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«Pelliccia di Yeti» all’asta a Ginevra

Contrariamente a tutti i ricercatori, Tintin e il capitano Haddock lo Yeti lo avevano trovato Castermann

Per mille miliardi di sabordi, direbbe il capitano Haddock. Una vera pelliccia di Yeti messa all’incanto a Ginevra! Non esattamente. Per essere precisi, si tratta di una pelliccia di un esemplare di Ursus arctos pruinosus, un orso azzurro tibetano.

L’oggetto, battuto per 18’200 franchi, era la principale attrazione della vendita organizzata mercoledì alla casa d’aste Hotel des Ventes. La pelliccia proviene dalla collezione raccolta dall’alpinista Sir Edmund Hillary, durante la sua famosa spedizione nell’Himalaya del 1960 per cercare prove sull’esistenza dello Yeti.

«Appartiene a uno svizzero, il cui padre l’aveva acquistata in un’asta di Christies a Londra nel 1978 per 1’200 sterline (1’640 franchi)», spiega il banditore Bernard Piguet. «Era affascinato dagli oggetti rari e da tutto quello che aveva a che fare con Hillary».

«Si tratta di un orso azzurro dell’Himalaya», aggiunge Piguet. «Fino alla spedizione del 1960 era considerato uno yeti. Sir Edmund andò nella regione per verificare se lo Yeti era una leggenda o meno».

Lo scalatore neozelandese, che nel 1953 compì la prima ascensione dell’Everest assieme allo sherpa Tenzing, faceva parte di una spedizione americana che cercava l’«abominevole uomo delle nevi».

I membri della spedizione raccoglievano pellicce, teschi, ossa e altri oggetti, che venivano poi spediti in Gran Bretagna per essere analizzati. Tra questi anche la pelliccia messa all’asta.

Partito senza preconcetti di sorta, Hillary giunse alla seguente conclusione: «Sono incline a pensare che lo Yeti debba essere collocato nel regno della mitologia».

Anche la missione scientifica non trovò nessuna prova e concluse che le tracce dello Yeti erano piuttosto impronte umane deformate dallo scioglimento della neve, che gli avvistamenti degli sherpa non erano degni di fede e che tutti gli scalpi erano senza dubbio dei falsi.

Le analisi effettuate sulla «pelliccia dello Yeti» all’asta a Ginevra hanno dimostrato che proviene da un raro esemplare di orso azzurro tibetano (o orso delle nevi). «Tutte le prove scientifiche dimostrano che quello che viene chiamato Yeti è in realtà un orso azzurro», osserva Piguet.

Un fascino che persiste

La mitica creatura continua comunque ad affascinare. Nel fine settimana, circa 3’000 curiosi si sono accalcati all’Hotel des Ventes per ammirare la pelliccia.

Conosciuta come «migyou», o Yeti in tibetano, il vello era stato utilizzato per decorare il trono di un importante religioso di un monastero nel nord del Bhutan.

«Racchiude un grande simbolismo. Si tratta di un animale molto importante nella cultura Sherpa», afferma Piguet.

Durante tutto il XX secolo, la questione dell’esistenza dello Yeti ha suscitato un grande interesse anche in Occidente. La cultura popolare ha iniziato ad adottare la versione occidentalizzata dell’«abominevole uomo delle nevi» a partire dagli anni ’20. Nel 1960, in «Tintin in Tibet», il famoso fumettista francese Hergé fa incontrare lo Yeti coi suoi eroi.

Vista la mancanza di prove, la comunità scientifica ha comunque sempre ritenuto che lo Yeti appartenga al mondo delle leggende.

Nessuna prova…

Una posizione condivisa anche da Emma-Louise Nicchols, del Grant Museum of Zoology dell’University College di Londra.

«L’assenza di prove non è la prova dell’assenza – precisa comunque la donna. Penso che sia questo che, combinato alla sete naturale di conoscenza che hanno gli uomini, spinga ancora delle persone a cercare lo Yeti».

Malgrado tutti i presunti avvistamenti, le impronte o i peli, per ora non vi è come detto nessuna prova, come ad esempio ossa o feci, spiega la zoologa.

«La probabilità che nell’Himalaya esista un primate di cui non siamo a conoscenza è praticamente nulla, in particolare visti gli equipaggiamenti di cui disponiamo oggi», aggiunge.

Nel mondo della criptozoologia, una disciplina considerata pseudoscientifica che si occupa dello studio di creature mai catalogate, lo Yeti è considerato ben più di un mito.

… ma alcuni proseguono le ricerche

Jonathan Downes, esperto di Yeti presso il Centre of Fortean Zoology, basato in Gran Bretagna, è convinto che la creatura esista, in una forma o in un’altra.

«Se esiste, non si tratta né di un orso, né di una capra selvatica, bensì di un primate», sostiene Downes.

Lo specialista ritiene che in Asia esista una specie sconosciuta di grandi primati, che potrebbe discendere dalla scimmia gigante chiamata Gigantopithecus blackii, che ha vissuto nel sud-est asiatico per circa un milione di anni, prima di scomparire 100’000 anni fa.

«Il problema è che tutto quello che sappiamo in Occidente è falso. Non è abominevole, non è un uomo e non vive nella neve, ma in zone con foreste dense», afferma Downes.

In novembre, il centro ha inviato dei ricercatori nella regione di Garo, nel nord-est dell’India, per studiare la versione locale dello Yeti, conosciuta come Mande Burung.

«Sono ritornati con alcune testimonianze oculari. La ricerca va avanti. Penso che forse troveremo qualcosa».

Lo Yeti è una creatura antropomorfa che fa parte delle culture della regione dell’Himalaya.

L’«abominevole uomo delle nevi», come venne battezzato nel 1921 dall’esploratore Charles Howard-Bury, è chiamato anche meh-teh (uomo orso in tibetano), dzu-teh (orso bovino) o migoi (uomo selvaggio).

Creature leggendarie simili allo Yeti si ritrovano in diverse altre culture: il bigfoot negli Stati Uniti, il sasquatch in Canada, lo yowie in Australia, il mapinguari in Brasile…

Nel corso degli anni, sono stati ritrovate numerose «tracce» dell’esistenza dello Yeti: peli, scalpi, impronte… Nel tempio di Pangbotchi, in Nepal, è addirittura conservata una mano mummificata attribuita a uno Yeti. Tutti i reperti, inclusa la mano, si sono però sempre rivelati dei falsi.

(traduzione di Daniele Mariani)

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