Chiesa di Mogno, dieci anni e una lunga storia
Piccola cattedrale in cima alla valle, la chiesa di Mogno è abitualmente immersa nella calma, in una dimensione dove il tempo, quasi contemplativo, sembra essersi fermato.
Circondata da montagne, a pochi passi da Fusio – ultimo villaggio della Valle Maggia – la chiesetta progettata da Mario Botta è una meta che ogni anno attira migliaia di visitatori da tutto il mondo.
A vent’anni dalla valanga che distrusse la vecchia chiesetta e a dieci anni dalla consacrazione del nuovo edificio sacro, Mogno vive questo doppio anniversario con uno spirito di continua riconciliazione con la natura e di gratitudine nella forza delle idee.
Di quelle idee che hanno reso possibile, andando controcorrente, la realizzazione di una chiesa venuta dal futuro.
Le pietre e le parole
Dieci anni di esistenza possono sembrare pochi. Eppure in quell’ angolo remoto della Valle Maggia, sospeso tra terra e cielo, dove il respiro sembra più lento, quella chiesetta sembra lì da una vita. Come se le millenarie pietre che l’hanno plasmata, le avessero regalato una porzione di eternità.
Dieci anni e una lunga storia, dunque, se si considera che il progetto di Mario Botta risale al 1986, anno in cui una valanga inghiottì nel silenzio assordante l’antica chiesetta di San Giovanni Battista, costruita quattro secoli fa, pietra dopo pietra, dagli abitanti della valle. Non vi furono morti.
Una lunga storia, se si ricordano le passioni accese e contrastanti sgorgate come fiumi in piena da un progetto architettonico che aveva letteralmente diviso il Ticino. Ma che era finalmente riuscito a proporre – anche a livello nazionale – un ampio dibattito culturale sul ruolo pubblico dell’architettura.
Dal mondo intero nella valle sperduta
Dieci anni dopo la consacrazione della chiesa, nel 1996, restano le pietre e i ricordi. Si spengono invece le parole di fronte ad un edificio sacro che ha scardinato la tradizione come manifestazione nostalgica, per diventare segno di contemporaneità e testimonianza del nostro tempo.
Visitata ogni anno da più di 50 mila visitatori provenienti da tutto il mondo, la chiesa di Mogno è guardata con ammirazione e fierezza da tutti. Il tempo sembra avere, in qualche modo, compiuto il miracolo della riconciliazione.
Situata ad una quarantina di chilometri da Locarno, la frazione di Mogno è abitata solo pochi mesi all’anno. Casette di vacanza curate, piccoli ruscelli limpidi, giardini “proibiti” con tanto di cartello “vietato entrare”, sentieri che si snodano tra l’erba tenera: tutte componenti di un quadretto bucolico.
Il cielo che sbircia dal tetto vetrato
Abitualmente cullata nel silenzio, nel giorno del doppio anniversario – il 25 giugno – Mogno è particolarmente affollata. Il sole compare e scompare tra le nuvole, le voci si rincorrono, si stappano le prime bottiglie aspettando l’ora del pranzo ufficiale.
Avvolto in un completo “beige”, con la sua inseparabile camicia alla coreana, l’architetto Mario Botta ritrova quella che i suoi detrattori definirono “la chiesa inutile”. Sobria, luminosa, tetto vetrato sorretto da una struttura metallica, pianta ellittica, granito grigio e marmo bianco. Apparentemente nulla è cambiato.
“Io una chiesa che dura vent’anni qui non ve la faccio”, disse allora Mario Botta, salito per un sopralluogo a Mogno. “Io faccio una chiesa che dura cinquecento anni, oppure è inutile mettersi all’opera”. Eppure qualcosa è cambiato.
Un messaggio di rinnovamento
“Dieci anni fa, chiudendo il cantiere, ho lasciato un edificio sacro. Per un architetto – racconta Botta nel corso della cerimonia ufficiale – abbandonare un cantiere è un momento di festa, ma anche di tristezza, perché si lascia qualcosa a cui si è dedicato parte della vita”.
“L’architettura porta in sé l’idea di una speranza, di un’attesa, di un dono che si offre nella speranza che venga accolto. Ho lasciato un edificio sacro – continua Botta con un velo di emozione nella voce – e oggi trovo un territorio. Ho lasciato degli spazi vuoti e nudi, e oggi li trovo pieni di canti, silenzi ed emozioni”.
Come se le forze per risorgere che vengono dalla montagna – spesso aspra, a tratti insidiosa – siano destinate a scolpire, per loro stessa natura, tracce permanenti nel territorio e nelle persone. In questo senso la chiesa di Mogno, così contestata a livello progettuale per il suo carattere fortemente innovativo, incarna il valore simbolico del rinnovamento.
Inserita negli itinerari turistici, presente nei libri di architettura più prestigiosi, la chiesa di Mogno ha fatto conoscere il Ticino, e una delle sue zone più remote, a mezzo mondo. E ha indubbiamente segnato una nuova via nel modo di vivere l’architettura e di percepire il territorio.
swissinfo, Françoise Gehring, Mogno
Figlia del coraggio di chi l’ha sostenuta, figlia della modernità di chi l’ha progettata e soprattutto figlia del nostro tempo, la chiesa di Mogno è, in qualche modo, al centro del mondo.
Strano destino per una località discosta, immersa nelle montagne e nel silenzio. O destino naturale per un’opera progettata, a titolo gratuito, dall’architetto ticinese di fama mondiale Mario Botta.
Interamente costruita solo con pietre della zona (granito di Riveo e marmo di Peccia), l’edificio a cilindro tronco trova nella chiesa di San Giovanni Battista la prima realizzazione e il successivo sviluppo nella Cattedrale di Evry, in Francia.
25 aprile 1986: una valanga si abbatte su Mogno (frazione di Fusio, alta Valle Maggia) e spazza via la chiesetta di San Giovanni Battista, edificata nel XVII secolo.
4 giugno 1986: si crea un comitato per la ricostruzione della chiesa.
Il progetto viene affidato all’architetto Mario Botta.
Tra il 1992 e il 1996 si procede alla costruzione dell’edificio.
23 giugno 1996: consacrazione della chiesa.
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