“Non si dovrebbe essere obbligati a ricorrere all’aiuto sociale per aver vissuto un atto terroristico”
Myriam Gottraux è rimasta ferita durante l'attentato di matrice jihadista del 13 novembre 2015 a Parigi. Una pallottola l'ha colpita a un braccio e ora non può più esercitare la sua attività professionale. Si sente abbandonata dalla Svizzera che non offre alcun risarcimento alle vittime di reati subiti all'estero. Intervista.
Un proiettile di Kalachnikov l’ha seriamente ferita al braccio destro mentre sedeva tranquillamente sulla terrazza del bistrot «Belle Équipe». Il 13 novembre 2015, Myriam Gottraux si trovava al momento sbagliato nel posto sbagliato. Quel venerdì di cinque anni fa, la donna svizzera è stata vittima degli attentati terroristici avvenuti nel cuore di Parigi. Per fortuna, il suo compagno è rimasto illeso e l’ha aiutata a uscirne viva. Quel giorno i terroristi hanno ucciso 130 persone e ne hanno ferite 350 tra lo Stade de France di Saint-Denis, i locali del centro e la sala concerti del Bataclan.
Dopo il ricovero e le cure in un ospedale francese, Myriam Gottraux è ritornata in Svizzera per iniziare il suo lungo cammino di “ricostruzione”, disseminato di ostacoli amministrativi. La donna descrive il suo doloroso percorso nel libro «Instants d’éternité – Victime du terrorisme et de l’indifférence» (Istanti eterni – Vittime del terrorismo e dell’indifferenza).
Myriam e il suo compagno Maurice hanno ricevuto un risarcimento da parte del Fondo di garanzia per le vittime di terrorismo e di altri reati creato dalla Francia (FGTICollegamento esterno). La Svizzera non ha previsto un sostegno analogo per le persone che sono rimaste vittime di un atto terroristico al di fuori dei confini nazionali.
Myriam è rimasta menomata al braccio destro e quindi non può più esercitare la sua professione di osteopata. Per quattro anni, le assicurazioni sociali le hanno negato l’indennità di perdita di guadagno (IPG) visto che non coprono le conseguenze di un attacco terroristico. Ora, la donna chiede alle autorità svizzere di colmare questa lacuna affinché le vittime di terrorismo non debbano vivere lo stesso calvario toccato a lei.
swissinfo.ch: Cosa l’ha motivata a scrivere questo libro, a cinque anni di distanza dagli attentati di Parigi?
Myriam Gottraux: Il grande sconcerto e la delusione che ho provato quando mi sono resa conto che la Svizzera non aveva previsto alcun aiuto per sostenere chi, come me, è rimasta vittima di un atto terroristico all’estero.
A motivarmi a scrivere questo libro non c’era però solo il risentimento verso le autorità, bensì anche il desiderio di non dimenticare e di ringraziare le persone che ho incontrato e che mi hanno aiutata in questi ultimi anni. E poi volevo dire “grazie” di essere ancora viva.
Il processo riguardante gli attentati del 13 novembre 2015 a Parigi inizierà nel settembre del 2021. In totale saranno 20 gli imputati alla sbarra della corte speciale, 1750 le parti civili e 300 gli avvocati. Durante le indagini è stata scoperta una cellula jihadista con ramificazioni in tutta l’Europa, soprattutto in Belgio.
Tre giorni dopo l’attentato ha chiesto di essere trasferita in Svizzera per essere curata in un ospedale elvetico e per essere più vicina a sua figlia. Com’è andato il ritorno in patria?
L’assistenza medica è stata ottima. Invece non ho ricevuto subito un sostegno psicologico. Solo dopo averne fatto richiesta, sono stata seguita da uno specialista durante questo momento surreale. Ho dovuto fare tutto da sola. In Svizzera non c’era alcuna struttura predisposta ad occuparsi di me o del mio compagno. In tre giorni non si torna certo alla vita quotidiana di prima se si ha vissuto un attento sulla propria pelle!
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Nel libro, lei denuncia la mancanza di sostegno finanziario da parte della Svizzera per chi è rimasto vittima di un atto terroristico all’estero. Come ha vissuto questa situazione?
