Contadini in crisi
Ogni anno, in Svizzera scompaiono centinaia di aziende agricole. Dietro a queste cifre si nascondono drammi umani e familiari, che a volte finiscono in tragedia. Così è stato nel canton Vaud, dove negli ultimi due anni si sono registrati 12 suicidi. Da oltre un anno, un cappellano di campagna ha il compito di occuparsi di una quarantina di famiglie di contadini in difficoltà. Anche Hans, un contadino nel Seeland bernese, sta passando un brutto momento dopo aver venduto tutte le sue mucche da latte.
Hans* tira su con il naso. La sua stalla è fredda e desolatamente vuota. Appoggiati alla parete un forcone per rassettare la lettiera, una scopa e uno sgabello, un tipico sgabello per mungere con un solo piede. «Non è facile», sospira Hans tra sé, lo sguardo perso nel vuoto. Chissà a che cosa sta pensando? Alle sue 18 mucche che ha venduto l’anno scorso? Al suo futuro difficile da immaginare?
Hans ha superato da poco la cinquantina. Per oltre trent’anni ha munto e portato il latte nel caseificio locale, dove veniva trasformato in yogurt, quark o burro. «Non potevo più andare avanti così», dice rassegnato. Nell’autunno 2015 una doppia ernia al disco lo costringe alla quasi completa immobilità. Solo dopo lunga terapia riesce a rimettersi in piedi. Se da giovane avrebbe spostato una montagna, oggi deve riguardarsi.
Poi, l’estate scorsa, si sono aggiunti gravi problemi con la fertilità delle mucche. «Nessuno è stato in grado di scoprire la ragione di questa difficoltà», ricorda Hans. Infine, una stalla da ristrutturare, costruita trent’anni prima e con un’attrezzatura segnata dal tempo. Avrebbe dovuto contrarre un debito; un investimento che gli fa tremare le gambe e che forse non ha futuro, visto che i quattro figli, al momento, hanno scelto un percorso professionale diverso.
Alla fine del 2016, Hans getta la spugna. «Io non ho fallito», dice. «Io sono un contadino che ama profondamente la sua professione e gli animali, ma che non è più disposto a mungere a qualunque prezzo». La sua è una decisione che gli sconvolge la quotidianità. «Prima erano le mucche a dettare i ritmi della giornata: alla mattina scendevo in stalla e mi occupavo di loro. Adesso il tempo non sembra passare mai». Quest’inverno veste i panni del casalingo, mentre la moglie è via per lavoro. D’estate coltiverà i suoi terreni – poco più di una ventina di ettari – e cercherà di sbarcare il lunario vendendo fieno, erba, mais e paglia. «Ma non sarà facile», sospira.
Altri sviluppi
Agricoltura senza il trucco
Vittime della macina dell’innovazione
Ogni anno, in Svizzera scompaiono centinaia di aziende agricole. Dal 1980 il loro numero si è dimezzato. Oggi sono poco più di 53mila. Nel solo 2015 ne sono sparite 800, soprattutto di piccola e media grandezza, in maniera particolare quelle specializzate nella produzione di latte. A crescere sono invece le aziende grandi, specialmente quelle superiori ai 50 ettari. «Come in tutti i settori economici, anche in agricoltura è in atto un cambiamento strutturale», ci spiega Gianluca Giuliani, ingegnere agronomo ed esperto di economia agraria. «Le aziende agricole sono obbligate a crescere per produrre in maniera redditizia e sostenibile oppure a trovare nicchie di attività, per esempio la gestione di un agriturismo o la vendita diretta, per aumentare le loro entrate. Ma non sono vie percorribili per tutti. Quelle medio-piccole che non sono riuscite a rimanere al passo con i tempi sono purtroppo destinate a scomparire».
È un’evoluzione, quella in atto nel settore agricolo elvetico, che si può analizzare anche in termini economici, indica Giuliani più avanti. Stando a Willard Cochrane, esperto americano di economia agraria, questo processo di trasformazione è favorito da un meccanismo: la cosiddetta macina dell’innovazione tecnologica (agricultural technology treadmill, in inglese). È un meccanismo a più fasi che Giuliani sintetizza così: «Un’innovazione tecnologia provoca una sovrapproduzione con il conseguente crollo dei prezzi. Una situazione che fa fallire i contadini anziani, poveri o indebitati per aver acquistato le nuove attrezzature. Il loro fallimento causa una riduzione della produzione e un aumento dei prezzi. E poi, purtroppo, il meccanismo ricomincia daccapo».
Famiglie disperate assistite da un cappellano
Una macina che produce centinaia di vittime ogni anno, tra cui anche il contadino Hans. Dalla sua stalla osserva dall’alto la città nel Seeland bernese. Finalmente l’opprimente cappa di nebbia si è diradata per lasciare posto a un cielo blu fiordaliso. «Prima o poi, per me si aprirà una porticina verso una nuova attività professionale», ci dice pieno di speranza. Non è però facile cambiare vita dopo aver lavorato per decenni in maniera indipendente, a contatto con gli animali e all’aria aperta. Per qualcuno, il futuro è nero come la pece, senza vie d’uscite.
