Prospettive svizzere in 10 lingue

Sentirsi a casa lontano da casa

Vista sulle Alpi bernesi dal ponte Kornhaus. swissinfo.ch

Sono cresciuta vicino a Chicago, una grande città moderna. Ho però scelto di vivere nella secolare capitale svizzera, Berna, e di adattarmi a una nuova cultura e a nuove tradizioni. Dopo vent’anni di pratica sto per diventare una cittadina svizzera.

Mi ero appena sposata quando sono arrivata a Berna nel settembre 1992. Ho dedicato il mio primo mese alla visita della capitale. Sono andata a spasso lungo le strade acciottolate della città vecchia, ho visitato la fossa degli orsi e ho nuotato nell’acqua gelida di una nota piscina pubblica, sovrastata dall’imponente Palazzo federale, l’edificio che ospita il parlamento elvetico.

Le escursioni a piedi, lo sci e l’arrampicata sono passatempi molto diffusi qui. Ma preferisco guardare le montagne da lontano. A volte sono invisibili, nascoste dalla nebbia o dalle nuvole. In altri momenti, oltre i tetti rossastri della città e le colline verdi circostanti, le Alpi si protraggono verso il cielo come lo scenario di un teatro dell’opera. Quando attraverso il ponte Kornhaus in tram, vedo spesso decine di teste voltarsi per ammirare il panorama.

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“Ogni generazione forgia le proprie visioni della storia”

Questo contenuto è stato pubblicato al Il 50enne basilese ha insegnato storia moderna presso l’università di Heidelberg, in Germania, dal 2004. A partire dal prossimo settembre, assumerà la direzione dell’Istituto storico tedesco a Parigi. In occasione della festa nazionale, lo specialista di storia svizzera ha concesso un’intervista per iscritto a swissinfo.ch. swissinfo.ch: Ha già pronunciato un discorso per il 1° agosto?…

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Parlare la lingua

Ricordo di essere stata impressionata sin dall’inizio dalla multiculturalità del paese. Una sera stavo ascoltando un dibattito alla radio in cui si parlava della corsa alla presidenza americana tra Bill Clinton e George Bush padre. Non avevo mai sentito nulla del genere: una persona si esprimeva in tedesco, l’altra in francese.

Me la cavavo in entrambe le lingue. Ma ci sono voluti altri otto anni prima di capire lo svizzero tedesco. Ho scoperto il dialetto bernese, il Bärndütsch, mentre davo dei corsi di ginnastica per bambine.

Le mie ginnaste di 6 e 7 anni mi hanno aiutata a migliorare le mie conoscenze. Quando facevamo la spaccata sul materassino mi ordinavano: «Prova a dire “Chuechichästli” [l’armadio di cucina]».

Continuavo a ripetere questa parola, che solitamente viene utilizzata per testare la capacità degli stranieri di parlare il dialetto locale. Per me non era un problema. La difficoltà era invece allineare tutte le altre parole necessarie per comporre una frase.

Oggi, mi rassicura il fatto che gli svizzeri non riescono a individuare il mio accento quando mi esprimo tedesco. «Sei olandese?», mi chiedono spesso.

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Integrazione lunga

Sin dall’inizio mi sono detta che non volevo essere etichettata come una straniera. I miei tentativi di integrarmi non sono però sempre stati un successo.

Una volta, in febbraio, mi sono aggregata a un gruppo di famiglie americane per partecipare al tradizionale corteo di carnevale. Ci siamo travestiti da mucca con tanto di corna, coda e tuta bianca dipinta con macchie nere. Orgogliosi, abbiamo sfilato lungo le strade di Berna tirando un carretto con la scritta “The Happy Holsteins” [una razza bovina].

Poi, vedendo le mie foto, un bernese mi ha detto: «Sapevi che le Holsteins vengono da Friburgo, vero? Le mucche bernesi sono marroni».

Essere uno straniero in Svizzera non è sempre facile. Ci sono state numerose iniziative per limitare la popolazione straniera, dall’introduzione di contingenti all’espulsione degli stranieri riconosciuti colpevoli di un crimine. Dietro a queste iniziative c’è il desiderio di mantenere l’alta qualità di vita della Svizzera per coloro che già ci vivono.

