Islam in Svizzera: discutere per conoscersi
Allo stesso tempo sfida e chance. La coesistenza tra cristiani e musulmani nella società elvetica è analizzata venerdì e sabato in un convegno a Friburgo.
Attualmente nel nostro Paese vivono oltre 300’000 musulmani d’origini e di nazionalità diverse; e tutto lascia supporre che questa cifra aumenterà ancora.
Negli ultimi anni i massmedia si sono occupati intensamente di questa realtà, riferendo regolarmente sui problemi e le difficoltà legati alla convivenza della comunità musulmana con quella di altri gruppi sociali e religiosi. Si pensi, ad esempio, alle questioni relative all’abbigliamento ed ai cimiteri.
Dibattito tra specialisti ad alto livello
Esiste dunque un problema di convivenza, costituito essenzialmente da pregiudizi, conflitti, scarsa conoscenza reciproca e poca disposizione al dialogo. Per approfondire questa tematica e contribuire a una migliore comprensione della condizione culturale e sociale della comunità musulmana, l’Accademia svizzera di scienze umani e sociali e la Società svizzera Medio Oriente e civiltà islamica hanno deciso di organizzare congiuntamente un apposito convegno, con la partecipazione di specialisti altamente qualificati.
Le due giornate di studio sono state strutturate in modo da analizzare il problema sotto quattro diversi aspetti: una panoramica delle culture, nazionalità e gruppi sociali rappresentanti la comunità musulmana in Svizzera; la loro vita quotidiana (come coesistono, in quale contesto politico e sociale); integrazione e coesistenza (differenti approcci ai problemi concreti, reali o potenziali, e modi di percezione reciproci); ricerca sul multiculturalismo (importanza della religione, delle tradizioni e della cultura, rispetto dei principi dell’Islam in Svizzera, come risolvere i conflitti che possono scaturirne). Infine, una “tavola rotonda” viene dedicata alle prospettive per il futuro.
Presenza raddoppiata in dieci anni
La panoramica sulla presenza musulmana in Svizzera è stata condotta in primo luogo da Marcel Heiniger, collaboratore scientifico dell’Ufficio federale di statistica. Accanto all’età,al sesso, alla nazionalità, allo stato civile, eccetera, anche la religione – ha detto Heiniger – è uno dei criteri di classificazione della popolazione, che permette anche di evidenziare le differenze culturali ed è uno degli indicatori dell’evoluzione di una società. Sulla base dei dati dell’ultimo censimento, alla fine del 2000 i musulmani in Svizzera erano oltre 310’000. Nel 1970 erano appena 20’000, dieci anni dopo 56’600 e nel 1990 erano diventati 152’200.
Il raddoppio del loro numero nell’ultimo decennio è dovuto soprattutto all’immigrazione dall’ex-Jugoslavia e dalla Turchia. Ma i musulmani con passaporto svizzero sono circa 40’000. Heiniger non ha potutto tuttavia indicare quanti di essi siano islamici praticanti che frequentano regolarmente le moschee, e quanti appartengano alle diverse sette dell’Islam.
Il sociologo François Jung ha descritto la situazione dei musulmani nella Svizzera Romanda. Qui, la regione del Lemano – ha detto Jung – «rappresentava già un sorprendente bacino del sofismo e dell’Islam all’occidentale» (basti pensare a personaggi celebri come l’avventuriera Isabelle Egerhardt ed il nonno dell’attuale Aga Khan).
La Romandia più aperta
Su questa antica base («che porta il segno di una reale integrazione») s’è insediata la nuova immigrazione. A Ginevra vi è la più grande moschea ed il primo centro islamico della Svizzera, che coprono una realtà molto diversificata tra sciiti, sunniti, ismaeliti, sofisti, ecc.
Socialmente ed economicamente i musulmani sono molto radicati, con attività nel campo della ristorazione, per esempio, e facendo della Romandia una società molto «plurale», nella quale prima s’incontrano con la cultura elvetica e poi scoprono che «non tutti i musulmani sono come me».
Nella Svizzera tedesca non vi sono musulmani, ha sostenuto provocatoriamente Johanna Pfaff-Czarnecka, professoressa di etnologia all’Università di Bielfeld. In questa regione la tendenza è infatti quella di ignorare la presenza della comunità musulmana e dei suoi bisogni.
Eloquenti, per esempio, sono stati casi rimbalzati sui media relativi alle lezioni di nuoto delle scolare musulmane o alla questione del cimitero islamico a Zurigo. E l’integrazione degli immigrati viene concepita con criteri universalistici-individualistici, mentre l’appartenenza religiosa è semplicemente una dimensione della vita sociale.
Le nuove difficoltà a sud del San Gottardo
Diversa invece la situazione nella Svizzera italiana, illustrata da Carlo Monti, collaboratore scientifico della Divisione cultura del Dipartimento dell’istruzione del Cantone Ticino e già presidente della Commissione cantonale di coordinamento delle attività per gli alloglotti. Qui si può parlare di una via di mezzo tra il pluralismo romando e la difficile integrazione nella Svizzera tedesca.
A sud del San Gottardo, molto si deve all’esperienza maturata con l’immigrazione dall’Italia meridionale negli anni Sessanta; ma con i flussi provenienti dall’ex-Jugoslavia nell’ultimo decennio le cose sono cambiate e la realtà oscilla tra differenze e indifferenza.
Su questo panorama s’innesta il lavoro d’analisi e di riflessione condotto nel convegno di Friburgo. Qualsiasi saranno le conclusioni, dovranno necessariamente rispondere alla domanda centrale di come allargare il dibattito sulla coesistenza in una società sempre più multiculturale, e di come favorire, al di là del grado d’integrazione raggiungibile sul piano individuale e collettivo, la comprensione reciproca, la risoluzione dei conflitti ed il dialogo tra religioni, tradizioni e culture diverse.
Silvano De Pietro
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