Un ottimo medico, ma una cattiva madre
Non per soldi, ma per soddisfazione professionale: è questo che motiva Indira Gandhi a fare il medico in un borgo della costa sud-orientale dell'India. La dottoressa si occupa di molte persone bisognose.
Il flusso dei pazienti all’Ospedale Suradeep a Mamallapuram, nel Tamil Nadu, è in parte dettato dall’orario degli autobus e sul personale si fa pressione per fare in modo di non dover restare troppo a lungo ad aspettare il bus.
Resto indecisa sul da farsi nella sala d’aspetto affollata finché un uomo dai capelli bianchi mi consiglia di chiedere un gettone alla reception. Mi attendo un oggetto simile a una moneta. Invece mi vien consegnato un piccolo pezzo di cartone tagliato da una confezione di pastiglie, sul quale è scarabocchiato il numero 11.
Quando la dottoressa, che indossa un sari, viene a sapere che io sono una giornalista sana, mi chiede se posso tornare più tardi quella notte. A quell’ora ci sono effettivamente meno persone, ma più zanzare nella sala d’attesa, con le sue semplici sedie in metallo e un ventilatore appeso al soffitto che produce un ronzio. Alle pareti sono appesi manifesti con informazioni sulla rabbia, l’influenza suina e la perdita di capelli.
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Indira Gandhi, un nome predestinato
È da 20 anni che Indira Gandhi corre in questo ospedale con una ventina di letti. Quando mi dice il suo nome, nota che sono sorpresa.
“Sono nata il giorno in cui lei è stata eletta prima ministra. Mio padre era un politico e lui mi ha dato il suo nome. Aveva la sensazione che sarei dovuta diventare un medico o un politico e che avrei prestato servizi di utilità pubblica”, racconta ridendo.
Il senso di servire la comunità sembra impresso su di lei: in tutti questi anni non si è mai presa una vacanza, in totale ha fatto forse una trentina di giorni di riposo. Normalmente è l’unico medico di turno, i membri dello staff sono infermieri.
Nell’ospedale di due piani, i pazienti sono accolti dal mattino alle 8 fino a mezzanotte. Indira Gandhi abita accanto. Ciò le permette di rientrare a casa per i pasti.
Il reddito medio pro capite in India è di circa 50mila rupie (875 franchi) all’anno, ma oltre il 40% degli 1,2 miliardi abitanti del paese vive con meno di 1.18 franchi al giorno.
Una confezione di dieci pastiglie di antidolorifici di base in media costa da 0.04 a 0.43 franchi, mentre una di farmaci più sofisticati costa 4 franchi.
La maggior parte degli indiani paga i medicamenti di tasca propria. Altri hanno un’assicurazione sanitaria privata che copre il costo dei farmaci su prescrizione. In alcuni Stati indiani, i pazienti bisognosi beneficiano di assistenza sanitaria – compresi i medicinali – finanziata con fondi pubblici.
Privato contro pubblico
Suradeep è un ospedale privato: probabilmente più costoso di uno a conduzione pubblica, ma non così caro come alcuni insediati nelle città.
“La gente sceglie un ospedale in base al proprio status socio-economico e in base ai servizi offerti”, dice la dottoressa. “Il mio ospedale non è come altri, come quelli privati a Chennai, dove si deve pagare una tassa di consulenza solo per registrare il proprio nome. Gli onorari vanno da 50 a 500 rupie (1-10 franchi)”.
Secondo la Gandhi, “negli ospedali pubblici tutto – comprese le operazioni – è essenzialmente gratuito, a parte i costi addebitati per alcune prestazioni particolari, come la TAC e qualche altra diagnostica”.
L’ospedale Suradeep è specializzato in cure primarie come pure in diagnostica di laboratorio e fisioterapia. La maggior parte dei pazienti sono pescatori e commercianti. La dottoressa cura anche circa 500 turisti all’anno, principalmente per problemi digestivi e dermatologici.
“La gente può venire a parlare con me e fatturo in base a quello che può permettersi. Così, per esempio, ai gitani dò una consulenza gratuita e loro devono pagare solo i medicinali. A volte riesco anche a dare loro i campioni gratuiti che ricevo dalle case farmaceutiche”, spiega.
Nella sala d’attesa, mi accorgo di quanto i pazienti ricevono piccole dosi di farmaci invece dell’intera confezione. C’è un grande contrasto con lo spreco dei paesi ricchi occidentali, in cui i pazienti spesso ricevono un surplus che poi gettano via.
“Cerchiamo di distribuire esclusivamente i farmaci di marca, benché siano molto costosi rispetto ai generici. Ma vogliamo dare loro la migliore qualità. In ogni caso, essi dovrebbero seguire l’intero corso del trattamento, specialmente nel caso di antibiotici. Non è possibile saltare un giorno”.
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Troppo caro?
Anche se alcuni si lamentano che costano troppo, la dottoressa Gandhi ritiene che i farmaci su prescrizione medica in linea generale non siano eccessivamente cari in India.
In alcuni stati indiani, come il Tamil Nadu, i pazienti bisognosi che hanno il diabete, malattie cardiache e altre malattie croniche beneficiano di medicinali gratuiti. Parte del lavoro di Indira Gandhi consiste nel chiarire se il paziente necessita di aiuti finanziari.
“Io consiglio i miei pazienti, spiegando che potrebbe essere necessario pagare 300 rupie al mese per il resto della loro vita. Se questo rappresenta un onere finanziario al di sopra delle loro possibilità, li mando in un centro medico pubblico”, dice la Gandhi. “Ma non so come procedono gli altri medici. Forse, alcuni dicono semplicemente ai pazienti che devono comprare il trattamento in questione”.
Per la dottoressa Gandhi, il denaro non è la motivazione principale. “Dobbiamo fare il nostro dovere con il cuore, non per soldi. Si tratta di soddisfazione professionale, di servizio e sacrifici. Questo è il caso soprattutto di medici donne; sacrifichiamo molte cose nella nostra vita familiare”, osserva. Suo figlio, oggi ventenne, ha spesso detto che lei è un bravissimo medico, ma una cattiva madre.
Prima di andarmene, le chiedo qualche consiglio “materno”, come per esempio se è sicuro tornare a piedi in albergo solo ora, alle 10 di sera. “Ma certo. Qui le donne possono star fuori fino a tardi. Ma attenzione ai cani. A volte mordono gli stranieri e qui c’è la rabbia”.
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