Una marea nera dalle pesanti conseguenze
La fuoriuscita di petrolio nel Golfo del Messico si sta trasformando in un incubo ambientale. L'incidente della piattaforma della BP potrebbe avere forti ripercussioni sul futuro dell'estrazione petrolifera in acque profonde.
La grande marea nera al largo delle coste meridionali degli Stati Uniti non cessa di crescere. Il greggio che sta fuoriuscendo in seguito all’esplosione della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon, gestita dalla British Petroleum (BP), si sta avvicinando al delta del Mississippi, dove sono in corso massicce operazioni di contenimento.
Il presidente Barack Obama è atteso domenica nella regione per una visita lampo. Nel frattempo, s’intensificano le polemiche sulla lentezza della reazione da parte della BP e del governo americano.
Stefan M. Luthi è professore di produzione geologica e responsabile dell’Istituto di Geotecnologia all’Università tecnica di Delft, in Olanda. Per anni ha lavorato presso la Schlumberger Oilfield Services, la più grande compagnia mondiale per i servizi alle società petrolifere.
swissinfo.ch: Come è potuto accadere un simile incidente?
S. M. L.: Non lo sappiamo con precisione. Si è verificato un problema nella struttura che collega le riserve di petrolio e la piattaforma. Il cosiddetto blow up preventer – un meccanismo di valvole lungo la tubatura che dal sottosuolo sale in superficie – dovrebbe prevenire pressioni eccessive all’interno del sistema. Il dispositivo non ha però funzionato come avrebbe dovuto.
La seconda ipotesi è che del petrolio ad alta pressione, oppure un mix di petrolio e gas, sia giunto inaspettatamente in superficie, prendendo fuoco. Data la presenza di parecchio materiale elettrico in superficie, basta una scintilla per far esplodere tutto.
swissinfo.ch: La trivellazione petrolifera offshore si spinge sempre più in profondità. Quali sono i rischi associati?
S. M. L.: L’alta pressione, come possiamo constatare al momento. Questo pozzo è stato scavato a una profondità di 1’500 metri e penetra nel fondale marino per circa 5’000 metri. Una profondità tutto sommato non eccessiva. Oggigiorno, in zone più remote del Golfo del Messico si scende fino a 9’000 metri.
swissinfo.ch: Quale potrebbe essere l’impatto ambientale a lungo termine?
S. M. L.: È estremamente difficile fare previsioni. Abbiamo ricevuto informazioni contraddittorie sulla fuoriuscita di petrolio. Inizialmente BP parlava di 1’000 barili al giorno, poi di 5’000. Sembra che al momento dell’incidente si estraevano 7’000 barili al giorno.
Quindi stavano probabilmente procedendo a delle prove, ovvero stavano perforando in una sacca per valutare la quantità di petrolio che avrebbero estratto. Disponiamo dunque di stime più realistiche. Si tratta di quantitativi considerevoli.
swissinfo.ch: Quello che sta fuoriuscendo è petrolio leggero. È possibile paragonare questo incidente ad altre maree nere del passato?
S. M. L.: Quello della Exxon Valdez era un greggio pesante, viscoso e raggrumato. Il petrolio leggero si spande più velocemente, ma d’altro canto evapora con maggiore facilità e lo si può facilmente bruciare.
swissinfo.ch: Questo metodo non è però controverso?
S. M. L.: Si circoscrive la macchia di petrolio con barriere galleggianti e poi le si dà fuoco. Non so si tratti di un intervento controverso o del metodo appropriato in questo caso, siccome la macchia di greggio è molto disseminata. Bisognerebbe fermare la fuoriuscita di petrolio il più rapidamente possibile.
I lavori di contenimento intrapresi in superficie appaiono troppo limitati vista la dimensione della catastrofe. A quanto pare non dispongono dei grandi mezzi che abbiamo invece nel Mare del Nord.
swissinfo.ch: Perché ci troviamo in questa situazione? La trivellazione petrolifera è diffusa nel Golfo del Messico: come mai non si dispongono di misure appropriate per far fronte a una catastrofe?
