Si muore un po’ ogni giorno a Meculane
Un bambino su dieci muore prima dei sei anni, soprattutto a causa di malattie curabili come la malaria, le infezioni respiratorie o la diarrea. Nonostante i progressi, il Mozambico non raggiungerà gli Obiettivi di sviluppo del millennio (OSM), ammette il governo. Reportage.
Il bambino è nato sui bordi della strada. La madre ha tagliato da sola il cordone ombelicale con un coltello. Il padre ha assistito alla scena, ma da lontano, poiché un uomo non si immischia in queste faccende. Il sangue è seccato al sole, vicino ai cespugli.
Quando le doglie sono diventate insopportabili, la coppia ha capito che sarebbe stato impossibile raggiungere il centro sanitario a Katapua. Dal loro villaggio di Meculane, avrebbero dovuto percorrere oltre quindici chilometri su una strada sterrata, in piena savana e sotto il sole cocente. «Juanito è il mio quinto figlio», racconta fieramente Armando Sabão, 30 anni. Vicino a lui, la moglie Natália Félix tiene in braccio il neonato. Sembra stiano bene ambedue.
Poco prima, Armando e Natália avevano partecipato a una riunione degli abitanti, svoltasi sotto una pianta di mango. All’incontro erano presenti anche i membri del comitato della sanità, formato di quattro residenti, la capo del villaggio, il capo consuetudinario e alcuni collaboratori di Wiwanana, una organizzazione non governativa (ONG) sostenuta dalla cooperazione svizzera. Il tema della discussione era il parto a casa, una pratica molto comune nelle zone rurali e anche una fonte di problemi. Le madri muoiono spesso per cause evitabili: complicazioni, infezioni, convulsioni ed emorragie. Durante la riunione ci si è interrogati sul non utilizzo della bicicletta-ambulanza, offerta dall’ONG.
Grandi distanze
L’assemblea è formata di una sessantina di abitanti del villaggio. La maggior parte si trova nei campi, intenta a preparare le sementi in vista del periodo delle piogge, che va da ottobre a marzo. Siamo già in dicembre e le piogge non sono ancora arrivate, come invece dovrebbero. L’atmosfera è tesa.
«La gente preferisce partorire a casa, anche perché il centro sanitario è molto lontano», spiega una donna seduta per terra. «Perché non viene l’ambulanza a prenderci? L’ultima volta ci hanno detto che erano senza benzina e in un’altra occasione ci hanno chiesto addirittura dei soldi», racconta una signora arrabbiata.
Le accuse sono rivolte direttamente alla capo del villaggio. Uno dei collaboratori di Wiwanana interviene a sostegno degli abitanti. «Dovete rivolgere a lei le vostre proteste: è lei la rappresentante del governo», afferma, indicandola con un dito. La donna rimane zitta e guarda infastidita quel dito.
La bicicletta-ambulanza doveva migliorare la situazione. Ma con questo mezzo di trasporto non è possibile raggiungere il centro sanitario in tempo.
A Katapua, località di cui fanno parte sei villaggi, compreso Meculane, il centro sanitario è di tipo 2. Ciò significa che c’è un reparto maternità e che vi si praticano dei piccoli interventi. I casi gravi sono invece inviati all’ospedale di Chiúre, la capitale del distretto, che si trova a 60 chilometri.
Una giovane madre è sdraiata su di un letto. Ha appena partorito. Operata a causa di alcune complicazioni, ora sta meglio. Il suo sguardo è però apatico. Il suo viso non trasmette felicità, quella che di solito prova una madre dopo aver messo al mondo un figlio. «È sieropositiva e segue un trattamento TARV (terapia a base di medicamenti antiretrovirali). È il suo secondo parto. Ha perso il primo figlio», spiega Moiane Saíde.
L’infermiere di 32 anni gestisce il centro sanitario con un collega. C’è sempre qualcosa da fare. «Lavoriamo in pratica venti ore al giorno, sette giorni a settimana», spiega. Il suo salario mensile è di 10’000 meticals, circa 316 dollari.
