Perché non si parla mai di un “expat clandestino”?
Chi è un expat o espatriato? La domanda è semplice, ma è tutt'altro che facile dare una risposta succinta e soddisfacente. Con le questioni legate alla mobilità mondiale sempre più spesso al centro dell'attualità, swissinfo.ch entra nella giungla semantica di emigrati, immigrati, rifugiati e migranti economici.
“Lo so quando la vedo”, è stato il famoso commento di un giudice della Corte suprema degli Stati Uniti che tentava di definire l’oscenità. Molte persone hanno lo stesso atteggiamento verso gli expat: “So che lo è quando ne vedo uno”.
Letteralmente, un expat – abbreviazione di espatriato (non ex patriota!) – è una persona che ha lasciato il territorio della patria. Questa è la definizione più corrente che si trova nei dizionari. Nell’indagine del gruppo bancario HSBC “Expat ExplorerCollegamento esterno“, un espatriato è definito come “qualcuno che ha più di 18 anni, che vive lontano dal paese d’origine”.
Ma questa definizione è troppo ampia. Potrebbe valere anche per studenti, rifugiati e richiedenti asilo, ossia persone che la maggior parte della gente non considera expat. Come possiamo dunque migliorare la definizione di “adulto all’estero”?
InterNationsCollegamento esterno, la “più grande rete di espatriati del mondo”, definisce un expat come “qualcuno che decide di vivere all’estero per un periodo non definito, senza restrizioni di origine o di residenza”.
Questo, comunque, non si discosta molto da un immigrato, di solito definito come “qualcuno che è venuto da un paese diverso per vivere lì in permanenza, mentre gli expat vanno all’estero per un periodo di tempo limitato o non hanno ancora deciso la durata della loro permanenza all’estero”.
D’accordo? Adesso prendiamo in considerazione varie dichiarazioni sugli espatriati – alcune volutamente provocatorie – come spunto di riflessione per cercare una definizione complessiva.
Gli expat intendono rimanere nel loro nuovo paese per un periodo limitato. Questo risale ai giorni in cui gli stranieri erano salariati con competenze professionali qualificate, di solito dipendenti di grandi multinazionali, inviati all’estero per incarichi temporanei. Con loro si trasferiva la famiglia. Il problema è che, mentre esistono ancora questi trasferimenti professionali, questa definizione comprende molte altre persone.
Chi delle seguenti persone è un expat? “Un diplomatico americano di stanza in Ghana. Un idraulico ucraino che lavora a Londra. Una donna d’affari tedesca che vive a Shanghai. Uno studente di medicina etiope che sta perfezionando le sue competenze in un ospedale in Francia. Un professore siriano che lavora in Italia come portinaio, con la speranza di tornare nella sua terra dilaniata dalla guerra una volta che diventa di nuovo sicura”.
Secondo la definizione summenzionata – si sottolinea in un blogCollegamento esterno che ha lanciato la discussione – tutte queste persone sarebbero expat; la maggior parte della gente non sarebbe però d’accordo. Peraltro, secondo questa definizione i pensionati che si trasferiscono all’estero non possono essere espatriati (a meno che “per un periodo limitato” significhi “fino alla morte”). I media britannici dovrebbero quindi trovare un altro termine per i circa 300mila inglesi che vivono in Spagna, di cui un terzo sono pensionati, che sono preoccupati per le conseguenze che avrà la Brexit sui loro diritti. Che cosa accadrà a questi Brexpat?
Gli expat hanno un certo livello di reddito e/o formazione. Ovvero fanno certi lavori. Il colore del colletto (bianco vs. blu) influenza lo statuto di espatriato? Un individuo ben qualificato, ben istruito, che svolge un lavoro umile – ad esempio il professore siriano che in Italia lavora come portinaio – può essere considerato un expat?
Nell’inchiesta “HSBC Expat Explorer” per il 2015 sono state esaminate le condizioni di espatriati in 39 paesi ed è risultato che in media guadagnavano 180mila dollari all’anno (in Svizzera la media era pari a 200mila dollari). Questo non significa necessariamente che non si possa essere un expat povero o addirittura disoccupato, ma il denaro sembra giocare un ruolo.
Gli expat sono bianchi. Dimenticatevi il colletto bianco: che ne dite di pelle bianca? Qui ci addentriamo nel campo minato del “politicamente corretto”.
