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Colombia, il lato oscuro delle miniere svizzere di carbone

La miniera di carbone di La Jagua è all'origine di aspri conflitti tra i lavoratori e la multinazionale svizzera - di proprietà della svizzera Glencore International AG. Ask!

In Colombia le attività minerarie hanno portato ricchezza, ma non per tutti. Se le multinazionali continuano a espandersi, il prezzo da pagare per le comunità locali è altissimo: villaggi evacuati, fiumi inquinati, sindacalisti messi a tacere. Violazioni che chiamano in causa pure un'impresa svizzera, che respinge però ogni accusa.

La Colombia è il quinto paese esportatore di carbone al mondo. Dalle miniere del nord, questa materia prima viene trasportata fino in Europa – soprattutto in Germania – e utilizzata per la produzione di energia elettrica. Le centrali a carbone tedesche riforniscono in parte anche le società svizzere, che negli ultimi anni hanno aumentato i loro investimenti nel carbone per coprire il fabbisogno di base.

In diversi paesi europei, l’utilizzo di questo combustibile fossile ha incontrato l’opposizione degli ecologisti per l’elevato tenore di emissioni di CO2 che diffonde nell’atmosfera. Le incognite legate al carbone non si limitano però alle sole centrali, ultimo anello di una catena produttiva, ma si spingono fino alle grandi miniere a cielo aperto che hanno ridisegnato il volto della cordigliera andina.

In paesi come la Colombia, l’estrazione del carbone è all’origine d’importanti violazioni dei diritti umani e del deterioramento dell’ecosistema. La denuncia non è nuova: da diversi anni infatti Amnesty International e il Gruppo di lavoro Svizzera Colombia si battono affinché le materie prime tornino a essere una risorsa per le comunità locali.

«La situazione nel nord della Colombia è particolarmente difficile. Per anni è stata teatro di scontri tra la guerriglia, le forze paramilitari e l’esercito statale», spiega Alfredo Tovar, sindacalista e operaio in una miniera del dipartimento del César. «E a farne le spese è soprattutto la popolazione locale: intere famiglie sono state allontanate o sono scomparse nel nulla. Lavoratori, rappresentanti comunali e dirigenti sindacali sono stati messi a tacere, o uccisi».

Alfredo Tovar è venuto fino in Svizzera per chiedere giustizia. Rivendica assicurazioni sociali per tutti gli operai, norme di sicurezza nelle miniere e un indennizzo alla popolazione per i danni subiti. «L’impatto ambientale dell’estrazione del carbone è enorme: i fiumi vengono contaminati e con essi anche la terra e il bestiame. Ciò significa che quei contadini che vivevano di agricoltura e pesca, ora non hanno più nulla da mangiare. Inoltre, dalle miniere si sprigiona una nube di polvere nera che è all’origine di gravi problemi respiratori».

Multinazionale svizzera nel mirino

In Colombia l’estrazione delle materie prime è, di fatto, monopolio di una manciata di multinazionali, alcune delle quali hanno sede in Svizzera. Alfredo Tovar lavora da anni alla miniera La Jagua, di proprietà della Glencore International AG tramite la società colombiana Prodeco.

Poco conosciuta dal grande pubblico, la Glencore International AG ha la sede principale nel canton Zugo e negli ultimi anni ha realizzato il fatturato più elevato della Svizzera (117 miliardi di franchi nel 2009), superando giganti come la Nestlé o la Novartis. In Colombia controlla due miniere di carbone a cielo aperto nel dipartimento del César e ha un accesso privilegiato al porto di Santa Marta (Magdalena).

Accompagnato da rappresentanti delle ONG svizzere, per conto del sindacato colombiano Sintramienergetica, Alfredo Tovar ha bussato alla porta della Glencore International AG, senza però ottenere risposta. La multinazionale è accusata di promuovere una politica poco trasparente, ostile ai sindacati e nociva all’ambiente.

«Non possiamo negare che la Glencore abbia portato lavoro in Colombia, ma questo non le conferisce il potere di violare i diritti dei lavoratori, di ostacolare la libertà sindacale, minacciando o licenziando gli operai che osano alzare la testa», denuncia Alfredo Tovar.

Nei dipartimenti del César e della Magdalena si concentra gran parte della ricchezza del paese, ma spesso i villaggi sono lasciati senza acqua potabile, elettricità e servizi sanitari. «La manodopera arriva soprattutto da altre regioni del paese e i profitti se ne vanno all’estero… mentre qui resta solo contaminazione e povertà. Come dipendente della Glencore chiedo un indennizzo alla regione per i danni causati e per il carbone che portano via, e chiedo il rispetto degli accordi sindacali che hanno firmato con noi lavoratori».

Non solo miniere

La Glencore International AG è rimasta sorda di fronte all’appello di Alfredo Tovar e delle ONG svizzere. Anche ai microfoni di swissinfo, l’azienda non ha voluto rilasciare dichiarazioni. Ha invece risposto con un comunicato stampa – firmato dalla società Prodeco – in cui afferma di avere un programma di responsabilità sociale e ambientale.

