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Carburante poco bio e molto agro per chi ha fame

Negli Stati uniti un terzo del mais è utilizzato per produrre etanolo Keystone

Mettere il pane nel motore? Con questo interrogativo l'ONG Swissaid va all'attacco degli agrocarburanti, giudicati una subdola minaccia per la sicurezza alimentare e la biodiversità.

Il prezzo dei generi alimentari di base – mais, riso, cereali – è salito alle stelle. Un dramma, soprattutto per la popolazione dei paesi poveri, che per mangiare spende già oggi tre quarti di quello che guadagna. È l’inizio di una nuova era della fame, ammonisce Swissaid. E la Banca mondiale conferma: la fiammata dei prezzi delle derrate alimentari rischia di far passare da uno a due miliardi il numero delle persone estremamente povere.

Per la prima volta nella storia l’andamento dei prezzi degli alimentari si sta impennando parallelamente a quello del petrolio. Il legame tra fonti di nutrimento e fonti energetiche si vede anche nell’impiego sempre maggiore di vegetali per l’ottenimento di diesel e etanolo. Meno della metà della produzione mondiale di cereali viene destinata direttamente all’alimentazione umana. Nel 2007, 700 milioni di tonnellate sono diventate mangime per animali, altre 100 sono state trasformate in carburanti.

Una concorrenza sleale, secondo Swissaid, che il 29 maggio ha organizzato a Berna un simposio su fame nel mondo e agrocarburanti. «Il boom della domanda di agrocarburanti è motivato politicamente», ha detto Tina Goethe, responsabile del settore sovranità alimentare di Swissaid. L’Unione europea, ad esempio, sta incentivando l’uso di queste fonti energetiche, ritenute – non sempre a ragione – un buon modo per lottare contro il riscaldamento climatico. Questo atteggiamento – ha continuato Tina Goethe – «genera un mercato dove i beni sono convogliati verso i paesi ricchi, paesi in cui non solo per le persone, ma anche per gli animali, si può spendere di più che per i poveri nei paesi in via di sviluppo».

Per niente «bio»

Mali, Indonesia, Colombia, India: testimoni provenienti dalle zone calde del pianeta hanno raccontato l’impatto degli agrocarburanti sull’esistenza della loro gente. «In India c’è un contadino che si suicida ogni 30 minuti», ha detto Sagari Ramdas. Con le monoculture su vaste superfici, necessarie a produrre carburanti di origine vegetale, i piccoli contadini perdono il controllo delle loro terre, la possibilità di diversificare la produzione e quindi di nutrirsi di quello che producono. Abbastanza da spingere molti ad un gesto disperato. Scegliendo la via delle monoculture, «l’India si è trasformata in pochi anni da paese con un’agricoltura in grado di sfamare la popolazione a paese importatore di riso e altri generi alimentari».

Eppure i biocarburanti, come li chiama chi li difende, sembravano promettere miracoli: erano visti come un’alternativa verde al petrolio (perché sono neutri da un punto di vista delle emissioni di CO2) come una possibilità per i contadini di aumentare le loro entrate e quindi di sconfiggere la fame. «È la più grande truffa dei nostri tempi», ha tuonato il maliano Mamadou Goïta, direttore dell’Istituto di ricerca e promozione di alternative per lo sviluppo di Bamako. «Sono argomenti a cui siamo sensibili; ci piacerebbe combattere il riscaldamento climatico, aumentare il reddito dei piccoli produttori, combattere la fame. Il problema è che non è vero niente».

E in effetti, i racconti che si susseguono parlano di terre espropriate, di condizioni di lavoro paragonabili alla schiavitù, di perdita della sovranità alimentare. E il prefisso ‘bio’ male si addice al tipo di agricoltura usata per produrre carburanti, un’agricoltura che fa uso di grandi quantità d’acqua (di cui vengono privati i ‘piccoli’), di pesticidi, di piante modificate geneticamente. Secondo Tina Goethe, «è assurdo rappresentare un peccato climatico, l’agricoltura industriale, come salvezza per il clima». Ecco perché le ONG preferiscono chiamarli agrocarburanti piuttosto che biocarburanti.

