E se la guardia svizzera venisse abolita?
L'esistenza di un esercito in Vaticano composto di soli svizzeri non si giustifica. Lo afferma l'ex deputato democristiano Jacques Neirynck.
In un’intervista a swissinfo, Neirynck spiega come la sicurezza del pontefice potrebbe essere garantita altrimenti e in modo più efficace.
Nel 2006 decorre il cinquecentesimo anniversario della guardia svizzera pontificia, il minuscolo esercito incaricato di garantire la sicurezza del capo della Chiesa cattolica in Vaticano.
Lo storico evento sarà ricordato con una serie di celebrazioni, alle quali parteciperanno frotte di credenti (o curiosi pronti a lasciarsi affascinare dalla sgargiante uniforme in stile rinascimentale dei soldati del Papa), ma anche numerose autorità politiche e religiose.
Nei loro discorsi tesseranno probabilmente le lodi del più piccolo e antico corpo militare del mondo. Rare infatti sono le critiche mosse contro la guardia svizzera, da molti ormai considerata come un simbolo senza tempo dello Stato Vaticano. Fra le voci fuori dal coro, quella dell’ex-consigliere nazionale democristiano Jacques Neirynck, intervistato da swissinfo.
swissinfo: Lei è uno dei pochi ad essersi espresso a più riprese per un’abolizione della guardia. Per quali ragioni?
Jacques Neirynck: Le mie critiche non concernono tanto la guardia svizzera quanto piuttosto l’esistenza stessa del Vaticano. Ritengo infatti che la Chiesa cattolica, così come ogni altra religione, non debba disporre di uno Stato indipendente. E tantomeno di un esercito.
Per assicurare la sicurezza del pontefice non occorre un corpo militare. Delle guardie di sicurezza civile oppure la gendarmeria vaticana potrebbero benissimo assolvere lo stesso compito in modo più sicuro e professionale.
swissinfo: Intende dire che le guardie svizzere non riempiono il loro mandato efficacemente?
J.N.: Per quanto riguarda la sorveglianza delle entrate in Vaticano non ho nulla di che eccepire, se non che per svolgere una simile mansione non occorrono dei militari. Basterebbero dei semplici uscieri.
Nel garantire la sicurezza del pontefice, invece, le guardie hanno dimostrato di non essere sempre all’altezza. Il tentativo di assassinio del Papa da parte del turco Ali Agca nel 1981 ne è un esempio eclatante. Le guardie, obbligate a rispettare un’antica regola medioevale, che vietava loro di girare le spalle al pontefice, non hanno evidentemente potuto scorgere in tempo il criminale fra la folla. Anche l’arma di cui sono dotate, un’antica alabarda, non è certo delle più efficaci…
Da quell’episodio, fortunatamente, il Vaticano è almeno in parte corso ai ripari. Ora le guardie ricevono una migliore formazione in ambito di sicurezza, che mi auguro sapranno mettere in pratica. Non devono dimenticare che la loro vera missione è quella di proteggere il pontefice e non di pavoneggiarsi nella loro bella uniforme come invece troppo spesso fanno.
swissinfo: Eppure l’uniforme ha un significato anche simbolico, perché ricorda il passato delle guardie e la loro capacità di resistere nel tempo. La Svizzera è molto legata a questa tradizione storica e non sembra disposta a rinunciarvi…
J.N.: Non nego che la guardia svizzera, e il suo modo di presentarsi, facciano parte di una tradizione, ma portarla avanti ancora oggi è semplice folclore. Essa si giustificava forse in passato, quando i confederati per guadagnarsi da vivere erano costretti a servire come mercenari un po’ in tutti gli eserciti del mondo. Oggi però non è più così.
Il fatto che in Svizzera non si sollevino praticamente obiezioni sul protrarsi di questa usanza non mi stupisce. Ci si lascia intenerire dalle tradizioni. Anche all’estero d’altronde nessuno si sogna di criticare i soldati del Papa. Non tanto per una questione di rispetto, quanto piuttosto perché considerata un semplice elemento demologico. Ed è proprio l’immagine prettamente folcloristica veicolata dalla guardia che mi dà fastidio: sono cattolico e considero la religione una cosa seria, non certo un fatto di costume!
swissinfo: Anche dai giovani che entrano far parte della guardia?
J.N.: No, credo che la maggior parte di loro siano persone dai grandi ideali, che decidono di arruolarsi nella guardia pontificia perché credenti e convinti di assolvere una missione importante. Ma, una volta giunti a Roma, si trovano confrontati con una realtà ben diversa, dove fra una sfilata e l’altra fanno fatica a capire qual è la loro reale utilità. Una simile situazione non può che rivelarsi nociva e creare delle tensioni.
Basta ricordare il dramma consumatosi alcuni anni fa in Vaticano. Prima di suicidarsi, la guardia Cédric Tornay ha ucciso il comandante Alois Estermann e sua moglie Gladys Meza Romero solo perché non era stato nominato caporale come invece si aspettava. È un evento che dovrebbe fare riflettere, perché sintomo di un malessere che regna all’interno del corpo.
swissinfo: I membri della guardia sono da sempre solo svizzeri. Una regola immutabile?
J.N.: Mi auguro di no! Non vedo perché non si debba dare la possibilità a giovani uomini (e donne, perché no?) di altre nazioni di entrare a farne parte. La religione cattolica è internazionale, quindi i soldati della guardia pontificia dovrebbero provenire da ogni parte del mondo, un po’ come accade in seno alle Nazioni Unite.
Molti svizzeri considerano questo “monopolio” un onore, un segno di riconoscenza da parte del pontefice verso i suoi soldati che nei secoli gli hanno dimostrato grande fedeltà. A me invece sorge un dubbio: la guardia svizzera esiste da cinque secoli, ma mai nella storia si è avuto un Papa elvetico. Siamo forse stati confinati a svolgere il ruolo più umile e considerati invece indegni per riempire la “funzione suprema”?…..
Intervista swissinfo: Anna Passera
La guardia svizzera pontificia è stata creata nel 1506 da Papa Giulio II della Rovere.
Composta da soli 110 uomini, è l’esercito più piccolo e antico del mondo.
La sua esistenza è raramente messa in discussione.
I soldati del pontefice, nella loro uniforme in stile rinascimentale, sono infatti generalmente considerati un simbolo del Vaticano e parte della tradizione storica elvetica.
Jacques Neirynck, svizzero d’adozione, è nato a Bruxelles il 17 agosto del 1931.
Professioni svolte: ingegnere, professore universitario, giornalista, scrittore.
Dal 1999 al 2003 è stato consigliere nazionale (camera del popolo) nelle file del partito democristiano.
Il suo ultimo libro: “Un pape suisse” (“Un papa svizzero”), edizioni Press Pocket.
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