Spesso ho sentito i miei amici svizzeri discutere del “problema degli stranieri”. Si rivolgevano poi a me dicendo: «Ovviamente non stiamo parlando di te». Eppure, alcune persone parlavano proprio di me.

Un giorno stavo aiutando degli amici a traslocare in un nuovo appartamento. Nell’atrio dell’edificio, un anziano infastidito ci ha rimproverato di monopolizzare i due ascensori del palazzo. Ha chiesto se i nuovi inquilini fossero degli studenti. «No», ho risposto in tedesco, «è una famiglia con quattro bambini».

Ha storto il naso udendo il mio accento, prima di lanciarmi una parola con la forza di un missile. «Stranieri?».

Siamo entrati insieme nell’ascensore. Mi osservava come se si stesse prendendo gioco di me. «C’è qualcosa che non va?», gli ho chiesto. «Non sono tenuto a rispondere», ha detto lui, sottolineando che comunque «non avrei capito».

E invece avevo capito benissimo. In Svizzera ci vuole tempo per integrarsi.

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Identità nazionale

Apprezzo diverse cose che sono considerate tipiche della Svizzera. Ad esempio la precisione. Da quella della Patrouille Suisse [pattuglia acrobatica delle Forze aeree svizzere] quando vola in formazione a quella che mi permette di viaggiare in treno in tutto il paese. Senza dimenticare le scuse comunicate dall’altoparlante quando il treno arriva con quattro minuti di ritardo.

Adoro anche le tradizioni quali lo yodel, il parquet fatto a mano sul pavimento del mio appartamento o lo stemma araldico di vetro appeso alla porta d’entrata.

In quanto americana, ciò che ammiro maggiormente della Svizzera è però la prossimità dei politici, persino di quelli di alto livello.

Nel 2011, durante il giorno della Festa nazionale, ero seduta a qualche passo dalla futura presidente della Confederazione Eveline Widmer-Schlumpf, che stava pronunciando il suo discorso del 1° agosto in quattro lingue. Non avevo dovuto riservare il mio posto, mostrare la mia carta d’identità o essere un membro del suo partito. Sono semplicemente arrivata, mi sono seduta e ho ascoltato il suo discorso sul significato di essere svizzeri.

Sentirsi a casa

Cosa apprezzo di più della mia vita in Svizzera? Oltre al paesaggio, alle lingue, alle usanze e al sistema politico, ci sono le persone che conosco. I miei studenti, professori, compagni di classe, colleghi di lavoro, vicini, famigliari e amici. Quando sono in città incontro sempre gente che conosco.

La geografia, la lingua, la razza, la religione, l’età e l’educazione sono parametri importanti che definiscono chi siamo. Di fatto, io sono americana. Sono stata condizionata dal luogo, dall’epoca e dal modo in cui sono cresciuta. Ma vivo in Svizzera da 20 anni, più di quanto abbia vissuto nella mia città natale. Ora Berna è casa mia.

Nel gennaio 2011 ho richiesto il formulario per ottenere la cittadinanza elvetica. Il mio percorso verso la naturalizzazione era però già iniziato al mio arrivo in Svizzera.

Se tutto andrà bene, disporrò presto di un passaporto svizzero e avrò diritto di voto. Non vedo l’ora di festeggiare il 1° agosto e commemorare la nascita della Confederazione. Da cittadina svizzera.

Creato nel 1841, l’inno nazionale è una combinazione di una melodia del prete cattolico Alberich Zwyssig e di un testo del poeta Leonhard Widmer.

Sebbene sia stato eseguito per la prima volta negli anni 1840, è stato adottato ufficialmente soltanto 140 anni più tardi, nel 1981.

Il Salmo svizzero è composto da quattro strofe e il testo è disponibile nelle quattro lingue nazionali: tedesco, francese, italiano e romancio.

Traduzione dall’inglese di Luigi Jorio

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