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«Gli operatori umanitari sono sempre meno rispettati»

Il corpo svizzero d’aiuto umanitario (CSA) è composto da circa 700 volontari pronti ad intervenire in caso di catastrofe AFP

Di fronte a situazioni di crisi che si moltiplicano e a conflitti sempre più complessi, la Svizzera si batte per preservare uno spazio umanitario a cui abbiano accesso tutte le vittime. Martin Dahinden, direttore dell’agenzia svizzera per la cooperazione allo sviluppo, parla di una situazione sempre più difficile.

Forte della sua tradizione umanitaria e della sua neutralità, la Svizzera deve impegnarsi affinché i principi fondamentali che regolano la protezione della popolazione in situazioni di conflitto non siano costantemente violati da attori politici o militari. È quanto ribadisce Martin Dahinden, direttore della Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC). A inquietarlo è in particolare la violenza crescente che colpisce il personale umanitario in molte regioni del mondo.

swissinfo.ch: Le crisi a livello planetario si moltiplicano e diventano sempre più imprevedibili. Come reagisce l’aiuto umanitario svizzero a questa evoluzione?

Martin Dahinden: Da qualche anno, assistiamo effettivamente a una moltiplicazione delle crisi ambientali (siccità, inondazioni, desertificazione, ecc.), dovute soprattutto agli effetti del mutamento climatico, e delle crisi legate a conflitti armati.

Le capacità dell’aiuto umanitario svizzero sono troppo limitate per reagire a tutte queste crisi. Tanto più che le crisi tendono a protrarsi per periodi sempre più lunghi. È il caso per esempio della regione dei Grandi laghi e del Corno d’Africa. Per tutte queste missioni, la Svizzera ha bisogno di partner.

È necessario riflettere su nuovi metodi d’intervento che permettano di migliorare situazioni umanitarie difficili, senza essere obbligati a fornire cibo, cure e assistenza di base a lungo termine.

swissinfo.ch: Questo significa che l’aiuto umanitario deve concentrare ulteriormente gli sforzi nelle zone d’intervento prioritario?

M.D.: Nell’ambito dell’aiuto umanitario, le zone d’intervento non sono definite a priori. Agiamo secondo i bisogni della popolazione coinvolta, in base naturalmente alle nostre capacità d’intervento in un contesto specifico. In ogni caso osservo da qualche anno una trasformazione importante: la differenza che si fa tradizionalmente tra aiuto umanitario e aiuto allo sviluppo sta scomparendo. Sempre più spesso conduciamo le due azioni parallelamente.

L’esempio dei rifugiati è particolarmente significativo. Quando ci si occupa di una popolazione costretta a lasciare le proprie case, spesso da lungo tempo, bisogna mettere a disposizione scuole o centri medici, strumenti tipici dell’aiuto allo sviluppo. In Svizzera abbiamo il grosso vantaggio che l’aiuto umanitario e l’aiuto allo sviluppo sono gestiti dalla stessa agenzia. Molti paesi non possono contare su questo vantaggio essenziale che permette un miglior coordinamento.

swissinfo.ch: La Svizzera ha accesso a territori preclusi ad altri paesi?

M.D.: La specificità della Svizzera è di difendere certi valori e in particolare di sostenere interventi umanitari imparziali e neutrali. Ci rifiutiamo di strumentalizzare l’aiuto umanitario a fini politici o militari. La Svizzera può così far sentire una voce forte, seppure minoritaria nel mondo attuale.

Ci sforziamo di preservare uno spazio umanitario, un campo d’azione in cui sia possibile avere accesso a tutte le popolazioni. È il caso della Colombia o più di recente della Libia, dove la Svizzera ha potuto avere accesso alle vittime perché non ha un’agenda politica.

Un ambito in cui la Svizzera può impegnarsi in modo particolare grazie alla sua tradizione e alla sua neutralità è quello delle persone sfollate non a causa di conflitti. Penso per esempio ai profughi climatici. Attualmente, non c’è nessuna regola internazionale per questa categoria di rifugiati. Bisogna cambiare le cose.

swissinfo.ch: In che misura la Svizzera è colpita dalla crescente violenza contro gli operatori umanitari e il personale medico?

M.D.: Purtroppo constatiamo regolarmente delle violazioni nei confronti del nostro personale umanitario. C’è sempre meno rispetto per gli emblemi della Croce rossa o dell’ONU. In molte situazioni confuse di conflitto, gli operatori umanitari si confrontano con gruppi armati che non hanno l’aspirazione di governare, ma che controllano semplicemente delle regioni, senza rispettare le regole stabilite dal diritto internazionale.

swissinfo.ch: Cosa occorre fare per rimediare a questa situazione problematica?

M.D.: È necessario condurre una sensibilizzazione su larga scala. In primo luogo, gli stati devono impegnarsi con decisione a rispettare questo spazio umanitario, la neutralità e l’imparzialità degli attori umanitari.

swissinfo.ch: È favorevole a un intervento umanitario armato quando la situazione è urgente?

M.D.: Un intervento umanitario armato comporta l’uso dell’esercito e di soldati per raggiungere un obiettivo umanitario. Il dibattito è stato intenso dieci anni fa e talvolta si riattizza in contesti di crisi come quelli della Siria o della Libia. Per quel che mi riguarda, io non sono favorevole. Preferisco il principio della responsabilità di proteggere, adottato dalle Nazioni Unite nel 2005. Per gli stati, questo implica una responsabilità interna di rispetto della dignità e dei diritti fondamentali dell’uomo, ma comporta anche una responsabilità sussidiaria della comunità internazionale in caso di gravi violazioni.

L’Aiuto umanitario svizzero – che fa parte della Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC) – apporta un aiuto diretto dopo catastrofi naturali o nel quadro di conflitti armati, grazie al Corpo svizzero d’aiuto umanitario, che conta su 700 volontari pronti a entrare in azione.

Inoltre sostiene le organizzazioni umanitarie partner nella loro missione di prevenzione e di risoluzione dei conflitti. I contributi sono destinati in primo luogo a grandi organizzazioni come il Comitato internazionale della Croce rossa, il Programma alimentare mondiale e l’Alto commissariato dell’ONU per i rifugiati.

L’aiuto umanitario può assumere forme diverse: prestazioni in natura, come per esempio la distribuzione di cibo, contributi finanziari, invio di specialisti. Nel 2010 la Confederazione ha speso 315 milioni di franchi per l’aiuto umanitario, vale a dire circa un quinto del budget totale della DSC.

Il 23 marzo scorso, in occasione della giornata annuale dell’aiuto umanitario della Confederazione, il ministro degli affari esteri Didier Burkhalter ha sostenuto la necessità di un rafforzamento della presenza svizzera sul terreno e presso i suoi partner.

Ha inoltre auspicato un impegno maggiore nella prevenzione delle catastrofi e delle crisi ambientali, nel quadro della conferenza Rio+20, e un’accresciuta influenza della Svizzera in seno alle organizzazioni internazionali.

Nato nel 1955, l’ambasciatore Martin Dahinden è direttore della DSC dal 1° maggio 2008. In precedenza è stato direttore delle risorse del Dipartimento federale degli affari esteri e direttore del Centro di sminamento umanitario di Ginevra.

Dottore in economia aziendale, Dahinden viene dal corpo diplomatico, dove ha ricoperto vari incarichi in diverse parti del mondo.

Traduzione di Andrea Tognina

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