«Il femminismo è passato dalla strada alla teoria»
A cento anni dalla prima pubblicazione del mensile svizzero «Le Mouvement féministe», le Editions d’En Bas, di Losanna, pubblicano un’opera che ricorda conquiste e problemi attuali del femminismo. Intervista con un’autrice, Silvia Ricci Lempen.
Nel 1912, Emilie Gourd, ginevrina di 33 anni, fonda la rivista militante «Le Mouvement féministe». Il mensile cambia nome più volte nel corso dei decenni. Nel 2009, viene ribattezzato «l’émiliE», in onore della sua fondatrice, ed è disponibile soltanto in formato elettronico.
«Le Mouvement féministe» è la rivista dedicata alla causa delle donne più vecchia al mondo e permette di ripercorrere lo sviluppo del femminismo nell’ultimo secolo. A cent’anni dalla prima edizione, la Fondazione Gourd ha chiesto a due autrici romande, Martine Chaponnière e Silvia Ricci Lempen, di scrivere un libro dal titolo Tu vois le genre? Débats féministes contemporains (letteralmente traducibile con Vedi il genere? Dibattiti femministi contemporanei). L’opera si occupa della questione femminile, dei progressi e problemi che incontra oggigiorno. Intervista.
swissinfo.ch: Nel vostro saggio, scrivete che oggi c’è un generale disinteresse per il femminismo poiché si crede che l’uguaglianza tra i sessi sia una realtà. Ma è davvero così?
Silvia Ricci Lempen: Sì e no. Sì, perché la parità tra i sessi ha fatto enormi progressi a livello legislativo. Oggigiorno, molte ONG, altrettanti organismi nazionali e internazionali – come le Nazioni Unite e le sue agenzie – si occupano d’uguaglianza tra i sessi. In Svizzera, per esempio, ci sono innumerevoli uffici per la parità in tutti i cantoni o nelle università. La loro attività è legata spesso a problemi che toccano la famiglia o la discriminazione.
No, perché se da una parte il principio di parità sembra acquisito nella nostra società occidentale, la sua applicazione pone ancora dei problemi. Infatti, la maggior parte delle persone crede che esistano davvero differenze naturali fra uomini e donne di cui è necessario tener conto. A questa convinzione va aggiunto anche l’inconscio collettivo segnato profondamente dalla virilità maschile. Cambiare la mentalità a tutti i costi non mi pare tuttavia auspicabile.
swissinfo.ch: Non è un’affermazione un po’ paradossale?
S.R.L.: Nient’affatto. Sono convinta che le azioni volontarie volte a sconvolgere l’inconscio della popolazione portino a una rivoluzione culturale, come quella cinese o cambogiana di Pol Pot. È necessario, invece, accompagnare sul lungo termine la popolazione verso il cambiamento di un’idea.
swissinfo.ch: A chi pensa quando parla di «popolazione»?
S.R.L.: Viste le grandi differenze culturali, non ci è stato possibile realizzare uno studio a livello mondiale sulla questione della parità. Ci siamo quindi concentrate sul femminismo in Occidente.
swissinfo.ch: All’inizio degli anni Settanta, il femminismo era caratterizzato da una forte militanza e da manifestazioni di strada spesso spettacolari. Le conquiste che lei ricorda, ottenute fino ad oggi, hanno forse indotto le donne a non essere più così combattive?
S.R.L.: Sì, è vero. In poche parole, il femminismo è passato dalla strada alla teoria. È una tendenza che si riscontra anche in altre lotte, per esempio quella sindacale. Oggi, i movimenti collettivi sono meno agguerriti. Con il crescente individualismo si nota una generale tendenza a chiudersi in se stessi: ognuno difende il suo orticello.
Questo stato di cose accresce l’importanza della teoria, altrettanto necessaria della denuncia attiva. Permette di andare a fondo al problema, come lo sta facendo – per esempio – il Centro di studi di genere (LIEGE) dell’Università di Losanna. La ricerca scientifica dovrebbe, tra l’altro, informare il cittadino medio sui temi del femminismo.
swissinfo.ch: Dove si piazza la Svizzera in materia di parità tra i sessi – salari, parità politica… – rispetto ad altri paesi europei?
