In nome di Dio?
«Dio benedica l'America», «Allah è grande»: due presidenti e un Dio trascinato in guerra suo malgrado.
Ma per cristiani e musulmani di casa nostra, con la guerra in Iraq Dio non c’entra. La religione è una volta di più vittima di strumentalizzazioni.
Le crociate sembravano relegate al passato. La guerra santa dell’Islam un po’ meno. Anche perché per anni è stata brandita come spauracchio, come minaccia per un mondo occidentale più o meno cristiano. Basta dire gihàd e tutti pensano al crollo delle torri gemelle e ai kamikaze palestinesi.
Ora, con lo scoppio della guerra in Iraq, le parti in causa sembrano aver riscoperto il gusto del discorso religioso: Dio quale garante per dimostrare che si è nel giusto.
Non nominare il nome di Dio invano
«La libertà che perseguiamo non è un dono dell’America al mondo, ma di Dio all’umanità». L’ha detto George Bush in un discorso tenuto alla fine di gennaio. Come dire: Dio ha scelto l’America come strumento per portare la libertà nel mondo.
Il tono di Saddam Hussein non si scosta molto da quello di Bush. Il 4 marzo, in occasione del capodanno musulmano, si rivolge agli iracheni dicendo: «Sarete vittoriosi grazie alla vostra fede, perché siete giusti opposti alla menzogna, virtuosi opposti al vizio, onesti opposti a traditori e combattenti della gihàd opposti a mercenari e aggressori!»
«È un abuso del nome di Dio, una strumentalizzazione della religione». Intervistati da swissinfo, Amedeo Grab (vescovo di Coira, presidente della Conferenza episcopale svizzera) e Ismail Amin (presidente dell’Unione delle organizzazioni islamiche di Zurigo) rispondono all’unisono.
Lo stupore e lo sdegno
Le voci critiche nei confronti di questo rigurgito di discorso religioso sono partite soprattutto dall’Europa. In prima linea il Papa. Mai come in questa occasione ha ribadito che la violenza non può essere usata in nome di Dio. Gli hanno fatto eco nei media le prese di posizione di diversi esponenti religiosi.
Ma perché tanto stupore e tanto sdegno quando in realtà la storia è piena di operazioni del genere, a partire, tanto per fare un esempio, dal «Dio lo vuole!» pronunciato proprio da un Papa, da quell’Urbano II che nel 1095 diede il via alle crociate?
La risposta si trova probabilmente nell’evoluzione storica della nostra società, evoluzione che ha reso estremamente raro il ricorso al linguaggio religioso al di fuori delle Chiese. È per questo che «la gente non fa affatto fatica a rendersi conto dell’abuso che si fa della religione», spiega monsignor Grab.
«Si pensava che dopo la Seconda guerra mondiale, dopo il “Dio è con noi” di Hitler, non ci sarebbe più stato un uso improprio del nome di Dio».
«Tuttavia sussiste una ricerca di Dio», continua il vescovo di Coira «che si esprime anche attraverso forme di religiosità nuove. Proprio questa ricerca personale porta molta gente a scandalizzarsi – giustamente – del fatto che una comunità pretenda di ricorrere a Dio per trovare una giustificazione alle proprie conquiste e alle proprie ambizioni».
Non è una guerra di religione
Nel mondo islamico vita civile e religiosa sono più strettamente intrecciate di quanto non lo siano nei paesi cristiani. Tuttavia a Saddam non è bastato adottare il motto «Allah akhbar» (Dio è grande, inserito nel 1991 sulla bandiera nazionale) e dare il via ai lavori di costruzione di numerose moschee per rendersi credibile agli occhi della comunità musulmana internazionale.
«Cosa c’entra Dio con questa guerra?», si domanda Ismail Amin. «Saddam e l’Islam non hanno nulla in comune. Saddam ha eliminato il diritto islamico dalla costituzione, l’Iraq è uno stato laico. Del resto, nei media arabi nessuno fa riferimento alla religione quando parla di lui. Certo, ci sono alcuni fanatici che lo difendono in nome della fratellanza islamica, ma questo è tutto».
«Saddam non è meno peggio di Bush», conclude il presidente delle organizzazioni islamiche zurighesi. L’invasione dell’Iraq da parte degli Usa resta un problema che riguarda la politica e il diritto internazionali, non la religione.
Parola dell’uomo o parola di Dio?
Sia la Bibbia che il Corano sono testi polisemici, che presentano una pluralità di significati. Impossibile tentare di semplificarli, ogni interpretazione è un percorso che implica il coinvolgimento del lettore o del fedele. L’errore dei fondamentalisti sta nella convinzione di poter ridurre questi testi ad un’unica dimensione.
Eppure la tentazione di usare Dio come alibi è forte e diffusa ovunque. Musulmani e cristiani in Indonesia, musulmani e induisti in India, cattolici e protestanti in Irlanda, ebrei e musulmani in Israele, e la lista dei conflitti potrebbe continuare.
Ci sono poi i retaggi storici, quelle guerre di religione che vanno dalle crociate alla controriforma, allo sterminio degli ebrei durante la Seconda guerra mondiale. Passando anche per la Svizzera, la cui ultima guerra civile – il Sonderbund, nel 1847 – opponeva cattolici e protestanti.
Per quanto riguarda i rapporti tra musulmani e cristiani bisogna ancora combattere contro la diffidenza e l’ignoranza reciproca. «Molti pregiudizi nei confronti dell’Islam risalgono al Medioevo, quando i padri della Chiesa vedevano in questa religione una rivale del cristianesimo» rileva Ismail Amin. «Nei libri scolastici svizzeri, ad esempio, c’è ancora un’immagine distorta dell’Islam. Ma si sta lavorando per eliminare gli errori».
Il dialogo tra le Chiese sembra essere l’unico modo per superare una visione semplificata del mondo, una visione che mette da una parte il bene e dall’altra il male. Il 5 marzo a Berna tutte le più importanti comunità religiose presenti in Svizzera si sono ritrovate a pregare insieme per la pace, quella pace che monsignor Grab e Ismail Amin si augurano trionfi al più presto.
swissinfo, Doris Lucini
Guerra giusta: per Sant’Agostino la guerra è giustificata quando si tratta di ristabilire la pace e combattere le ingiustizie.
Gihàd: significa “impegno”. Nel Corano si parla di gihàd maggiore, teso al miglioramento di sé stessi, e di gihàd minore, inteso come impegno bellico in funzione difensiva in terra islamica, o, a determinate condizioni, offensiva in terra d’infedeli.
Il Dio di cristiani, musulmani e ebrei è il Dio di Abramo. Allah è la parola araba per Dio.
Il presidente degli Stati uniti ama raccontare la storia della sua conversione. Forte bevitore, Bush ha rinunciato all’alcool dopo aver incontrato Gesù Cristo, diventato nel frattempo il suo filosofo preferito.
Nel 1985 comincia a frequentare gruppi di lettura della Bibbia, un’abitudine che mantiene anche alla Casa bianca. Membro della Chiesa metodista unificata, Bush difende idee conservatrici, come l’astinenza sessuale prima del matrimonio e la restrizione del diritto all’aborto.
Saddam Hussein è stato a lungo considerato un dirigente laico. Negli ultimi tempi però non esita a farsi comparare al profeta Maometto, una tendenza che ha inaugurato negli anni Novanta, quando ha cominciato a strumentalizzare la religione per meglio controllare la società.
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