Sylvain Saudan, “Sciatore dell’impossibile”, è morto a 87 anni
Pochi avrebbero scommesso che Sylvain Saudan, pioniere dello sci estremo, sarebbe morto nella tranquillità di casa sua in tarda età. Eppure, è ciò che è successo lo scorso 14 luglio. Vi proponiamo qui una traduzione di un articolo del Financial Times che ripercorre la vita dello "Sciatore dell'impossibile".
Quando l’elicottero su cui si trovava precipitò sull’Himalaya nel 2007 e Sylvain Saudan scomparve, una valanga di tributi lo celebrò su tutti i giornali. “Per gli sciatori di oggi, Saudan è un eroico antenato”, scrisse il quotidiano Le Temps. “Era un pioniere”, disse l’alpinista Jean Troillet alla Tribune de Genève, “ha fatto sognare molte persone”. Tutti utilizzarono il suo ardito appellativo: lo “Sciatore dell’impossibile”.
Saudan, intanto, stava compiendo uno dei suoi numeri più spettacolari. Uscito dai detriti del velivolo, il 71enne si mise gli sci ai piedi e guidò i suoi due clienti giù per la remota valle del Kashmir. Sciarono tutto il giorno, trascorsero la notte all’aperto e il giorno seguente raggiunsero una postazione militare. Saudan si divertì nel leggere i suoi necrologi. “Sono una delle rare persone che già sanno cosa sarà scritto di loro dopo la morte”, disse sorridendo.
Saudan ha passato decenni a stuzzicare il sottile filo che separa la vita e la morte. Ci furono altri incidenti – tra cui un atterraggio di fortuna sul Monte Rosa e un blocco di ghiaccio che travolse il suo bivacco e uccise due colleghi di fianco a lui. Ci fu però soprattutto lo sport di cui fu pioniere, ovvero il percorrere con gli sci ai piedi versanti montani che prima affrontavano solo alpinisti con corde, ramponi e piccozze. “Quando si scende un canalone con gli sci, si sfiora la morte con ogni movimento non perfettamente controllato”, disse. “C’è davvero una sola via d’uscita: non cadere”.
È quindi in qualche modo ironico il fatto che, al contrario di Heini Holzer, Doug Coombs, Shane McConkey, Andreas Fransson e molti altri virtuosi dello sport, quando è arrivato il momento anche per Saudan, il 14 luglio, non è stato con il rombo di una valanga o con una drammatica caduta, ma nella tranquillità, a casa sua, nel villaggio francese di Les Houches, a 87 anni.
Saudan crebbe nel paesino di La Fontaine, appena sopra Martigny, sciando ogni giorno fino alla scuola e ritornando a casa a piedi. A 15 anni diventò un operaio in servizio sulla strada del colle della Forclaz, a Chamonix, poi un conducente di veicoli pesanti per la diga idroelettrica di Mauvoisin. Nel tempo libero, partecipava a gare sciistiche locali. Senza i mezzi finanziari per allenarsi seriamente come sciatore professionista, a 25 anni diventò istruttore e lavorò a Crans Montana per poi iniziare un giro del mondo che lo portò a insegnare ad Aspen (Stati Uniti), in Nuova Zelanda e anche nella piccola stazione sciistica di Glenshee, in Scozia.
Un cattivo esempio
Tornato sulle Alpi, la sua attenzione cominciò a concentrarsi su pendii sempre più ripidi, innanzitutto ad Arosa e a St Moritz (dove gli fu ritirato il pass per aver dato il cattivo esempio). Tuttavia, fu la discesa del suo 31esimo compleanno nel canalone Spencer sull’Aiguille de Blaitière, sopra Chamonix, a catturare l’attenzione del mondo sciistico.
“Tutte le guide e gli sciatori professionisti qui a Chamonix pensavano fosse impossibile”, disse Soudan parlando nel documentario del 2016 La liste. “Nessuno credeva [che l’avessi fatto]”. La prova arrivò solo il giorno dopo quando da un piccolo aeroplano furono fotografate le scie che aveva tracciato sulla neve.
Cominciò quindi una serie di prime discese, sempre più audaci e in luoghi sempre più remoti che resero Saudan famoso: Aiguille Verte, Eiger, Mount Hood in Oregon, Denali, Nun Kun in Kashmir e Gasherbrum 1, la prima discesa completa di un Ottomila. Utilizzava sci di due metri e 10 (lunghissimi per gli standard odierni), limava i bordi degli scarponi in modo che non lo infastidissero quando si lanciava sulle pendenze di 55 gradi e sviluppò una tecnica nota come “curva a tergicristallo”.
Altri sviluppi
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Molte delle sue discese sono state filmate e alcune persone sostengono che l’impatto di Saudan sulla disciplina fu importante per il modo in cui attirò l’interesse della gente tanto quanto per le sue innovazioni nello sviluppo della tecnica.
Un libro del 1970, Skieur de l’Impossible (Sciatore dell’impossibile) di Paul Dreyfus, cementò la sua fama. In seguito, Saudan aprì anche un ristorante a Chamonix chiamato, inevitabilmente, “L’Impossible”. Affermò di allenarsi sulla nuda roccia – “Se riesci a sciare sulle rocce, sai sciare su ogni tipo di neve”. Una prodezza replicata nel giorno del suo 50esimo compleanno quando scese dal monte Fuji senza neve (con una tecnica oggi molto usata da uno dei migliori free-rider, Candide Thovex).
Nonostante fosse la prima star mediatizzata dello sci estremo, Saudan continuò a fare la guida e a insegnare, lavorando fin dopo gli 80 anni e insistendo sempre sul fatto che si considerava, prima di tutto, un istruttore di sci. Dopo l’incidente in elicottero nel 2007, disse a un giornalista che corse per incontrarlo nel suo hotel a Srinagar che, lungi dal rinunciare, stava già cercando un elicottero di riserva. “Non è solo per me”, disse. “Organizzo questi viaggi per persone con la passione per queste attività. Sono molto contenti che ci siano idioti come me disposti ad accompagnarli”.
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Traduzione: Zeno Zoccatelli
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