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Vaud disciplina l’accompagnamento alla morte

Case di riposo, cliniche e ospedali finanziati dallo stato nel cantone di Vaud non potranno più rifiutare al loro interno l'assistenza al suicidio chiesta da un ospite o un paziente nel rispetto delle condizioni fissate dalla legge Keystone

Vaud è il primo cantone della Svizzera che legifera sull'assistenza al suicidio. L'elettorato ha chiaramente approvato oggi un disciplinamento di questa pratica all'interno di ospedali e case per anziani finanziati da enti pubblici.

Al voto del popolo vodese erano sottoposte due varianti: un’iniziativa e un controprogetto. La prima è stata respinta dal 59,11% dei votanti, mentre il secondo è stato accettato con il 61,6% di sì.

L’iniziativa “Assistenza al suicidio negli stabilimenti medico sociali” era promossa dall’organizzazione di accompagnamento alla morte Exit. Essa prevedeva d’introdurre l’obbligo per le case di riposo finanziate dallo stato di accettare al loro interno l’assistenza al suicidio chiesta da propri ospiti a un’associazione per il diritto di morire nella dignità o al medico curante, conformemente alle disposizioni del Codice penale svizzero e della Costituzione vodese.

D’accordo sul principio di fondo, ma al contempo preoccupati di prevenire possibili abusi, il governo e il parlamento cantonali avevano ritenuto necessario fissare nella legge anche le condizioni precise entro cui può avvenire tale assistenza. Avevano inoltre giudicato che questa problematica non si pone solo nelle case per anziani, ma anche negli ospedali.

Perciò hanno opposto all’iniziativa il controprogetto approvato oggi in votazione popolare. Tra queste nuove disposizioni di legge si stabilisce fra l’altro che spetta al medico responsabile dell’ospedale o della casa di riposo – di concerto con il personale e il medico curanti e con i parenti designati dalla persona interessata – verificare che quest’ultima sia capace di discernimento, persista nella sua volontà di morire, soffra di un’infermità grave e incurabile e che abbia discusso delle alternative, in particolare delle cure palliative.

Questa regola è stata molto contestata dai fautori dell’iniziativa, secondo i quali così il diritto all’autodeterminazione non è garantito. A loro avviso, di fatto il ricorso degli ospiti di case di riposo o di pazienti di ospedali all’aiuto al suicidio dipenderà dalla volontà del personale curante. Dunque, hanno sostenuto, ciò equivale a mettere sotto tutela queste persone. Ma questo argomento non ha convinto la maggioranza dei votanti, che ha invece seguito la via tracciata dal governo e dal parlamento.

Soluzione federalista

Con l’adozione di queste norme, Vaud fa opera di pioniere in Svizzera. Le autorità cantonali hanno ottenuto un successo in un campo in cui quelle federali hanno fallito.

Alla luce del crescente ricorso ad associazioni di accompagnamento al suicidio registrato in Svizzera, il governo federale avrebbe voluto disciplinare gli obblighi di diligenza per i collaboratori di tali organizzazioni. Ma, alla luce dei risultati della procedura di consultazione, nel giugno 2011, l’esecutivo elvetico aveva deciso di rinunciare a legiferare.

La maggioranza dei partiti e degli enti consultati si era infatti espressa per lo statu quo, ritenendo sufficienti gli obblighi derivanti dal codice penale svizzero e dal codice penale militare che ammettono l’assistenza al suicidio. Le condizioni sono che la persona che desidera morire sia capace d’intendere e volere e sufficientemente informata, mentre chi l’assiste non deve agire per “motivi egoistici”.

La Corte suprema ha confermato nel 2006 in una sentenza il diritto di ogni persona di decidere la propria morte. Un diritto che vale anche per chi soffre di problemi psichici.

Grande tolleranza popolare

Nonostante le polemiche suscitate da certe pratiche, soprattutto dal cosiddetto “turismo della morte” proveniente da paesi in cui vige il divieto, e gli attacchi di ambienti cristiani, l’assistenza al suicidio gode di ampi consensi fra la popolazione svizzera. La maggioranza di opinioni favorevoli emersa da vari sondaggi si è confermata anche nelle votazioni popolari.

Quella odierna nel cantone di Vaud è la seconda prova di sostegno uscita dalle urne. L’anno scorso nel cantone di Zurigo l’elettorato aveva respinto a stragrande maggioranza due iniziative contro l’aiuto al suicidio, lanciate dall’Unione democratica federale (partito a forte connotazione cristiana).