S. M. L.: Non è chiaro di chi sia la responsabilità: dello Stato, della Guardia costiera o degli ingegneri dell’esercito? È lo stesso problema dell’uragano Katrina: chi era il responsabile degli argini? È risultato che a volte era un’autorità, a volte un’altra. Inoltre c’è stata una mancanza di coordinamento tra i vari servizi. Forse anche questo è parte del problema.
swissinfo.ch: Come è evoluta la sicurezza nella trivellazione offshore negli ultimi decenni?
S. M. L.: Tantissimo. Si potrebbe quasi dire che rispetto a quanto si sta facendo nel campo della trivellazione in alto mare, l’atterraggio sulla Luna è stato una sciocchezza. A parte ciò, gli incidenti in questo campo sono stati pochi. Anche per questa ragione, e considerando che negli ultimi 10-15 anni il livello di sicurezza è stato molto elevato, ciò che è successo nel Golfo del Messico è estremamente grave
swissinfo.ch: Qual’è il potenziale del petrolio offshore?
S. M. L.: Non si parla più di potenziale, bensì di realtà, come dimostrano le recenti scoperte in Brasile. Hanno scavato attraverso diversi km di sale, un lavoro peraltro molto difficile da eseguire, e hanno trovato riserve petrolifere considerevoli a grandi profondità. Faranno probabilmente la stessa cosa nell’Africa Occidentale, dove le condizioni sono simili a quelle in Brasile.
swissinfo.ch: In quale misura l’incidente nel Golfo del Messico contribuirà a porre dei limiti a questo tipo di trivellazioni?
S. M. L.: Non lo sappiamo. La costa della Louisiana, con le sue zone paludose ed estuari, è molto complessa. Proteggerla dal petrolio è praticamente impossibile: ci sono innumerevoli vie di accesso e la costa è talmente lunga che sarebbe necessario un intervento su vasta scala. Ci sono poi ecosistemi molto sensibili.
La fuoriuscita di petrolio potrebbe avere un impatto sulla normativa, sebbene nell’ambito della trivellazione offshore e in acque profonde vi siano già regole molto severe.
Nessuna delle compagnie coinvolte agisce con leggerezza e tutti sono consapevoli delle possibili ripercussioni. BP sarà sanzionata molto severamente e in diversi modi: a livello di ottenimento delle concessioni, di scelta dei siti di perforazione e dei controlli di sicurezza che subirà da parte delle autorità nazionali. Anche la sua immagine ne risentirà fortemente.
Le compagnie petrolifere internazionali hanno un problema: non hanno accesso al petrolio. Hanno accesso a circa il 15% delle riserve conosciute. Il restante 85% è sfruttato dalle compagnie nazionali. Le multinazionali devono così spingersi in acque molto profonde.
Dale Bechtel, swissinfo.ch
(traduzione e adattamento di Luigi Jorio)
Il 20 aprile 2010 si è verificata un’esplosione sulla piattaforma petrolifera Deepwater Horizon gestita dalla British Petroleum (BP).
La rottura delle tubature ha riversato in mare grossi quantitativi di petrolio (attualmente fuoriescono almeno 5’000 barili al giorno).
La macchia di petrolio formatasi nel Golfo del Messico, al largo delle coste della Louisiana e del Mississippi, minaccia decine di specie animali, tra cui delfini, capidogli, pesci e uccelli.
Le conseguenze potrebbero essere catastrofiche non solo per i delicati ecosistemi marini, ma pure per l’economia locale.
La pesca rappresenta in effetti una fonte di reddito importante per la zona, così come gli allevamenti di gamberetti e di ostriche.
Secondo analisti americani, l’incidente potrebbe costare alla BP oltre 6 miliardi di dollari.
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