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Una donna svizzera senza passaporto svizzero

Cate Riley auf einer Fotomontage
Helen James, swissinfo.ch

Cate Riley, figlia di genitori confederati, è stata adottata da una famiglia australiana negli anni Settanta. Ora vuole essere riconosciuta legalmente come cittadina svizzera. 

Due adolescenti imbacuccati attendono in piedi accanto al padre nell’atrio della stazione ferroviaria di Basilea. La madre sta scendendo dalla scala mobile. Accenna un saluto con la mano in aria, raggiante nonostante le temperature rigide. Si chiama Cate Riley. 

Dev’essere un po’ uno shock termico per la famiglia, che arriva direttamente dall’estate australiana. Hanno alle spalle 17’000 chilometri di viaggio in aereo. “Abbiamo dovuto comprare giacche e scarpe nuove, a casa non abbiamo mai avuto bisogno di niente del genere”, dice Riley. 

Riley è australiana, ma le sue radici sono svizzere. Con questo viaggio in Europa, sta seguendo le orme dei suoi genitori. Allo stesso tempo, è anche in missione per ottenere la cittadinanza elvetica. La 52enne vuole diventare ciò che, in senso stretto, è sempre stata: svizzera. Ma l’impresa non è così semplice. 

>> Video: il viaggio di Cate Riley alla ricerca delle sue radici svizzere:

Riley, suo marito Rob, la figlia Ginny e il figlio Oscar salgono sul treno a Basilea per Delémont, la capitale del canton Giura. È il cantone natale del padre di Riley. “Ha trascorso molto tempo qui in gioventù”, dice lei. 

Quella bambina dai capelli rossi 

Riley è stata adottata. Nasce il 5 settembre 1970 a Sydney con il nome di Margrith. In un periodo in cui in Australia c’è il boom di adozioni – 10’000 nel 1970 – le autorità esortano le donne single a dare i loro bambini e le loro bambine in adozione. La società nega loro la capacità di prendersene cura da sole. 

La madre naturale, una donna svizzera che vive da sola in Australia, non ha altra scelta che rinunciare alla figlia, frutto di una breve relazione. “All’epoca ci si aspettava che queste madri si dimenticassero dei loro bambini e andassero avanti come se non fosse mai successo nulla”, racconta Riley. 

A un mese di vita, Riley va a vivere con i suoi genitori adottivi, che risiedevano nell’agglomerato di Sydney e la battezzano Catherine Nicole, un nome inglese. “Sono rimasta in ospedale per un mese intero finché non sono stati trovati dei genitori che potessero combaciare con una bambina dai capelli rossi”, racconta. Riley cresce con un fratello di nove anni più grande, il figlio biologico dei suoi genitori adottivi. 

Va a scuola con bambini e bambine adottati come lei. “Non se ne parlava, ma ci legava”. Ma anche lì viene presa in giro per questo motivo. 

Ciononostante, ha una bella infanzia, anche se il pensiero delle sue origini non l’abbandonata mai. “Mi mancava una vicinanza naturale tra me e la mia famiglia adottiva”, dice Riley. Desidera un legame più profondo. 

Cate mit ihren Adoptiveltern
Cate Riley (al centro) con i genitori adottivi Alan (a sinistra) e Dawn alla festa di laurea. zVg

Allo stesso tempo, vive – ancora oggi – un conflitto interiore: quello di rimanere fedele ai suoi genitori adottivi. Non vuole ferirli con la sua curiosità, che però viene risvegliata di continuo. Ad esempio, con i regali di compleanno dei parenti, come un orologio a cucù. 

Sono oggetti che vengono dall’Europa, proprio come la stessa Riley. Per lei non è mai stato un segreto che i suoi genitori biologici non siano australiani. 

La ricerca della madre divenne un’odissea 

Anche allora Riley vorrebbe saperne di più, ma fino al 1991 in Australia non è possibile consultare i documenti di adozione. È l’epoca delle adozioni segrete. All’inizio degli anni Novanta la legge cambia e all’età di 21 anni le viene finalmente concesso di accedere ai registri. “Il fatto che fossi svizzera è stato del tutto inaspettato”, racconta oggi Riley. 

Tutto questo accade in anni in cui non si possono trovare informazioni su un Paese e la sua popolazione su internet in qualche clic. La prima cosa che Riley fa è contattare l’Ufficio nazionale svizzero del turismo per avere informazioni sulla sua nazione d’origine. “All’epoca non sapevo nemmeno dove fosse la Svizzera”. 

Trovare la madre naturale diventa un’odissea per Riley. “Ho cercato negli elenchi telefonici, nelle biblioteche e presso le autorità”, racconta. Ma nessuno in Australia aveva un nome simile a quello di sua madre. “Ho perso le speranze un paio di volte”. 

Un giorno, le ricerche di Riley in Australia la portano a scoprire l’esistenza di una donna con lo stesso cognome della madre naturale. “Le scrissi una lettera chiedendole se conoscesse mia madre”. Viene fuori che la donna contattata è la sorella gemella di sua madre. “Mia zia trasmise la lettera a mia madre”. 

Dopo cinque anni di ricerche, Riley trova finalmente la sua mamma naturale. Seguono settimane di corrispondenze, finché l’allora 25enne vola a Brisbane, dove la madre vive con le due figlie e il marito australiano. 