In sostanza, la multinazionale si presenta come il motore economico della regione: non solo ha messo a disposizione «oltre 5’000 impieghi (diretti o indiretti), di cui l’84% dei dipartimenti del César e della Magdalena)», ma ha anche cercato di «migliorare la qualità di vita delle comunità locali, attraverso la creazione di scuole e altre infrastrutture».

Alle accuse di violazione dei diritti sindacali, la società con sede a Zugo dice di agire «in conformità con le leggi colombiane che garantiscono libertà di associazione, vietano il lavoro forzato e assicurano condizioni di lavoro umane».

La Svizzera media, ma non interviene

La Glencore non è però nuova a questo tipo di denunce. Accusata di violazioni dei diritti umani e danni ambientali in diversi paesi in via di sviluppo, nel 2008 ha ricevuto il Public eye award di Davos, l’oscar della vergogna.

Di fronte alla gravità delle accuse, le ONG svizzere hanno chiesto a più riprese un intervento da parte delle autorità elvetiche. «La risposta è sempre la stessa», ci spiega Stephan Suhner dell’ONG Ask! (Gruppo di lavoro Svizzera-Colombia). «La Svizzera segue da vicino i dibattiti sull’industria estrattiva nei paesi del Sud, ma mantiene il massimo riserbo per non intromettersi in questioni di politica interna». Il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) si limita così a «invitare le imprese ad attenersi ai principi volontari in materia di sicurezza e diritti umani», senza però intervenire.

Ai microfoni di swissinfo, il portavoce del DFAE Pierre-Alain Eltschinger ha precisato che «la Svizzera segue da vicino questo caso, in particolare per ciò che riguarda il rispetto dei diritti umani, ed è in contatto regolare con le imprese elvetiche coinvolte, la Glencore, i sindacati e le ONG colombiane». Inoltre, prosegue Eltschinger, «l’ambasciata svizzera in Colombia cerca di favorire il dialogo tra le multinazionali e le organizzazioni a difesa dei lavoratori» .

Alfredo Tovar è tornato in Colombia senza risposte. Ad attenderlo c’è una regione messa in ginocchio da anni di violenze e soprusi, la paura di ritorsioni e l’incertezza del domani. In Svizzera restano i profitti di un’attività ritenuta arbitraria e un monito che ha il sapore della lotta operaia: «L’acqua non è negoziabile. La vita non è negoziabile!».

Ex colonia spagnala, sin dalle sue origini la Colombia è stata teatro della violenta lotta tra liberali e conservatori, che in due fasi (1899-1902 e 1947-57) sfociò in aperta guerra civile, provocando centinaia di migliaia di morti.

Dalla fine degli anni Cinquanta i due partiti decisero di governare insieme, senza però riuscire a risolvere il problema di fondo del paese: il forte squilibrio sociale tra un piccolo numero di grandi proprietari terrieri e una massa di contadini poveri ed estranei alla vita dello Stato.

Questa situazione favorì la nascita, negli anni Sessanta, di alcuni movimenti guerriglieri che si ispiravano al maoismo o al castrismo (le FARC e l’ELN), la cui azione rivoluzionaria – contrastata brutalmente dall’esercito – precipitò nuovamente la Colombia nel caos.

Dagli anni Ottanta si svilupparono organizzazioni criminali dedite alla produzione e al commercio della droga, che si unirono in potenti gruppi (detti cartelli) e si dotarono di veri e propri eserciti privati.

Nonostante l’instabilità politica, negli ultimi anni la Colombia ha visto crescere in modo sostenuto il suo PIL. Attualmente è uno dei paesi più ricchi dell’America latina, anche se la popolazione beneficia soltanto in minima parte di questo benessere.

Oltre il 65% dei terreni coltivati appartiene a circa il 4% della popolazione.

Secondo le stime dell’Unhcr, in oltre 50 anni di conflitto armato sono morte 200’000 persone e 4 milioni sono fuggiti cercando riparo e sicurezza in altre regioni.

I contadini, gli indigeni e le minoranza afrocolombiane sono le vittime principali del conflitto.

Attiva nel commercio di materie prime e nella produzione di petrolio e carbone, la multinazionale Glencore International AG ha la sua sede principale nel canton Zugo. Attualmente ha filiali in una quarantina di paesi.

In Colombia possiede due miniere di carbone nel dipartimento del César: Calenturitas e La Jagua. Entrambe sono gestite dalla società colombiana Prodeco, di intera proprietà della Glencore. Può inoltre contare su facilitazioni portuarie a Santa Marta.

Impiega circa 2’500 persone, tra le miniere e il porto.

Il carbone estratto in Colombia viene esportato principalmente in Europa, Stati Uniti e paesi caraibici.

Nel 2009 la Glencore ha realizzato una cifra d’affari di 117 miliardi di franchi nel 2009. Si tratta del risultato più alto realizzato in Svizzera, davanti a giganti come la Nestlé o la Novartis.

La Glencore possiede inoltre il 35% della Xstrata, multinazionale con sede a Zugo e tra le dieci più ricche della Svizzera nel 2009. In Colombia la Xstrata possiede un terzo della miniera di El Carrejón, tra le più grandi miniere a cielo aperto del mondo.

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