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Un museo high-tech per rendere onore alle Olimpiadi

Scultura all'esterno del rinnovato Museo olimpico di Losanna. AFP

Il Museo olimpico di Losanna ha riaperto le sue porte al pubblico a poche settimane dai Giochi invernali di Sochi. Con una strabiliante esibizione di prodezze tecnologiche, celebra la gloria delle Olimpiadi. Tralascia invece le controversie suscitate dal grande evento sportivo.

Sebbene si presenti come un museo, l’impressionante edificio sulle rive del lago Lemano è stato ridisegnato in quello che sarebbe più corretto definire un tempio in onore delle Olimpiadi, in stile disneyano.

Inizialmente, il museo costruito nel 1992 era un omaggio cronologico alla storia delle Olimpiadi. Il 21 dicembre 2013, dopo una chiusura di due anni e lavori di restauro per 55 milioni di franchi, è rinato dotandosi di tutta la tecnologia e l’elettronica del XXI secolo.

In una sezione del museo, alcune immagini in 3D consentono ai visitatori di rivivere i giochi originali di Olimpia, nell’Antica Grecia. Visivamente, il museo è impressionante, forse un po’ kitsch, come le gocce di pioggia che scorrono lungo la finestra dello studio di Pierre de Coubertin, il fondatore delle Olimpiadi moderne. Lo scopo è di far leva sulle emozioni.

Losanna, capoluogo del canton Vaud, è sede del Comitato Olimpico Internazionale (CIO) dal 1915. In quell’anno, il fondatore dei moderni Giochi olimpici, il francese Pierre de Coubertin, trasferì la sede da Parigi alla località svizzera.

I colori dei cinque anelli delle Olimpiadi sono quelli presenti nelle bandiere delle nazioni che hanno partecipato alle prime cinque edizioni delle Olimpiadi.

Il CIO conta attualmente 204 membri, più di quanto ne riuniscono le Nazioni Unite.

Immersione totale

Nello spazio semicircolare al centro dell’edificio, un enorme mosaico di schermi immerge lo spettatore nelle fasi preparative dell’atleta, che precedono la gara.

«Tramite questa tecnica di immersione totale siamo dentro la testa degli atleti: invitiamo i visitatori a provare le loro emozioni», spiega il curatore del museo Frédérique Jamolli, mentre le espressioni “desiderio”, “determinazione” e “Questo è il mio momento” lampeggiano sugli schermi e la musica accelera come il motore di una Porsche.

Quella del museo è stata una scelta di fondo, afferma a swissinfo.ch il suo direttore, Francis Gabet, secondo cui «la gente viene qui per le emozioni». Alla domanda se la tecnologia non rischia di essere al centro dell’attenzione, Francis Gabet risponde che le immagini sono sufficientemente forti per parlare da sole. «Vogliamo che la gente percepisca la terra, l’erba, l’agitazione».

Come un film

La visita inizia nella parte superiore dell’edificio e scende a spirale lungo tre piani. «L’abbiamo pensata come un film, con uno storyboard e diversi scenari per ogni tematica», indica il direttore. Ogni piano si focalizza su un tema particolare.

Il primo è dedicato al “Mondo olimpico” e alla sua storia. Qui, il Movimento olimpico si autodefinisce la miglior cosa che sia mai capitata all’umanità. Il visitatore fa la conoscenza dell’uomo che ha contribuito all’organizzazione di entrambi i Giochi, antichi e moderni. Con un pizzico di nostalgia si possono ammirare le torce di tutte le edizioni dal 1936. Inoltre, viene spiegato come si è fatto fronte, con efficienza ed eleganza, ai contesti brutali in cui si sono svolte le Olimpiadi.

«Avevamo bisogno di mostrare che l’avventura olimpica appartiene agli atleti. Quest’ultimi non sono tuttavia soli», dice a swissinfo.ch Frédérique Jamolli.

