Una scuola per resistere al ciclone
Gli edifici realizzati dall’associazione Caritas Svizzera nel Delta dell’Irrawaddy, in Myanmar, non sono soltanto i più moderni della regione. In caso di catastrofe naturale, le scuole diventano dei rifugi sicuri e capienti. Reportage.
Un fascio di piante acquatiche si è attorcigliato attorno all’elica. Il motore, concepito per un trattore, esala gli ultimi respiri. Tre colpi soffocati e poi la quiete. Nell’aria si diffonde il gradevole fruscio delle foglie al vento. Dalle palme che fiancheggiano il canale si leva il timido canto di un uccellino.
Poi un colpo di manovella e il motore riparte. La barca riprende la risalita di questo ramo dell’Irrawaddy, il grande fiume che attraversa il Myanmar. Lungo il canale limaccioso si procede con cautela. Gli ostacoli da evitare – buffali d’acqua in cerca di refrigerio – sono grandi quanto l’imbarcazione.
«Un tempo c’erano molti più animali. Mucche e bufali sono stati spazzati via da Nargis», dice a swissinfo.ch U Win Min Oo della Myanmar Business Executives Association (MBE), un’ong locale.
Oltre al bestiame, il ciclone che ha devastato il Delta dell’Irrawaddy nel maggio 2008 si è portato via la vita di oltre 130’000 persone. Le capanne di foglie e bambù non hanno potuto nulla contro la forza del vento, che ha raggiunto punte di 200 km/h.
«Un anno dopo Nargis i segni del disastro erano ancora visibili. Delle palme rimanevano soltanto i tronchi», ricorda U Win Min Oo.
A scuola per sopravvivere
Ma Lai Lai Naing, una donna sulla quarantina, è riuscita a mettere in salvo i suoi tre figli. Tutto il resto – casa, cibo e averi personali – è andato perso. «Abbiamo trascorso la notte sotto la pioggia. Tutte le capanne dei dintorni erano crollate», ricorda.
Tre giorni dopo, ben prima dell’arrivo degli aiuti, Ma Lai Lai Naing è tornata sul fiume. Assieme al marito ha ricostruito la propria casa. Sempre con legno e bambù e dunque troppo fragile per resistere a un altro ciclone.
Tuttavia, se gli elementi dovessero scatenarsi di nuovo, ora la donna saprebbe dove mettere al sicuro la sua famiglia. Nel villaggio vicino, a meno di mezz’ora di piroga, un solido edificio è pronto ad accoglierli.
Kyaik Ka Bar, 580 famiglie, è uno dei 36 villaggi in cui l’associazione Caritas Svizzera ha ricostruito una scuola multifunzionale. Con la collaborazione di MBE, suo partner sul posto, è stata realizzata una struttura in cemento di due piani. In caso di catastrofe può fungere da riparo per gli abitanti della zona e ospitare fino a 250 persone.
«È senza dubbio l’edificio più moderno e sicuro dell’intera regione. Nemmeno a Yangon [l’ex capitale del Myanmar, ndr] ci sono scuole del genere», rileva U Win Min Oo. Le pareti, spiega l’ingegnere responsabile della progettazione, sono fatte di legno. «L’acqua può così romperle facilmente e passare attraverso la parte inferiore, senza però danneggiare la struttura di base».
Realizzata in sei mesi e costata circa 150’000 dollari, la scuola comprende anche due grosse cisterne per raccogliere l’acqua piovana. Una volta filtrata può essere bevuta senza problemi, assicura U Win Min Oo.
La prova tsunami
A Kyaik Ka Bar, il ciclone Nargis non ha causato vittime. Nonostante il livello del fiume sia salito di un metro in meno di mezz’ora. «Siamo stati avvertiti, ma molte persone hanno pensato che si trattasse di una normale tempesta», ricorda Khin Maung Oo, membro del comitato scolastico.
«Ci siamo riparati nel tempio, più rialzato, e sui tetti. Abbiamo perso tutto il riso immagazzinato e l’acqua ha distrutto le coltivazioni». Gli anziani del villaggio, sottolinea Khin Maung Oo, non avevano mai visto nulla del genere.
Per resistere ai forti venti che periodicamente soffiano nella zona, alcune case sono state rinforzate con pezzi di legno e i tetti legati alla struttura. «Quando inizia a piovere o annunciano una tempesta la gente è comunque subito inquieta».
È successo lo scorso mese di aprile, quando un terremoto in Indonesia aveva innescato un allarme tsunami. L’onda anomala non è fortunatamente arrivata. L’allerta ha comunque permesso di testare i piani di evacuazione.