Differenziare e non polemizzare

Bisogna quindi rinunciare completamente agli agrocarburanti? Hans-Peter Egler, della Segreteria di Stato dell’economia, relativizza: a determinate condizioni, gli agrocarburanti potrebbero essere sostenibili. Ma il problema è sfaccettato e «non ci sono soluzioni brevettate, l’unica via d’uscita è che tutte le parti interessate discutano insieme».

Anche Katharina Jenny, della Direzione per lo sviluppo e la cooperazione punta alla differenziazione e non alla polemica. Tuttavia riconosce che «al momento gli agrocarburanti sono una minaccia per la sicurezza alimentare. E il diritto all’alimentazione viene prima» del diritto al serbatoio pieno.

Per Dilip Gokhale, direttore della sezione biocarburanti di Syngenta, i due settori – alimentazione e produzione di agrocarburanti – non devono necessariamente essere contrapposti. «Il nostro compito è sviluppare colture in grado di non incidere su beni rari come la terra e l’acqua. La barbabietola da zucchero tropicale per la produzione di etanolo va in questo senso». I partecipanti al simposio, però, accolgono questa affermazione con scetticismo.

Per una moratoria internazionale

Swissaid, così come numerose altre ONG, chiede di arrivare ad una moratoria internazionale per la produzione industriale di agrocarburanti. Questo tipo di produzione non dovrebbe essere incentivata in nessun modo, nemmeno, come fa la Svizzera, attraverso l’esonero dalla tassa sugli oli minerali (olio combustibile, benzina, ecc.).

La crisi alimentare preoccupa anche il parlamento elvetico, che ha deciso d’inserire nella sessione estiva un dibattito urgente sul tema.

Dal canto suo, la FAO, l’Organizzazione mondiale per l’alimentazione e l’agricoltura, ha in programma una riunione ministeriale dal 3 al 5 giugno incentrata su sicurezza alimentare, cambiamenti climatici e produzione di biocarburanti. In un documento indirizzato alla delegazione che si recherà a Roma, il Comitato svizzero della FAO afferma che bisogna rinunciare all’incentivazione di biocarburanti e agrocarburanti la cui produzione è in competizione con quella delle derrate alimentari.

swissinfo, Doris Lucini, Berna

• L’accresciuta domanda di agrocarburanti è responsabile del 20-30% dell’aumento dei prezzi dei generi alimentari (stima del Fondo monetario internazionale)
• Il 2% della superficie agricola mondiale è coltivato con piante destinate alla produzione di agrocarburanti (il 18% in Colombia).
• Gli agrocarburanti coprono l’1,5% del consumo globale di combustibile.
• Coprono il 2% nell’Unione europea, principale produttore e consumatore di agrodiesel. Nel 2006 l’UE ha speso 3,7 miliardi di euro in sostegno agli agrocarburanti. L’obiettivo è raggiungere una quota del 10% entro il 2020; per raggiungerlo servirebbe il 19% della produzione mondiale di olio vegetale.
• In Svizzera gli agrocarburanti rappresentano lo 0,2% dei combustibili; attualmente circa 4000 automobili e 300 camion fanno il pieno con agrocarburanti.
• Per un pieno di etanolo (95 litri) sono necessari 200 kg di mais, sufficienti ad alimentare una persona per un anno.

È un’organizzazione non governativa attiva in nove paesi in via di sviluppo. Tra questi ci sono l’India, la Birmania, il Niger, la Tanzania, l’Ecuador e la Colombia.

Swissaid lavora seguendo il principio dello sviluppo autonomo. Non invia esperti occidentali nei paesi in cui è presente, ma sostiene gli sforzi delle popolazioni e delle organizzazioni locali. Nel 2007 ha collaborato a 211 progetti.

Ha un budget di 15 milioni di franchi. Un terzo di questa cifra arriva dalla Confederazione attraverso la Direzione per lo sviluppo e la cooperazione.

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