In questa sezione del museo, l’idea è di mettere in risalto la creatività degli architetti, dei designer, degli urbanisti e degli artisti che hanno contribuito a dare forma ai Giochi. Non c’è invece nulla che ricorda le maestose infrastrutture costruite in fretta e furia, ora inutilizzate, che le città organizzatrici non sono state in grado di preservare. Non si menzionano neppure le conseguenze finanziarie a lungo termine con cui sono confrontati i paesi ospitanti.

Il Museo olimpico era stato disegnato dall’architetto messicano Pedro Ramírez Vázquez, membro del Comitato Olimpico Internazionale, e dall’architetto svizzero Jean-Pierre Cahen. È stato aperto nel 1993 ed è stato nominato Museo europeo dell’anno nel 1995.

Dopo lavori di rinnovo e di ampliamento durati 23 mesi, e condotti dallo studio di architettura svizzero Brauen & Wälchli, il museo è stato riaperto al pubblico il 21 dicembre 2013.

La superficie espositiva è quasi raddoppiata. Oltre all’esposizione permanente (in cui sono presenti oltre 1’500 oggetti) vi è anche uno spazio in cui verranno organizzate due mostre temporanee all’anno.

Il nuovo museo è stato ribattezzato TOM, un acronimo di “THE Olympic Museum”. Nel mondo vi sono più di 60 musei olimpici.

Una lente sulla società

Il secondo piano è un viaggio attraverso i “Giochi olimpici”. È una celebrazione dei grandi atleti, senza i quali i Giochi non esisterebbero. Il loro equipaggiamento ne racconta la storia, mentre un film ne ripercorre i momenti di gloria. «Qui si può vivere per davvero la competizione», osserva il curatore.

La terza sezione è chiamata “Spirito olimpico” e illustra gli ingredienti necessari per diventare un campione. Vengono tuttavia tralasciate le questioni etiche con cui sono confrontati.

«Ciò che vorremmo spiegare è che il Movimento olimpico non significa solo Olimpiadi. È anche una lente per osservare la società», sottolinea Frédérique Jamolli.

Il visitatore può infilarsi dietro le quinte delle Olimpiadi per osservare la preparazione – fisiologica, psicologia e nutrizionale – degli atleti. Accanto a prodotti Findus e Tesco vi sono materiali innovativi che aiutano a migliorare le prestazioni. Ad esempio le scarpe high-tech o le leghe che hanno sostituito il bambù nel salto in alto.

E dove sono quelle sostanze illegali utilizzate per migliorare la performance? Il tema non è più tabù, reagiscono il direttore e il curatore del museo. È un problema ricorrente che il museo non vuole ignorare.

«Quando parliamo di doping, non è per denunciare un atleta, bensì per spiegare il lavoro della WADA, l’Agenzia mondiale anti doping, e illustrare come si possono trovare alternative e lottare contro il doping», puntualizza Frédérique Jamolli. «Stiamo vincendo la guerra, ma non le battaglie», rileva Francis Gabet.

Sfide delicate

L’inaugurazione del museo è coincisa con il giorno in cui il presidente uscente Jacques Rogge, in carica per dodici anni, ha trasmesso le redini olimpiche al suo successore Thomas Bach, suo vicepresidente per un decennio.

Avvocato e vincitore di un oro olimpico nella scherma, il tedesco Thomas Bach è stato recentemente eletto alla testa del Comitato internazionale olimpico non senza polemiche. Secondo alcuni, i suoi legami con le aziende e con il mondo arabo sono troppo stretti per garantire la sua indipendenza.

«Questo museo è uno dei pilastri delle Olimpiadi», ha detto Thomas Bach durante il suo primo discorso da presidente.

Per il momento, nel museo di Losanna non c’è alcuna traccia delle sfide che dovrà affrontare il nuovo presidente olimpico. Tra queste: la recente legge contro l’omosessualità in Russia, le proteste sociali in Brasile suscitate dai costi delle Olimpiadi estive del 2016 e dai Mondiali di calcio del 2014, la collusione dei giudici olimpici, i numerosi decessi sui cantieri in cui si lavora senza tregua e la crescente importanza dei social media, che ha già portato alla squalifica di due atleti, rei di aver twittato messaggi giudicati deplorevoli.

Traduzione e adattamento dall’inglese di Luigi Jorio

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