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La guerra contro la droga è persa, osiamo la pace

Malgrado la repressione, il consumo di stupefacenti non è mai stato così elevato Keystone

Volere una società senza droga significa rincorrere un’utopia. Una commissione internazionale di esperti, di cui è membro anche un’ex ministra svizzera, e più recentemente due giuristi dell’Università di Neuchâtel, chiede un cambiamento di rotta radicale.

1961. Le Nazioni Unite ratificano la Convenzione unica sugli stupefacenti. Il testo raccomanda una linea proibizionista a livello mondiale, includendo nella lista per la prima volta anche la cannabis. 1971. Il governo americano di Richard Nixon dichiara la «war on drugs», il cui obiettivo è di sbarazzare il mondo dagli stupefacenti, utilizzando tutti i mezzi a disposizione, compresi quelli militari.

Quarant’anni più tardi la guerra è persa, malgrado i miliardi e miliardi di dollari spesi.  Nel mondo probabilmente non sono mai state consumate così tante droghe. Il traffico di stupefacenti registrerebbe ogni anno un giro d’affari di 400 miliardi di dollari, stando a una stima dell’FMI. Gruppi mafiosi, organizzazioni terroriste e delinquenti vari si spartirebbero così una somma di poco inferiore al prodotto interno lordo della Svizzera. Il bilancio è completamente fallimentare su tutti i fronti: salute pubblica, sicurezza, diritti dell’uomo…

«Basti pensare che la metà delle condanne a morte pronunciate nel mondo sono legate a vicende di stupefacenti, spesso minori, e che un terzo delle contaminazioni da HIV al di fuori dell’Africa subsahariana avvengono a causa dello scambio di siringhe», osserva Ruth Dreifuss, che negli anni ’90 ha instaurato in Svizzera la cosiddetta politica dei «quattro pilastri» (prevenzione, terapia, riduzione dei rischi, repressione).

Un primo sasso nello stagno

Oggi l’ex ministra dell’interno e presidente della Confederazione fa parte della Commissione mondiale per la politica delle droghe, un’«iniziativa della società civile» partita dall’America latina, dove gli sfaceli della guerra alla droga sono particolarmente evidenti.

Oltre ad ex capi di Stato, come il messicano Zedillo, il colombiano Gaviria e il brasiliano Cardoso, la commissione annovera nelle sue file membri illustri, tra cui gli scrittori Carlos Fuentes e Mario Vargas Llosa, premio Nobel della letteratura, l’ex segretario generale dell’ONU Kofi Annan, l’ex Alto  commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Louise Arbour, l’ex segretario di Stato americano George Shultz o ancora l’ex presidente della Federal Reserve Paul Volcker e il fondatore della Virgin Richard Branson.

Nel giugno 2011, la commissione ha presentato un rapporto che ha avuto una certa risonanza. Esso raccomanda di procedere urgentemente a una «riforma fondamentale delle politiche antidroga su scala nazionale ed internazionale».

In particolare, esorta a smetterla di criminalizzare i consumatori e di rispettare i diritti delle persone implicate ai livelli più bassi del traffico (contadini, passatori, piccoli rivenditori), a promuovere i trattamenti con il metadone e la prescrizione medica di eroina, ad evitare i messaggi semplicistici come «no alla droga» e le politiche di tolleranza zero, privilegiando i programmi di informazione e prevenzione credibili.

In conclusione, la Commissione lancia un appello ai governi affinché «le convenzioni internazionali siano interpretate o modificate in maniera tale da fornire una base legale solida, che permetta di sperimentare la riduzione dei rischi, la depenalizzazione e la regolazione legale».

«Non so se il mondo è pronto per un simile cambiamento di rotta. So però che molti dirigenti sono coscienti della necessità di un nuovo approccio in questo ambito. Il rapporto ha suscitato molto interesse e siamo spesso sollecitati», spiega Ruth Dreifuss, che recentemente si è recata all’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine a Vienna e in gennaio è stata ricevuta, assieme a Richard Branson, da una commissione del parlamento britannico.

Per la legalizzazione totale

Nel novembre 2011 è stato lanciato un altro sasso nello stagno. In 90 pagine ben documentate intitolate Lutte contre la drogue: stupéfiantes contradictions? (Lotta contro la droga: stupefacenti contraddizioni?), due dottorandi in diritto dell’Università di Neuchâtel raccomandano niente poco di meno che la legalizzazione totale di tutte le droghe illecite.

Ludivine Ferreira e Alain Barbezat sono partiti dalla stessa constatazione, ovvero il fallimento completo della guerra contro la droga. «La repressione è inefficace, in Svizzera come altrove, osserva quest’ultimo. Gli studi nell’ambito della criminologia mostrano che affinché una condanna sia dissuasiva deve essere inflitta rapidamente, vi deve essere la certezza della pena e la sanzione deve essere abbastanza severa. La maggior parte delle volte, i primi due punti non sono rispettati e la severità, al di là di un certo livello, non serve più a nulla in materia di prevenzione della criminalità. Può addirittura avere un effetto perverso».

