Le porte dell’università di Zurigo si aprono ai rifugiati
Hanno abbandonato il loro paese a causa di guerre e violenze, ma non il sogno di continuare a studiare. Per molti rifugiati in Svizzera l’accesso all’università resta però estremamente difficile, soprattutto quando i diplomi non vengono riconosciuti. L’università di Zurigo apre loro le porte, il tempo di un semestre.
Mambo Mhozuyenikono* non avrebbe mai pensato di ritrovarsi in Svizzera, un paese di cui conosceva poco o nulla.
«Sapevo che la Svizzera è il paese del cioccolato», racconta il 23enne, che da sette mesi vive in un centro d’accoglienza per rifugiati nei pressi di Zurigo.
Durante il viaggio in aereo dallo Zimbabwe, la sua terra natia, Mambo continuava a chiedersi se in Svizzera la gente parlasse anche inglese. Al suo arrivo si è reso subito conto che l’inglese non era un problema. Se avesse voluto continuare gli studi avrebbe però dovuto imparare anche il tedesco, una lingua che non aveva praticamente mai sentito prima.
Mambo non si è per questo scoraggiato, anche perché continuare gli studi è sempre stato il suo sogno. Con alle spalle un Bachelor in sviluppo internazionale e due progetti di ricerca iniziati in Zimbabwe, ha così cercato di documentarsi sulle offerte degli atenei elvetici.
Finché un giorno si è imbattuto in una pubblicità sulla homepage dell’università di Zurigo: un semestre di prova per i rifugiati. Il giovane ha deciso di tentare la sorte e dopo una serie di colloqui è stato integrato in questo progetto pilota, promosso dall’associazione studentesca VSUZH con il sostegno di Amnesty International.
Un progetto pilota
Dalla primavera del 2017, l’università di Zurigo ha aperto le sue porte a venti rifugiati, otto donne e dodici uomini. La metà proviene dalla Siria; gli altri da Eritrea, Afghanistan, Iran, Zimbabwe, Cecenia e Palestina.
Selezionati tra ottanta candidati, gli studenti hanno la possibilità di seguire per un semestre i i corsi che più li interessano. Non possono però dare gli esami, né hanno diritto ai crediti universitari, poiché formalmente non sono considerati studenti, ma uditori.
Per essere ammessi all’università, i candidati stranieri – indipendentemente dal loro statuto – devono infatti rispettare diverse condizioni: far riconoscere il diploma conseguito all’estero o, in caso contrario, sostenere un esame di equipollenza della maturità federale, nonché avere buone conoscenze linguistiche (livello europeo C1).
Gli esami per il riconoscimento dei diplomi – denominati ECUS – sono però estremamente difficili, denuncia Christian Schmidhauser, copresidente dell’associazione studentesca VSUZH. Esistono corsi che preparano agli esami, prosegue il ricercatore, ma a Zurigo i costi possono raggiungere i 13mila franchi.
In gennaio, l’Unione Svizzera degli e delle Universitari-e (USU) – che rappresenta le diverse organizzazioni studentesche – ha dunque chiesto agli atenei, ai cantoni e ai servizi sociali di facilitare l’ammissione dei rifugiati nelle università, ripristinando un sistema di sovvenzioni per gli esami ECUS.
Il tema non è però attualmente oggetto di discussione, dichiara a swissinfo.ch Martina Weiss. La segretaria generale di swissuniversities sottolinea inoltre non è prevista nessuna riduzione della tassa d’iscrizione agli esami ECUS, che nella Svizzera francese è di 870 franchi e in quella tedesca di 980.
«Gli attori coinvolti sono molti, a partire dalle università fino alle autorità migratorie passando per i rappresentanti del mondo politico», afferma Martina Weiss. «È chiaro che sarebbe bello permettere ai rifugiati di continuare gli studi, ma l’impulso deve venire da tutte le parti e non solo da una».
Tutti i potenziali studenti devono essere trattati in modo equo, sottolinea Martina Weiss. «È senza dubbio importante che i rifugiati possano accedere all’università, ma è altrettanto importante garantire una parità di trattamento tra i rifugiati e gli studenti svizzeri».
L’esperienza svizzera
Mambo è felicissimo di poter partecipare a questo progetto pilota. Affronta i corsi pieno di energia e pende letteralmente dalle labbra dei professori.
L’università di Zurigo non è l’unica ad aver aperto le porte ai rifugiati: attualmente sono almeno otto gli atenei in Svizzera che stanno cercando di facilitare – con progetti diversi – l’integrazione di questa categoria di studenti.
Sulla base delle esperienze realizzate a Basilea e in Germania, a Zurigo si è deciso di non esigere dai rifugiati un livello di competenze linguistiche troppo alto, perché ciò avrebbe escluso una buona fetta di candidati.
L’associazione studentesca VSUZH si è poi battuta affinché i partecipanti avessero accesso alla biblioteca, alla mensa e alle diverse attività sportive.
Oggi Mambo si sente fortunato: a Zurigo sta seguendo dei corsi in studi internazionali comparati. La materia gli interessa e i professori parlano inglese. Vorrebbe depositare una domanda d’ammissione all’università, ma al momento i requisiti gli sembrano ancora troppo alti.
«Spero che in futuro ci sia una certa comprensione per le persone che non sono in grado di fornire tutte le informazioni richieste», afferma. «Sarebbe utile invitare i candidati a un colloquio, per vedere se hanno le qualifiche necessarie. In caso contrario si rischia di escludere persone che hanno la capacità di far avanzare le idee su temi che vengono studiati all’università».
* Nome noto alla redazione
Traduzione dall’inglese, Stefania Summermatter
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