Oggi ha dovuto assistere da solo al parto perché il suo collega è ammalato. Nel caso della giovane madre, la cosa più importante era evitare che il figlio contraesse la malattia. L’infermiere teme che la madre non prenda più i medicamenti antivirali. «Qui, la gente mangia male. Con lo stomaco vuoto, gli effetti collaterali delle medicine sono più forti. A parte questo, dobbiamo fare i conti anche con la malaria e altre malattie», ricorda.
L’economia va bene, il popolo va male
Nonostante una forte crescita economica – il PIL aumenta ogni anno del 7-9 per cento dal 2002 – il Mozambico continua a essere uno dei Paesi più poveri e meno sviluppati al mondo. Nell’Indice di sviluppo umano del 2014 (HDI-Human Development Index) si trova al 178° posto su 187 Stati.
In ambito sanitario, uno studio realizzato dal governo nel 2011 mostra che la mortalità infantile è costantemente diminuita. Per 1000 bambini nati vivi, 158 non superavano l’età di 5 anni nel 2001. Dieci anni più tardi, erano ancora 97. Gli esperti dell’UNICEF calcolano che il Mozambico potrebbe raggiungere l’obiettivo 4 degli OSM (riduzione della mortalità infantile) entro la fine del 2015.
La mortalità materna, diminuita del 50 per cento tra il 1990 e il 2003, rimane a livello elevato da dieci anni a questa parte. Con 408 donne morte durante il travaglio su 100’000, il Mozambico presenta uno dei peggiori tassi al mondo. Nei Paesi sviluppati, come la Svizzera, solo 6 donne su 100’000 muoiono durante il parto.
Ad aggravare la situazione c’è la malnutrizione cronica, che si mantiene a un livello tra i più elevati al mondo: ne soffre il 45 per cento dei bambini di età inferiore ai cinque anni.
All’ospedale distrettuale di Chiúre, un’unità modello inaugurata in pompa magna dal governo mozambicano all’inizio del 2013, la direttrice Janete Tadeu entra nel reparto dei bambini affetti da malnutrizione cronica e chiede la scheda di un bimbo di circa un anno. È denutrito e il suo peso è molto inferiore alla media. La sua pelle, piena di rughe, è fine come un foglio di carta e la sua testa, quasi priva di capelli, è sproporzionata rispetto al resto del corpo. Vicino a lui c’è un bambino in uno stato ancora peggiore: continua a piangere e il suo è un lamento ininterrotto. «La malnutrizione è un problema anche culturale. Gli abitanti delle zone rurali non sanno nutrirsi», deplora la direttrice.
Poco variato
Nei villaggi della regione, sia a Meculane che altrove, l’alimentazione di base si limita alla manioca. Molti prodotti coltivati nei campi, come le mandorle e il cotone, vengono venduti. La frutta che cresce vicino alle capanne, per esempio la papaia o il mango, marcisce spesso per terra, a meno che non venga raccolta e venduta per acquistare dei prodotti ritenuti essenziali per la famiglia: sapone, zucchero, sale e olio.
«C’è anche un problema legato alle credenze popolari. Molte persone sono convinte che non si debbano mangiare gli avocado e le angurie perché farebbero male», spiega Janete Tadeu, precisando che la maggior parte degli abitanti delle zone rurali si accontenta di un piatto di chima (piatto fatto di farina di manioca e acqua) o di madranga (manioca secca).
«Praticamente tutta la popolazione soffre di anemia. La maggior parte delle donne inizia la gravidanza già in stato anemico. Con il passare dei mesi, il feto sottrae alla madre il ferro, ciò peggiora la sua situazione. Alla fine, la donna si ammala di malaria, ciò che aggrava ulteriormente la sua condizione. A volte ricoveriamo in ospedale delle pazienti che hanno un tasso di emoglobina nel sangue di 2/3 g/dl, quando il valore normale sarebbe di 12/16 g/dl», spiega Anita Huxley, che lavora da tre anni come medico per SolidarMedCollegamento esterno, una ONG svizzera che si impegna per migliorare il sistema sanitario in Africa.