C’è una legge concernente l’aiuto alle vittime di reati (LAV). Questa viene però applicata solo ai casi commessi in Svizzera, non a quelli avvenuti all’estero. Ho incontrato un responsabile che si occupa delle vittime di reati nel canton Vaud. Mi ha aiutata, per esempio, con l’assicurazione malattia e i trasporti. Ma non ho ottenuto alcuna indennità per sbarcare il lunario. La Svizzera lascia questo compito ai Paesi in cui sono avvenuti gli attacchi. E per quanto ne so, la Francia è l’unico Stato che ha creato un fondo per aiutare le vittime del terrorismo. Se ho la forza di denunciare questa situazione, è perché ho la fortuna di essere sostenuta da chi mi sta vicino. Inoltre, la Francia riconosce lo statuto di «vittima» a chi ha subìto le conseguenze di un attacco terroristico.
Una madre single con un bambino rischia di cadere in una profonda depressione se non viene adeguatamente sostenuta. È un’ingiustizia. Non si dovrebbe essere obbligati a ricorrere all’aiuto sociale perché si è vissuto un atto terroristico, soprattutto non in uno Stato di diritto come la Svizzera.
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Che messaggio lancia al mondo politico della Svizzera in un momento in cui l’Europa sta vivendo una serie di attacchi di matrice jihadista?
Chiedo al mondo politico di rivedere la legge concernente le vittime di reati. Il governo e il parlamento l’hanno modificata dopo l’attentato di Luxor, in Egitto, nel 1997. Allora furono una trentina le vittime svizzere. I politici hanno ritenuto eccessivo il risarcimento di due milioni di franchi. Le autorità hanno quindi deciso di modificare la legge nel 2007 per abolire questo diritto alle indennità. Chiedo al mondo politico di creare le basi legali affinché i cittadini svizzeri toccati da un attentato all’estero ottengano un aiuto sostanziale dalla Confederazione.
La prima versione della Legge federale concernente l’aiuto alle vittime di reati (LAVCollegamento esterno), in vigore dal 1993 al 2009, permetteva a una vittima di cittadinanza svizzera e domiciliata in Svizzera di richiedere al proprio cantone un indennizzo o una riparazione morale se non aveva ricevuto prestazioni sufficienti da uno Stato straniero. La revisione totale della LAV nel 2007, legge entrata in vigore nel 2009, vincola l’aiuto fornito al principio di territorialità ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione europea relativa al risarcimento delle vittime di reati violenti. Questa definisce che l’indennizzo è accordato dallo Stato sul cui territorio è stato commesso il reato e se la riparazione non può essere interamente garantita da altre fonti, per esempio nei casi in cui l’autore sia ignoto o privo di mezzi.
La legge svizzera non prevede quindi alcun indennizzo per le vittime di terrorismo all’estero. Queste possono però rivolgersi alle autorità per una consulenza o per richiedere un sostegno finanziario. Myriam Gottraux ha incontrato a più riprese un esperto del centro LAV a Losanna che le ha fornito assistenza legale.
“I costi coperti ammontano a più di 12mila franchi. Alla luce del danno e dell’esperienza vissuta da questa persona, questo sostegno non può in alcuno modo sostituire un chiaro riconoscimento del suo statuto di vittima. Statuto che permetterebbe il versamento di un sostanziale indennizzo”, spiega Christophe Dubrit, capo del servizio del centro LAV del canton Vaud. “Questo riconoscimento dovrebbe avvenire sotto forma di pagamenti versati dalla Francia ai sensi della Convenzione europea relativa al risarcimento delle vittime di reati violenti del 24 novembre 1983”.
Il Consiglio federale riconosce l’importanza per le vittime di un attentato di beneficiare di un sostegno volto ad aiutarle a superare le conseguenze del reato. Tuttavia non ritiene che la Svizzera debba rispondere per un danno materiale o immateriale subito fuori dai confini nazionali. “Questa soluzione poggia anche su considerazioni di natura pratica, ossia sulla difficoltà di raccogliere le prove per reati commessi all’estero”, spiega l’Ufficio federale di giustizia. “Inoltre non sarebbe né giusto né saggio da parte della Svizzera assumersi le conseguenze di un reato subito da un cittadino elvetico in una regione a rischio”.
Al momento non è prevista una revisione della LAV. Di recente, il parlamento ha respinto una mozioneCollegamento esterno volta a migliorare la posizione delle vittime.
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