S.R.L.: Per quanto concerne la parità politica, la Svizzera è nettamente davanti a Francia e Italia. Si tratta di un’evoluzione sorprendente se pensiamo che le donne, in Svizzera, hanno ottenuto il diritto di voto soltanto nel 1971. Circa il 30 per cento dei seggi del Consiglio nazionale è occupato da donne, percentuale superiore ai due Stati confinanti. A differenza della Francia, paese centralista, la Confederazione ha una lunga tradizione con le quote. Qui, la questione del genere si è aggiunta a quella linguistica, religiosa, culturale: sono tutti elementi dell’identità elvetica.
Per quanto riguarda i salari, a pari qualifiche c’è un divario vicino al 18 per cento tra uomini e donne. In Europa, la situazione è analoga, eccezion fatta, forse, per i paesi scandinavi in cui è stata adottata una politica che promuove una maggiore presenza di donne ai piani alti delle aziende. Così, in questi Stati nordici il numero di donne nei consigli di amministrazione è nettamente maggiore rispetto a quello in Svizzera o in Francia.
swissinfo.ch: Lasciamo le cifre per addentrarci in campo culturale dove le donne hanno spesso un ruolo solo simbolico. Desperate Housewives ne è un esempio. Nel vostro libro si legge che le protagoniste di questa serie televisiva di successo sono caratterizzate dalle attuali contraddizioni della condizione femminile. Che cosa intendete con questa affermazione?
S.R.L.: Sono delle eroine «imprigionate» nell’angolo arcaico del focolare, riservato alla donna. Nello stesso tempo, sono anticonformiste e ciniche nel loro ruolo di spose e madri. Ci troviamo di fronte a un’ambivalenza molto attuale che caratterizza il «post-femminismo». Certo, da una parte abbiamo un immaginario collettivo molto retrogrado e dall’altra delle conquiste di una società occidentale evoluta e libera. D’accordo… Desperate Housewives è solo fiction. E la fiction non è esatta come la scienza. Questa serie televisiva non ci impedisce però di riflettere sulle contraddizioni della donna all’alba del XXI secolo.
Tu vois le genre? Débats féministes contemporains, di Silvia Ricci Lempen e Martine Chaponnière. Editions d’En Bas (Losanna), 204 pagine
Nata a Ginevra nel 1879, è stata una delle figure più significative del femminismo svizzero nella prima metà del secolo scorso.
Ha preso parte a tutte le lotte: assicurazione malattia, assicurazione maternità, formazione delle ragazze, parità salariale, accesso delle donne a tutte le funzioni…
Presidente dell’associazione svizzera per il suffragio femminile dal 1914 al 1928, si è battuta anima e corpo affinché le donne ottenessero il diritto di voto in Svizzera.
Giornalista e brillante oratrice, nel 1912 fonda la rivista le Mouvement féministe, giornale d’informazione e di propaganda sul suffragio femminile.
Il titolo del mensile è stato modificato negli anni Sessanta, prima in «Femmes Suisses», poi in «Femmes en Suisse» e infine in «l’émiliE», in onore della sua fondatrice. L’ultima edizione stampata è stata pubblicata nell’agosto del 2009. Da questa data la rivista è disponibile solo in formato elettronico.
È stata creata nel 1984 su iniziativa di Jacqueline Berenstein-Wavre.
La Fondazione intende incoraggiare e sviluppare l’informazione sulle questioni femminili in Svizzera romanda.
Fino al 2001, la Fondazione ha sostenuto soprattutto il giornale Femmes Suisses, oggi l’émiliE.
Promuove inoltre la pubblicazione di libri e la produzione di film e pezzi di teatro incentrati sulle questioni femminili.
(traduzione di Luca Beti)
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