Grazie a delle mappe che indicano l’ubicazione dei centri sanitari, delle case più solide, oppure delle abitazioni con le persone più vulnerabili, «ognuno sa dove andare e dove depositare averi e cibo», spiega Khin Maung Oo. Nella nuova scuola, «la priorità è data ai bambini, alle donne e agli anziani».
Secondo un rapporto della Banca asiatica per lo sviluppo (Asian Development Bank) pubblicato nel marzo 2012, il Myanmar figura tra i paesi che più rischiano di subire gli effetti del cambiamento climatico (vedi link).
Assistenzialismo e povertà
Dopo un paio d’ore di barca tra le sconfinate risaie del delta arriviamo a Sein Lay Gone, piccolo villaggio a qualche chilometro dal mare. A giudicare dagli innumerevoli sguardi incuriositi di fronte alla nuova scuola, si direbbe che tutti i 230 studenti siano qui ad accoglierci.
L’atmosfera, cordiale e allegra, si fa più tesa quando l’ingegnere di MBE e i rappresentanti della comunità iniziano a discutere della manutenzione della scuola. «Il nostro messaggio è che si tratta della loro scuola. Spetta a loro prendersene cura», insiste U Win Min Oo.
Organizzare appositi comitati di manutenzione, come fatto con successo altrove, non è tuttavia sempre evidente. Da una parte, spiega U Win Min Oo, questa zona è stata particolarmente colpita dal ciclone e ha ricevuto molti aiuti da vari paesi e organizzazioni. «Si è così installata una certa mentalità assistenzialista».
D’altro canto, aggiunge, va però detto che questa comunità resta povera. Passata l’emergenza e terminata la fase di ricostruzione, la realtà è rimasta quella di prima. «Abbiamo bisogno di lavoro, soprattutto dopo il raccolto», dice un coltivatore di riso, lamentandosi per il calo della produzione dovuto all’eccessiva salinità del terreno, una delle conseguenze del ciclone.
Per offrire nuove possibilità ai contadini, l’associazione partner di Caritas Svizzera ha così lanciato progetti di microcredito e di formazione professionale. «Possono ad esempio imparare come riparare un macchinario o un veicolo agricolo», osserva U Win Min Oo.
Il pesce del malaugurio
Ad inquietare alcuni pescatori della zona non è però la futura gestione della scuola, peraltro ancora pulita e senza incrinature.
Da alcuni giorni, nel fiume sono apparsi alcuni esemplari di ngaty, pesci che solitamente vivono nel mare. «Di solito – ci spiega un pescatore – sono annunciatori di una meteorologia avversa».
Se un altro ciclone dovesse abbattersi sulla regione, le case saranno di nuovo spazzate via, riconosce U Win Min Oo. «La gente potrà però mettersi in salvo».
Alla fase di ricostruzione nel Delta dell’Irrawaddy ha partecipato anche l’aiuto umanitario della Confederazione svizzera.
La Direzione dello sviluppo e della cooperazione ha finora realizzato 25 scuole. Altre dieci saranno terminate entro la primavera 2013.
Le strutture possono ospitare circa 4’500 studenti e in caso di necessità possono essere utilizzate come rifugio anti-ciclone.
Ogni edificio può ospitare dalle 700 alle 1’000 persone ed è fornito di serbatoi e filtri per l’acqua.
Gli edifici sono stati concepiti per resistere a venti di 200 km/h e a terremoti di magnitudo 6 sulla scala Richter.
Per le attività della DSC nella regione sono stati messi a disposizione circa 6 milioni di franchi dal 2009.
Il 2 maggio 2008, le coste del Myanmar in prossimità del delta dell’Irrawaddy sono state colpite dal ciclone tropicale Nargis.
Tra i più devastatori della storia, il ciclone di categoria 4 (su un massimo di 5) ha spazzato la regione con venti superiori ai 200 km/h.
Il 95% delle abitazioni del delta è andato distrutto. Le stime parlano di almeno 130’000 morti e di 2,5 milioni di sinistrati.
La comunità internazionale aveva condannato l’atteggiamento dell’allora giunta militare al potere, accusandola di ostacolare le azioni di soccorso.
La Catena svizzera della solidarietà ha permesso di raccogliere donazioni per un valore di 8,7 milioni di franchi.
In conformità con gli standard di JTI
Altri sviluppi: SWI swissinfo.ch certificato dalla Journalism Trust Initiative
Potete trovare una panoramica delle discussioni in corso con i nostri giornalisti qui.
Se volete iniziare una discussione su un argomento sollevato in questo articolo o volete segnalare errori fattuali, inviateci un'e-mail all'indirizzo italian@swissinfo.ch.