Ginecologa e ostetrica, questa anglo-brasiliana si è già abituata alle condizioni sul continente. Tuttavia, ricorda che le soluzioni sono spesso molto semplici. «I bambini si ristabiliscono in fretta se diamo loro latte ricco di vitamine», sottolinea la dottoressa. L’importanza del trattamento è evidenziata in un rapporto dell’UNICEF: la malnutrizione cronica non favorisce soltanto la mortalità infantile, bensì ha effetti negativi anche sullo sviluppo cognitivo ed è di natura irreversibile.
L’altro Mozambico
Lontano dalle zone rurali, a Maputo, dirigenti e alti funzionari mozambicani incontrano i loro interlocutori stranieri in un bar dell’albergo Polana, l’hotel più lussuoso della capitale. Costruito nel 1922, all’epoca della colonizzazione portoghese, la sua architettura classica ricorda i grandi alberghi svizzeri di Gstaad o di St.Moritz.
A un tavolo del ristorante, alcune persone discutono le cifre da presentare alla seconda conferenza del gas, dove ci si occuperà delle enormi riserve del Mozambico e del suo ruolo nel mercato mondiale. Secondo gli analisti, il Paese potrebbe diventare il quarto produttore di gas al mondo, dopo la Russia, l’Iran e il Qatar. Il governo intende lanciare la produzione dal 2018. E al gas si aggiungono pure i giganteschi giacimenti di petrolio, di carbone, di oro e di altre risorse naturali. Le multinazionali si installano nello Stato africano con dei grandi progetti infrastrutturali e di estrazione.
Un clima di «corsa all’oro» si è diffuso in tutto il Paese. In città si stagliano verso il cielo innumerevoli gru. Il boom immobiliare, favorito da un’enorme richiesta, ha fatto crescere a dismisura il prezzo degli appartamenti. La pigione di un’abitazione di tre stanze a Maputo ammonta mediamente a 3’000 dollari al mese. Le classi abbienti e quelle medio-alte vogliono dei servizi migliori, anche in ambito medico. Un’evoluzione che attira le imprese internazionali del settore.
«Noi siamo la prima società a proporre un’assicurazione sanitaria anche a chi non è impiegato in un’azienda», afferma con un certo orgoglio Vânia Dique, direttrice di Medlife Trauma Centre, uno degli ospedali privati di Maputo, gestito dal 2013 da un gruppo sudafricano. Non tutti possono far capo alla struttura. «I nostri clienti fanno parte della classe media e medio-alta. Prima andavano a farsi curare in Sudafrica. Noi proponiamo operazioni chirurgiche urgenti, trattamenti di malattie croniche, esami radiologici e cure odontologiche», ci illustra.
Solo 1’500 medici
L’assicurazione per una famiglia di due adulti e due bambini costa 75’000 meticals all’anno (2’377 dollari). Un costo che ai clienti garantisce l’accesso in ogni momento alle cure offerte dall’ospedale, che ha una capacità di 30 letti. L’attrezzattura è modernissima. L’arredo è stato scelto con cura. Sembra di essere lontani anni luce dagli ospedali pubblici di provincia. «Tra il nostro personale ci sono anche due anestesisti», dichiara Vânia Dique.
Alla domanda su quale sia l’interesse del personale sanitario mozambicano di lavorare in un ospedale privato, il direttore della clinica René Roque risponde così: «Grazie ai salari e alle condizioni di lavoro, i medici vogliono lavorare per noi».
Tuttavia, come il sistema pubblico, anche Medlife ha difficoltà a trovare il personale specializzato. «Lo Stato forma troppi pochi medici e il governo complica il reclutamento di medici stranieri per il nostro ospedale; la priorità è data al servizio pubblico», spiega il medico cubano che vive da svariati anni nel Paese, aggiungendo che i criteri di assunzione sono l’esperienza professionale e l’autorizzazione da parte dell’Ordine dei medici del Mozambico.
