Il libretto rosso degli svizzeri
Cinquant'anni fa usciva il libro "Difesa civile", promosso dal governo svizzero. L'opera, nata nel clima anticomunista del secondo dopoguerra, suscitò un'ondata di indignazione. La società elvetica dopo il '68 era cambiata.
Nel 1961 il colonnello di Stato maggiore Albert BachmannCollegamento esterno, ex-tipografo dal passato comunista, convertitosi all’anticomunismoCollegamento esterno e già autore del “Libro del soldato” (1958), propose al Consiglio federale di realizzare un libro dedicato alla difesa civile.
Nelle intenzioni di Bachmann, si trattava di realizzare un’opera di ampia diffusione che non servisse solo a trasmettere i principi della protezione civile, ma anche a stimolare la volontà di resistenza della popolazione di fronte a tentativi di infiltrazione comunista.
L’idea, che si ispirava al concetto di Difesa spiritualeCollegamento esterno, venne accolta con favore dal governo e in particolare dal capo del Dipartimento di giustizia e polizia Ludwig von Moos. La realizzazione dell’opera si rivelò però più lunga del previsto, sia per motivi organizzativi e finanziari, sia perché sul contenuto le opinioni nel Consiglio federale divergevano.
2,6 milioni di esemplari
Altri sviluppi
La paura del comunismo che trasformò gli svizzeri in spie
Il libro – un volume tascabile di 320 pagine, dalla copertina rossa, con molte illustrazioni – vide finalmente la luce nell’autunno del 1969, fu stampato in 2,6 milioni di esemplari e distribuito a tutte le economie domestiche della Svizzera, nelle tre principali lingue nazionali.
Oltre a fornire informazioni pratiche sulle scorte d’emergenza, sulle misure antincendio, sui primi soccorsi in caso di catastrofe naturale e di conflitto armato, il testo raccontava – in un capitolo intitolato “La seconda forma della guerra” – la storia fittizia dell’infiltrazione del paese da parte di agenti di una grande potenza.
Nonostante il carattere fittizio della narrazione, i nemici interni dello Stato erano individuati chiaramente. Si trattava dei movimenti pacifisti e di sinistra, dei sindacati, del movimento antinucleare e degli intellettuali.
Ondata di indignazione
La pubblicazione, che aveva carattere ufficiale, suscitò un’enorme indignazione negli ambienti presi direttamente di mira e fra i sostenitori di una democrazia liberale.
Si tennero manifestazioni di protesta, pile di libri furono bruciate davanti a Palazzo federale, in alcune librerie il libro “Difesa civile” poteva essere scambiato gratuitamente con libri di autori svizzeri critici verso la politica ufficiale.
La conseguenza diretta di maggiore portata fu la fuoriuscita dalla Società svizzera degli scrittoriCollegamento esterno (SSS) di vari autori di spicco, tra cui Max Frisch, Friedrich Dürrenmatt, Peter Bichsel e altri, per protesta contro il ruolo del presidente della SSS, Maurice Zermatten, nella traduzione in francese del libro.
Dalla Difesa civile alla P26
L’indignazione contro il libro “Difesa civile” non danneggiò il suo autore principale, Albert Bachmann. Il colonnello dello Stato maggiore incassò un cospicuo onorario in qualità di autore ed editore del libro, mantenendo anche i diritti per la sua diffusione all’estero.
Nel 1976 divenne capo dei servizi di intelligence militari. In questa funzione fu l’iniziatore della P26Collegamento esterno, l’organizzazione militare segreta – simile alle strutture “stay behind” della Nato – che si sarebbe dovuta attivare in caso di invasione della Svizzera. Acquistò inoltre su base privata in Irlanda edifici destinati a diventare sede del Consiglio federale in esilio.
La sua carriera si concluse bruscamente nel 1980, in seguito a una disastrosa operazione di spionaggio in Austria. All’età di 51 anni, Bachmann fu mandato in pensione anticipata. Gli ambienti indicati da “Difesa civile” come minacce per lo Stato continuarono tuttavia a essere sorvegliati dagli organi di polizia federali fino al 1989, quando scoppiò il cosiddetto scandalo delle schedature.
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