Certo, ma da qui a legalizzare… I due giuristi sono coscienti del fatto che nel contesto politico attuale la proposta sia difficile da difendere. La permissività di cui avevano dato prova all’inizio del millennio certe polizie cantonali e comunali oggi è solo un ricordo e nel 2008 il 63% dei votanti ha rifiutato un’iniziativa popolare per la depenalizzazione della cannabis.

A inizio marzo, la camera bassa del parlamento ha comunque accettato di non più perseguire penalmente chi è preso con una quantità inferiore a 10 grammi di «stupefacente che produce effetti del tipo della canapa». In questi casi ci si limiterebbe a una multa disciplinare di 200 franchi. La revisione è comunque stata accolta solo per una manciata di voti (86 contro 83) e deve ancora ricevere l’avallo della camera alta.

«Il nostro scopo è anche di dare un po’ fastidio, di fare avanzare il dibattito, ammette Ludivine Ferreira. Se ci auto-imponessimo delle restrizioni su pretesto che non piaceranno a tutti, non si riuscirebbe ad avanzare e forse in Svizzera esisterebbe ancora la pena di morte».

Nessun scaffale «droga» alla Migros

I due giovani giuristi non caldeggiano comunque una società della droga e non sognano di vedere nei supermercati scaffali destinati agli stupefacenti. Per loro, del resto, la politica svizzera dei quattro pilatri, che considera le droghe come una questione di salute pubblica e non semplicemente penale, va nella giusta direzione.

Il problema, secondo i due giuristi, è che i due terzi dei mezzi destinati alla lotta contro gli stupefacenti in Svizzera servono a finanziare il pilastro «repressione», ritenuto inefficace. «Se legalizzassimo, questi mezzi servirebbero per gli altri pilastri, ovvero prevenzione e trattamenti, sottolinea Ludivine Ferreira. Tutto ciò deve andare di pari passo con la legalizzazione, poiché semplicemente legalizzare non serve a nulla».

Per quanto concerne lo spettro di un’esplosione del consumo agitato da chi si oppone a qualunque allentamento della proibizione, Ferreira e Barbezat sono dubbiosi. E non sono gli unici.

«Oggi è relativamente facile procurarsi tutti i tipi di droga, osserva Alain Barbezat. Tuttavia, molte persone non si drogano e questo non tanto per il divieto penale quanto per una serie di altre ragioni: non sono attirati, il divieto morale, la consapevolezza dei rischi per la salute… Si perpetua questa immagine del Codice penale grande e cattivo che ci sorveglia e che impedisce a tutti di affondare le dita nella marmellata. Ma è un immagine falsa!».

Legalizzazione. Gli stupefacenti non sono legalizzati in nessuna parte nel mondo. Un simile sistema presuppone la libertà di produrre, di vendere, di acquistare e di consumare. Come ad esempio per l’alcol, il tabacco o i medicinali.

 

Depenalizzazione. In questo caso il possesso e il consumo di piccole quantità di droga non si traduce più in un procedimento penale, ma al massimo in una multa.

Il Portogallo ha depenalizzato tutti gli stupefacenti nel 2000. Altrove ci si è limitati a depenalizzare la cannabis, in maniera più o meno liberale, ad esempio in Olanda, Belgio, Spagna, Estonia, Cechia, Canada, Argentina, Brasile, Messico, Perù e Uruguay.

4,1 miliardi di franchi di spese annuali per i quattro pilastri

Un milione di persone in Svizzera fumano o hanno fumato cannabis.

La metà dei ragazzi di 15 e 16 anni ha già provato uno spinello.

26’000 adulti consumano regolarmente eroina e/o cocaina.

17’000 persone ricevono un trattamento sostitutivo (metadone o buprenorfina).

1’300 persone ricevono eroina su prescrizione medica.

250 persone muoiono ogni anno a causa del consumo di droghe pesanti.

La trasmissione del virus HIV attraverso le siringhe è praticamente scomparsa.

In Svizzera «abbiamo potuto constatare con soddisfazione che facendo con prudenza le cose si può avanzare», dichiara Ruth Dreifuss in merito alla politica dei quattro pilastri avviata quando era responsabile della sanità pubblica (settore che dipende dal ministero dell’interno).

La Svizzera è spesso presa ad esempio per la sua legislazione e la sua pratica in materia di riduzione degli aspetti nocivi legati alle droghe, sia per i consumatori che per la società in generale.

(traduzione di Daniele Mariani)

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