Negli ultimi due anni, 12 contadini si sono tolti la vita nel canton Vaud. Una serie di suicidi che ha suscitato grande preoccupazione nel ceto agricolo, corso subito ai ripari. Dall’autunno 2015, un parroco di campagna si occupa degli agricoltori in crisi. Al momento, Pierre-André Schütz, cappellano del villaggio di Autavaux, nei pressi del lago di Neuchâtel, accompagna una quarantina di famiglie. «Incontro uno sconforto umano, esistenziale. Sono persone che hanno paura dell’avvenire», racconta ai microfoni della Radio svizzero tedesca SRF.
Pierre-André Schütz sa il fatto suo. Contadino fino all’età di 52 anni, dopo una depressione decide di studiare teologia. Ora ha 67 anni e dovrebbe essere in pensione, ma non ha tempo di riposare. Il suo incarico al 50 per cento lo impegna a tempo pieno. «Sono stato sommerso dalle richieste di aiuto. Finora avevamo completamente sottovalutato la disperazione che regna nel ceto agricolo», indica Schütz. Un contadino che va in fallimento è costretto a vendere fattoria e terreni, tramandati per generazioni di padre in figlio. «È una vergogna, un’umiliazione a volte insopportabile», ricorda Schütz.
Telefono amico dei contadini
Il cambiamento strutturale in atto nel settore agricolo non è certo l’unico responsabile di questa nera disperazione. È un concorso di difficoltà, acuite dalla crescente pressione esercitata sulle famiglie di contadini. «In agricoltura più generazioni, nonni, genitori e figli, vivono sotto lo stesso tetto. La convivenza è problematica, oggi più di una volta, perché le esigenze sono mutate rispetto al passato», ci dice Lukas Schwyn, sacerdote in una parrocchia nell’Emmental e presidente del telefono amico dei contadini. «La maggior parte delle donne contadine ha un’ottima formazione e vuole realizzarsi professionalmente anche al di fuori dell’azienda agricola. Spesso l’uomo vuole che i ruoli tradizionali rimangano immutati».
Creato nel 1996, il telefono amico dei contadini è gestito da un’associazione di pubblica utilità. Negli ultimi anni ha registrato un aumento delle richieste di aiuto. Nel 2015 ha ricevuto 153 chiamate, quasi il doppio rispetto al 2011. A chiamare sono sia uomini che donne. Il 39 per cento ha chiamato a causa di conflitti familiari, il 24 per cento per problemi finanziari e il 17 per cento per difficoltà economiche. «Al momento molti contadini si interrogano, soprattutto quelli di età compresa tra i 50 e i 65 anni, se non sia il caso di mandare tutto all’aria», ricorda Schwyn, indicando che i suicidi nella Svizzera romanda non vanno imputati unicamente alle difficoltà economiche favorite dall’attuale politica agraria, bensì a problemi personali e di coppia. «Sono rare le telefonate di un contadino che ci comunica che ha intenzione di suicidarsi. Registriamo però un crescente numero di chiamate di persone che soffrono di depressione e burn-out».
Intanto qualcosa si sta muovendo in tutta la Svizzera per soccorrere i contadini in difficoltà. Dalla primavera 2015, i rappresentanti di sportelli di aiuto per i contadini della Svizzera tedesca si incontrano nel quadro della piattaforma «Notfallhilfe» (aiuto in caso di emergenza) per scambiarsi esperienze e imparare gli uni dagli altri. Nel canton Vaud, questo inverno veterinari, controllori e rappresentanti delle cooperative agricole – un centinaio di persone a stretto contatto con i contadini – vengono formati affinché riconoscano in tempo i segni premonitori di un possibile suicidio.
Dopo la nostra chiacchierata, Hans, il nostro contadino nel Seeland bernese, chiude la porta della sua stalla e strascicando gli zoccoli sul terreno rientra a casa. Un gattino gli si fa incontro, miagolando. Ha fame. Hans prende la bottiglia del latte dal frigorifero e gliene versa un po’ nella scodella. Non è suo quel latte. Lui, di mucche, non è ha più.
*(nome noto alla redazione)
Sistema dei pagamenti diretti
Ogni anno, in Svizzera le poco più di 53mila aziende agricole si suddividono tra di loro circa 2,8 miliardi di franchi di pagamenti diretti. Stando a un rapporto dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), la Confederazione è il Paese che più sovvenziona l’agricoltura tra i 34 Stati dell’OCSE. Nel 2015, circa il 62 per cento del reddito delle aziende agricole proveniva dalle casse pubbliche. Rispetto al passato, il settore primario dipende meno dall’aiuto statale. Per esempio, negli anni 1986-1988, le sovvenzioni rappresentavano circa il 78 per cento delle entrate dei contadini.
Fino al 2013, i mezzi finanziari si distinguevano in pagamenti diretti generali ed ecologici. Dal 2014, con l’adozione della Politica agricola 2014-2017, esistono sette tipi di contributi con cui vengono sostenute prestazioni dell’agricoltura non remunerate dal mercato, come la preservazione del paesaggio rurale, la tutela della biodiversità o la promozione di metodi di produzione rispettosi dell’ambiente.
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