1991: la Svizzera e la prima guerra del Golfo
La crisi irachena all'inizio degli anni Novanta rappresentò sotto certi aspetti una cesura per la politica estera elvetica.
Per la prima volta la neutrale Svizzera adottò integralmente sanzioni economiche decise dall’ONU.
La guerra del Golfo, seguita all’invasione irachena del Kuwait, fu il primo conflitto internazionale successivo alla caduta del Muro di Berlino e alla fine della Guerra fredda.
Nella nuova costellazione internazionale, segnata dal ruolo egemonico degli Stati Uniti e dallo sviluppo di una diplomazia multilaterale, anche la Svizzera si trovò costretta ad adattare la sua neutralità ad un contesto diverso da quello a cui si era generalmente orientata (ossia il conflitto classico tra stati nazionali).
Le reazioni all’invasione del Kuwait
Immediatamente dopo l’ingresso dell’esercito iracheno in Kuwait, il 2 agosto 1990, il Consiglio di sicurezza dell’ONU condannò l’invasione, chiedendo il ritiro delle truppe di Bagdad.
Anche la Svizzera reagì subito, esprimendo parole di condanna per l’azione militare del regime di Saddam Hussein e ordinando una particolare sorveglianza sui beni kuwaitiani depositati in Svizzera. Il governo elvetico rinunciò invece a formulare un’esplicita dichiarazione di neutralità.
Le sanzioni contro l’Iraq
Pochi giorni dopo, il 6 agosto, l’ONU decretò, con la risoluzione 661, il boicottaggio economico e finanziario di Iraq e Kuwait. La Svizzera, non ancora membro a tutti gli effetti delle Nazioni Unite, decise il giorno successivo di applicare autonomamente le sanzioni.
Una decisione, quella del governo elvetico, che rappresentava una novità nel quadro dell’interpretazione del diritto di neutralità nel secondo dopoguerra.
In precedenza, la Svizzera si era limitata a reagire a sanzioni internazionali congelando le proprie relazioni economiche con i paesi colpiti da misure di boicottaggio (la prassi di “courant normal”, applicata p. es. nei confronti della Rodesia nel 1966) o fissando un tetto massimo delle esportazioni (nel caso delle sanzioni contro il Sudafrica nel 1977).
Tra continuità e cesura
Entrambi i casi dimostrano che la Svizzera era propensa ad un’interpretazione pragmatica della propria neutralità. “In questo senso – scrive il giurista André Schaller in uno studio dedicato alle sanzioni contro il regime di Bagdad – la partecipazione de facto della Svizzera alle misure dell’ONU contro l’Iraq era nel segno della continuità.”
D’altro canto, ammette ancora Schaller, la reazione elvetica rappresentò una svolta: “Per la prima volta la Svizzera partecipava apertamente e pienamente a misure economiche decise dall’ONU.”
“Il governo si rese conto – osserva la politologa Aviva R. Schnur in un saggio sui processi decisionali dell’amministrazione federale – che la costellazione nel Consiglio di sicurezza dell’ONU e la situazione politica generale dopo la fine della Guerra fredda permettevano, e anzi forse richiedevano, una posizione più decisa della Svizzera di fronte a sanzioni economiche.”
La decisione dell’agosto del 1990 avrebbe avuto conseguenze di lunga durata sulla politica di neutralità svizzera. “La politica inaugurata nel 1990 proseguì con le successive sanzioni decretate dal Consiglio di sicurezza dell’ONU”, si legge nel rapporto interdipartimentale sulla neutralità della Svizzera dell’agosto 2000.
Il diritto di sorvolo
Nel dicembre del 1990, un’altra questione mise alla prova l’interpretazione svizzera del diritto di neutralità. Gli USA chiesero al Consiglio federale il permesso di utilizzare lo spazio aereo svizzero per il trasporto di truppe e di munizioni.
Sebbene all’interno dell’amministrazione federale vi fossero anche pareri favorevoli a concedere il diritto di sorvolo, come afferma Aviva Schnur, il governo concesse il sorvolo solo a trasporti di feriti o materiale sanitario.
D’altro canto, la Svizzera vietò l’esportazione di armi verso i paesi nella regione di crisi (Turchia compresa) e concesse la vendita di armi agli Stati con truppe stazionate nella regione del Golfo soltanto se provato che le armi fornite non sarebbero state impiegate nelle azioni militari contro l’Iraq.
Negli anni successivi, in seguito al rapporto del Consiglio federale sulla neutralità (novembre 1993), si è instaurata la prassi di concedere il sorvolo in caso di missioni di pace basate su una risoluzione dell’ONU.
Così la Svizzera non ha concesso il proprio spazio aereo per l’intervento NATO in Jugoslavia nel 1999, ma lo ha fatto per le missioni SFOR in Bosnia (1995) e KFOR in Kossovo (1999).
Il vertice Baker-Aziz a Ginevra
Durante la prima crisi irachena, la Svizzera cercò anche di percorrere la via di una politica attiva di mediazione fra le parti in conflitto. Verso la fine di dicembre del 1990 lanciò l’idea di un vertice tra rappresentati degli USA e dell’Iraq.
L’idea si concretizzò il 9 gennaio 1991 in un incontro tra l’allora ministro degli esteri iracheno Tarek Aziz (oggi vice primo ministro) e il segretario di Stato americano James Baker. L’incontro non diede però i risultati sperati.
Il 17 gennaio 1991 prese avvio l’operazione Desert Storm, che si concluse il 28 febbraio con la resa senza condizioni dell’Iraq. Salutando la fine del conflitto, il governo elvetico offrì subito la sua assistenza in campo umanitario e ambientale.
swissinfo, Andrea Tognina
2 agosto 1990: l’Iraq invade il Kuwait
6 agosto 1990: sanzioni economiche ONU contro l’Iraq
7 agosto 1990: la Svizzera applica autonomamente le sanzioni ONU
8 agosto 1990: gli Usa annunciano l’invio di truppe nella regione del Golfo
14 novembre 1990: delegazione parlamentare svizzera in Iraq
dicembre 1990: Berna nega agli USA il diritto di usare lo spazio aereo svizzero per voli militari
9 gennaio 1991: incontro a Ginevra tra il ministro degli esteri irachen Tarek Aziz e il Segretario di Stato americano James Baker
17 gennaio 1991: offensiva militare contro l’Iraq (operazione Desert Storm)
28 febbraio 1991: resa del regime di Bagdad
In conformità con gli standard di JTI
Altri sviluppi: SWI swissinfo.ch certificato dalla Journalism Trust Initiative
Potete trovare una panoramica delle discussioni in corso con i nostri giornalisti qui.
Se volete iniziare una discussione su un argomento sollevato in questo articolo o volete segnalare errori fattuali, inviateci un'e-mail all'indirizzo italian@swissinfo.ch.