Cate trifft das erste Mal ihre leibliche Mutter und ihre Halbschwester
Al loro primo incontro, nel 1995, Cate Riley (al centro) conosce non solo sua madre Margrith (a destra), ma anche le sue due sorellastre. Nella foto: Vera. zVg

L’arte nel sangue 

“Mia madre era molto felice e grata quando sono tornata nella sua vita”, racconta Riley. Margie, come Riley chiama la sua madre biologica, ha sempre pensato a lei, ma aveva le mani legate. Non le era permesso di cercarla. 

Cate Riley am Zeichnen
Sulle orme del padre: Cate Riley disegna i tetti di Delémont, la città natale del padre biologico. Melanie Eichenberger, swissinfo.ch

È allora che la giovane donna viene a sapere che anche suo padre, che aveva già lasciato l’Australia prima che Riley nascesse, è svizzero. La nuova famiglia la accoglie immediatamente. “Tutti sono venuti in Australia per conoscermi”. 

Nemmeno il padre l’ha dimenticata. Ci vorranno alcuni anni, però, prima che renda partecipe anche la sua “seconda” famiglia e racconti loro dell’esistenza di Riley. 

Per la madre adottiva di Riley è stato difficile. “Ha avuto paura di perdermi a causa della mia madre biologica”. 

Nel frattempo, Riley e la sua famiglia siedono in un caffè di Delémont. La 52enne guarda fuori dalla finestra e disegna i tetti innevati della capitale del Giura. 

Cresciuta con genitori adottivi che non hanno alcun legame con l’arte, Riley deve lottare per poter studiare grafica. L’incontro con i suoi genitori biologici la incoraggia nella scelta della professione. Suo padre e sua madre sono disegnatori, suo nonno è un artista. “Improvvisamente ho capito da dove avevo preso il mio talento musicale e artistico”. 

Il caso legale è complicato 

Il viaggio prosegue verso Courfaivre, dove è cresciuto il padre di Riley. La donna vuole trovare la casa in cui viveva. La famiglia percorre il borgo innevato in lungo e in largo, invano. Congelati, madre, padre, figlio e figlia salgono sul treno per St. Ursanne prima di tornare a Basilea. 

Anche se non hanno trovato la casa, il loro lungo viaggio dall’Australia alla Svizzera non sarà vano.  Due giorni dopo la gita nel Giura, Riley siede con il marito Rob in uno studio legale di Zurigo: vuole provare a ottenere la cittadinanza svizzera. 

Familie in Courfaivre
Per il marito Rob, la figlia Ginny e il figlio Oscar si tratta del primo viaggio fuori dall’Australia. Il fatto che nevichi è una grande gioia per tutta la famiglia. Melanie Eichenberger, swissinfo.ch

È la sua famiglia svizzera a far scattare qualcosa in lei durante una delle tante riunioni di famiglia. Se le sue sorellastre, che sono svizzere solo per metà, avevano un passaporto svizzero, anche lei ne avrebbe diritto. 

Riley comincia le sue ricerche, si informa, chiede al consolato e alle comunità svizzere. Viene trasferita da un ufficio all’altro oppure riceve risposte negative. All’inizio pensa che non ci sia nulla da fare. Ma nel corso degli anni sente una profonda ingiustizia. “In fondo sono svizzera, non mi hanno scambiato il sangue con l’adozione”. 

“Il caso di Cate Riley è complesso”, dice Marad Widmer, l’avvocato della Riley. L’avvocato vede una possibilità, ma non può dare garanzie di successo. 

La cittadinanza svizzera scade a 25 anni 

Per legge, un bambino o una bambina nati all’estero da un genitore svizzero e avente una nazionalità diversa perde automaticamente il passaporto svizzero all’età di 25 anniCollegamento esterno. Questo a meno che non si sia registrato presso un’autorità svizzera o abbia dichiarato per iscritto di voler mantenere la cittadinanza svizzera. Se la cittadinanza svizzera decade per un genitore, anche i figli e le figlie la perdono. 

Ci sarebbe la possibilità di annullare l’adozione, ma Riley non vuole farlo, perché il danno per la sua famiglia sarebbe troppo grande. 

Ma è proprio questa adozione ad aver tagliato i legami legali di Riley con la Svizzera. Può darsi che abbia fortuna e che il fatto di essersi registrata presso l’ufficio del turismo entro un anno dal momento in cui ha saputo di essere svizzera, come previsto dalla vecchia legge sulla cittadinanza, possa essere considerato un bene. Il documento è stato allegato al dossier del consolato svizzero.  

Ora Riley nutre una speranza. Dopo anni di ricerche ha trovato un avvocato che la sostiene nella sua missione di ottenere la cittadinanza confederata. Una missione che dovrebbe anche restituirle un pezzo della sua identità, andata persa con l’adozione. 

Diritto di conoscere la propria discendenza in caso di adozione 

In Svizzera è diventato ufficialmente possibile ottenere informazioni sui dati personali dei genitori naturali solo con la revisione del Codice civile nel 2001, scrive a SWI swissinfo.ch l’ONG PACH Associazione svizzera per i bambini affidati o adottati su richiesta. 

Solo allora sono stati applicati i requisiti della Convenzione dell’Aia sull’adozione. Ed è stato inserito nel Codice civile un nuovo articolo, che ha ancorato nella legge il diritto di conoscere la propria filiazione (art. 268c CC). 

Traduzione e adattamento dal tedesco: Sara Ibrahim

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Moderato da: Melanie Eichenberger

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