Il ministro mozambicano della sanità, Alexandre Manguele, ha dichiarato di recente che nel Paese ci sono solo 1’500 medici, ossia un medico ogni 22’000 abitanti, mentre l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) consiglia un tasso di un dottore ogni 10’000 abitanti. Le cinque facoltà di medicina non formano personale a sufficienza. Si tenta di colmare le lacune reclutando personale sanitario straniero: un centinaio di cubani, essenzialmente attivi nelle zone rurali, sudcoreani e africani di altri Paesi.
La maggior parte del personale è formata negli istituti infermieristici. Sono infermieri che gestiscono i centri sanitari responsabili delle cure di base o delle prescrizioni di medicamenti, quali gli antibiotici, gli analgesici o i retrovirali.
Scolarizzazione insufficiente
Anita Huxley è una coordinatrice di un progetto di promozione della salute materna in una zona che comprende tre distretti e una popolazione di circa 400’000 persone. È abituata a lavorare in condizioni difficili. Prima di giungere in Mozambico, tre anni fa, ha operato come medico in Sierra Leone, in Camerun e in Brasile.
Secondo lei, ci sono due grandi ostacoli al raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo del millennioCollegamento esterno (OSM) in Mozambico: l’infrastruttura e il sistema educativo. «Per raggiungere il centro sanitario di Namogelia, una località nel distretto di Chiúre, è necessario attraversare un fiume senza ponti. Durante la stagione delle piogge è quasi impossibile riuscirci. L’accesso ai vari servizi sanitari è un problema comune in tutto il Paese», spiega Huxley.
Un’inchiesta demografica sulla salute, svolta nel 2011, ha evidenziato che l’accesso all’acqua potabile è migliorato negli ultimi anni. Nel 2003 solo il 37 per cento della popolazione beveva acqua estratta da un pozzo; questa proporzione è passata al 53 per cento nel 2011. Il problema dell’accesso all’acqua potabile è anche leggermente migliorato. La quota degli abitanti che deve percorrere più di una mezz’ora per raggiungere una fonte d’acqua potabile – una situazione che accomuna buona parte delle zone rurali, ma anche i quartieri popolari nei centri urbani – è passato dal 53 per cento nel 2008 al 39 per cento nel 2011.
Nonostante i progressi, il 16 per cento della popolazione beve ancora l’acqua dei fiumi. Circa un abitante su quattro si serve di metodi che permettono di separare in maniera igienica le deiezioni umane; in pratica il 40 per cento della popolazione defeca ancora a cielo aperto. «Il Mozambico è ben lungi dal raggiungimento degli OSM: dimezzare la percentuale di popolazione che non ha accesso all’acqua potabile e alle infrastrutture igieniche di base», ricorda Anita Huxley.
Ai problemi infrastrutturali si aggiungono le lacune culturali. «Nonostante la realizzazione di numerose pompe d’acqua, la gente preferisce bere l’acqua dei fiumi, subito dopo le piogge poiché sostiene che il sapore è migliore. Lo stesso discorso vale anche per l’acqua trattata con un liquido a base di cloro, grazie a cui è possibile purificarla e che viene venduto in bottigliette a 30 meticals (un po’ meno di un dollaro). Per la gente, ammalarsi di tanto in tanto di diarrea, dopo aver bevuto dell’acqua inquinata, è un fatto del tutto normale», continua la coordinatrice di progetto.
I dati ufficiali ricordano che molti problemi sanitari sono accentuati dalla scarsa alfabetizzazione della popolazione. L’analfabetismo è ancora molto diffuso negli adulti. Il 40 per cento delle donne e il 67 per cento degli uomini non sa né scrivere né leggere. È una quota che rimane invariata da decenni. Anche gli studi svolti nelle scuole indicano che una parte consistente degli allievi sono analfabeti funzionali, a causa soprattutto del basso livello di formazione e della scarsa qualità dell’insegnamento. Solo il 50 per cento degli scolari frequenta per intero il ciclo della scuola elementare. Una ricerca dell’UNICEF del 2012 ha evidenziato che 1,2 milioni di bambini in età di scolarizzazione non va a scuola.