Vi sono persone secondo cui, i bianchi sono espatriati, mentre tutti gli altri sono immigrati. Questo si basa sull’idea che l’espatrio è un fenomeno anglosassone e una eredità coloniale dei tempi in cui inglesi del ceto medio-alto si sono installati in tutto l’Impero britannico (e in Svizzera!). Così in Africa, India e Hong Kong, ricchi inglesi si godevano la “vita da espatriati” in “comunità di espatriati”.
L’Impero si sarebbe poi disintegrato, ma le connotazioni culturali legate agli espatriati sembrano essere sopravvissute. Infatti, come commenta l’autore di un articolo del quotidiano The Guardian: “I professionisti africani altamente qualificati che vengono a lavorare in Europa non sono considerati espatriati. Sono immigrati”.
Gli expat vanno in paesi di condizioni inferiori, gli immigrati in paesi di condizioni superiori. Secondo questa interessante teoria, che ha anche connotazioni imperiali, essere un expat o un immigrato dipende dal rapporto tra il paese che si è lasciato e il paese in cui ci si è trasferiti. Se quest’ultimo è più ricco si è un immigrato, se è più povero si è un expat.
Gli expat non hanno il passaporto del paese di residenza. La popolazione residente in Svizzera è di 8,3 milioni di abitanti. I cittadini svizzeri che vivono all’estero sono circa 775mila, di cui i tre quarti hanno la doppia nazionalità: sono espatriati? La maggior parte della gente direbbe di no, perché il passaporto, di solito, è uno dei segni di integrazione…
Gli expat non fanno alcuno sforzo per integrarsi. Non imparano la lingua e non socializzano con la gente del posto. Anche questo risale all’epoca coloniale britannica, in cui l’unica interazione degli inglesi con la popolazione locale era l’assunzione di personale domestico indigeno. Gli expat fondamentalmente mantengono lo stile di vita del proprio paese, pur vivendo nel paese di qualcun altro. E si deve essere ricchi per poterlo fare. Soprattutto in Svizzera!
Gli expat rimangono per scelta, non per necessità. InterNations riconosce che mentre “i tipi di espatriati e le ragioni delle loro decisioni di trasferirsi all’estero sono altrettanto diversi dei paesi da cui provengono e quelli in cui si stabiliscono. Di solito però, è vero che le persone che chiamiamo espatriati, vivono all’estero per una scelta di vita, piuttosto che per necessità economiche o a causa di circostanze terribili nei loro paesi d’origine, come l’oppressione o la persecuzione”.
InterNations conclude che è proprio questo che li differenzia dai rifugiati o dai migranti economici, e non il loro reddito o la loro origine.
“Expat clandestino”
Si può essere d’accordo o in disaccordo con queste affermazioni, ma ha veramente senso utilizzare – per non parlare di definire – il termine “expat”?
Da un lato, non ha alcun significato giuridico. Non esiste un “expat clandestino” e nessuno si descriverebbe come un “expat di seconda generazione”. Inoltre avvalora le divisioni sociali, senza portare alcun beneficio evidente.
D’altro lato, si tratta di una parola corta, adatta per i titoli, che i giornalisti, soprattutto in Gran Bretagna, continueranno ad utilizzare, per cui converrebbe accordarsi su ciò di cui si parla. Questa parola sta lentamente entrando in uso anche in altre lingue, benché per una convincente definizione univoca si dovrà ancora aspettare.
Allora, chi è un expat? Beh, so che lo è quando ne vedo uno.
Tipologia di un expat
L’indagine annuale InterNations Expat Insider identifica dieci tipi comuni di espatriati.
Gli “expat tradizionali”, vale a dire i salariati trasferiti all’estero per un periodo di tempo limitato e i coniugi di espatriati, sono solo due di questi tipi e costituiscono solo un quinto dei partecipanti al sondaggio.
Tra gli altri vi sono, per esempio, coloro che hanno cercato e trovato un lavoro all’estero per conto proprio (10%), dei romantici che si trasferiscono nel paese d’origine del o della partner (8%), degli ex studenti che sono andati in un paese per una formazione e poi sono rimasti a lavorare (7%), degli avventurieri a cui semplicemente piace vivere all’estero e che erano alla ricerca di una sfida personale (18%).
(Fonte: InterNations)
Che connotazioni ha per voi il termine expat? A vostro avviso, i media dovrebbero smettere di usare questo termine e parlare invece semplicemente di migranti? Scriveteci i vostri commenti.
(Traduzione dall’inglese: Sonia Fenazzi)
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