Una voleva che si chiedesse alle Camere federali di rendere punibile qualsiasi forma di istigazione e aiuto al suicidio. L’altra prevedeva che una persona dovesse risiedere da almeno dieci anni nel cantone per poter ricorrere alle prestazioni di organizzazioni di assistenza al suicidio. La prima è stata spazzata via con l’84,5% di no e la seconda con il 78,4%.

Zurigo potrebbe anche essere il prossimo cantone a legiferare sull’assistenza al suicidio. Il capo del dicastero cantonale della giustizia Martin Graf ha infatti annunciato tale intento al settimanale zurighese NZZ am Sonntag in edicola oggi. Il “ministro” sottolinea che non basta regolare semplicemente il problema nel diritto penale svizzero, ma che occorre anche garantire che “i suicidi accompagnati siano attuati correttamente dal profilo etico”.

Sempre più adesioni a Exit e Dignitas

A Zurigo la pressione è particolarmente forte anche perché è lì che hanno sede le due grandi organizzazioni di aiuto al suicidio. La crescita del numero dei loro membri è un altro dato indicativo del grado di accettazione dell’assistenza al suicidio in Svizzera. Fondata il 3 aprile 1982, Exit contava allora 69 membri. Oggi sono oltre 60mila nella Svizzera tedesca e nella Svizzera italiana. L’organizzazione Exit della Svizzera francese ne conta più di 17mila.

Dignitas, creata nel 1998 in seguito a una scissione all’interno di Exit, annovera più di 5mila soci. Contrariamente a Exit, Dignitas aiuta a suicidarsi anche persone che dall’estero vengono in Svizzera a questo scopo. I cosiddetti “turisti del suicidio” rappresentano addirittura l’85% delle persone che accompagna alla morte.

L’anno scorso Exit ha aiutato 416 persone a suicidarsi, Dignitas 144.

L’Ufficio federale di statistica ha pubblicato per la prima volta lo scorso 27 marzo dei dati sul suicidio assistito in Svizzera. È stato esaminato il periodo dal 1998 al 2009. In quest’ultimo anno vi hanno ricorso circa 300 persone domiciliate in Svizzera, pari a 4,8 decessi su mille. Il 90% aveva un’età superiore ai 54 anni. L’1% meno di 35 anni. Sull’arco dei 12 anni esaminati, tutti i cantoni hanno registrato almeno un caso. Il record è detenuto da Zurigo con 700.

Contattato dall’agenzia di stampa Ats, il presidente di Exit della Svizzera romanda, Jérôme Sobel, ha salutato il risultato dello scrutinio popolare vodese come un “bicchiere mezzo pieno”. “L’assistenza al suicidio ora non è più solo una libertà, bensì un diritto”, ha sottolineato.

L’iniziativa dell’organizzazione per il diritto di morire nella dignità ha consentito all’assistenza al suicidio di acquisire una legittimità popolare, afferma il medico. “Ora dobbiamo imparare a utilizzare questo nuovo quadro legale”.

Il presidente è “evidentemente deluso” che i votanti abbiano preferito il controprogetto del governo e del parlamento vodesi all’iniziativa lanciata da Exit. Jérôme Sobel teme che alcune case per anziani possano utilizzare le vie di ricorso contemplate dalla legge adottata dall’elettorato per impedire i suicidi assistiti.

Per ora Exit non prevede di lanciare un’iniziativa in altri cantoni della Svizzera francese. “Seguiamo dapprima cosa succede nel canton Vaud con questo nuovo quadro legale”, ha detto il presidente.

Eutanasia attiva diretta: porre attivamente e direttamente termine alla vita di un moribondo, su sua esplicita richiesta, al fine di liberarlo da sofferenze insopportabili e inevitabili.

Eutanasia attiva indiretta: impiego di mezzi per alleviare le sofferenze di una persona, che tuttavia come effetto secondario possono abbreviare la vita.

Eutanasia passiva: rinunciare ad avviar terapie di sostentamento vitale oppure sospenderle.

Aiuto al suicidio: una persona terza oppure un’organizzazione di aiuto al suicidio procura una sostanza letale al paziente, il quale la ingerisce senza l’aiuto di terzi.

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