma entusiasmo e impegno da soli non bastano: per concretizzare i loro progetti di dare nuova linfa e vitalità ai circoli degli svizzeri all’estero, i giovani hanno bisogno anche del supporto morale, politico e finanziario dell’OSE e dei club, ha precisato Wüthrich, invitando i partecipanti al Congresso ad operare in tale direzione.
La penuria di giovani nelle strutture dell’OSE e la difficoltà di molti circoli di svizzeri all’estero di trovare giovani leve dimostrano l’urgenza di agire, ha osservato il presidente dell’YPSA. Egli ha salutato come un passo nella giusta direzione la decisione di ieri del Consiglio degli svizzeri all’estero (CSE), che ha accettato di attribuire di diritto ai giovani tre dei suoi 140 seggi. Ma ora occorre fare di più e in fretta, ha avvertito Davide Wüthrich.
La necessità di promuovere l’integrazione dei giovani, utilizzando il loro linguaggio e i loro mezzi di comunicazione e adeguandosi alle loro esigenze, per garantire un futuro all’OSE e ai circoli degli svizzeri all’estero, è del resto emersa chiaramente anche da un sondaggio condotto tra delegati e membri del (CSE). Questo ha portato all’elaborazione di un piano di priorità per lo sviluppo futuro dell’OSE, adottato ieri dal CSE e presentato oggi al Congresso. Il centenario dell’OSE non è dunque stato solo un’occasione per guardare al passato, ma anche per riflettere sul futuro.
(Traduzione dal tedesco e adattamento: Sonia Fenazzi)
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