OMS troppo ambiziosi
Al primo piano del Ministero della sanità, situato in un edificio in stile sovietico degli anni 1970 e non molto lontano dall’ospedale centrale di Maputo, la vicedirettrice della sanità pubblica Maria Benigna Matsinhe è consapevole delle difficoltà del suo Paese in questo settore.
«Rispetto all’obiettivo 5 – la salute materna – i tassi di mortalità continuano purtroppo a essere molto elevati», si rammarica Matsinhe.
Medico di formazione, la giovane amministratrice ci mostra delle tabelle appese al muro che evidenziano i progressi realizzati. «Per quanto riguarda l’obiettivo 6 – quello della lotta contro l’HIV/SIDA, la malaria e altre malattie – registriamo un’evoluzione positiva. La malaria è in calo, specialmente grazie alle diverse strategie messe in atto con i programmi quali la distribuzione delle zanzariere, l’utilizzo di insetticidi in casa e l’introduzione di terapie efficaci. Anche il numero di morti per tubercolosi è diminuito», dichiara Maria Benigna Matsinhe.
Nonostante le sfide in svariati settori, la responsabile crede che molti problemi debbano essere risolti in Mozambico. Secondo lei ci sono tre punti essenziali: la natalità, la mancanza di informazione e l’accesso ai servizi sanitari.
La vicedirettrice del Ministero della sanità afferma che gli Obiettivi di sviluppo del millennio erano troppo ambiziosi per il Mozambico. «Con l’esperienza maturata in questi anni, ora siamo forse in grado di dire se abbiamo le capacità necessarie per raggiungere i nuovi obiettivi. È il nostro sistema a non aver risposto adeguatamente alle attese. I progressi sono ostacolati dalla mancanza di risorse umane, dai problemi infrastrutturali e socio-culturali».
La speranza riposta nel gas
I donatori internazionali sono coscienti delle sfide con cui è confrontato il Mozambico. «Lo Stato è in piena transizione grazie al boom delle risorse naturali e sarà confrontato con dei cambiamenti enormi», ricorda Laura Bott, responsabile della cooperazione svizzeraCollegamento esterno presso l’ambasciata a Maputo.
Il Mozambico fa parte dei Paesi e delle regioni prioritarie Collegamento esternoper la Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC) della Confederazione. Il Mozambico riceverà circa 160 milioni di franchi d’aiuto nel quadro del programma 2012-2016. Questi fondi sono investiti in vari progetti governativi dello Stato africano e varie ONG sono partner nell’ambito dello sviluppo economico, della sanità e del buongoverno.
Nonostante lo sviluppo economico, il Paese continua a dipendere in maniera consistente dall’aiuto esterno. Circa il 30 per cento del budget del governo proviene da donazioni di partner internazionali. Se le esportazioni di gas cominceranno a generare dei profitti per lo Stato dal 2018 – dipenderà molto dagli investimenti –, l’aiuto internazionale dovrà essere ridimensionato. «La lotta contro la povertà continuerà a essere un obiettivo. Ma il contributo in favore dello sviluppo economico sarà più mirato. Ciò significa che dovremmo capire come adattare la cooperazione per accompagnare la crescita del Paese affinché i principi del buongoverno siano rispettati», dichiara Laura Bott.
Presente da oltre tre anni in Mozambico, la responsabile svizzera ha una visione realista del suo lavoro. «Noi sappiamo che il Mozambico avrà delle difficoltà a rispettare tutti gli OMS, specialmente quelli legati all’ambito sanitario». Laura Bott ci ricorda che il Paese ha vissuto una guerra civile durata 16 anni, conclusasi nel 1992. «Tutta l’infrastruttura era distrutta e si è dovuto ricominciare da zero. Da allora si sono fatti molti passi avanti».
(Traduzione: Luca Beti)
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