Bosnia: le fatiche di Carla del Ponte
Dieci anni dopo la guerra in Bosnia, un esperto commenta come si muove Carla del Ponte nelle sue funzioni di procuratrice dell'ONU per i crimini di guerra.
André Liebich, professore di politica e storia all’Istituto universitario degli Alti studi internazionali, sottolinea la difficoltà del mandato della del Ponte di fronte alle esigenze di realpolitik in Bosnia.
Fin dal suo incarico, nell’agosto del 1999, Carla del Ponte sta tentando con tutte le sue forze di portare davanti al Tribunale penale internazionale all’Aja due grandi leader della guerra in Bosnia, sospettati di crimini contro l’umanità: Radovan Karadzic e Ratko Mladic
La sua pazienza sembra però aver raggiunto i limiti il mese scorso, quando, rivolgendosi al Consiglio di sicurezza dell’ONU, ha dichiarato con estrema franchezza che Bosnia, Serbia e l’intera comunità internazionale devono vergognarsi per non aver ancora assicurato alla giustizia i due ricercati.
Karadzic e Mladic sono accusati di aver architettato e pianificato, nel 1995, il massacro di Srebrenica – in cui furono eliminati 8 mila musulmani – e l’assedio di Sarajevo.
Del Ponte non usa mezzi termini nell’affermare che manca la volontà politica tanto presso le autorità locali quanto presso le forze internazionali: si teme che la cattura dei due ricercati destabilizzi il paese.
swissinfo: Carla del Ponte ha ragione?
André Liebich: Ha ragione in parte. Lei sostiene che manca la volontà politica, un’affermazione che può voler dire tante cose. Come, per esempio, che si sappia dove sono nascosti i due ricercati e che nessuno vuole catturarli. Non credo tuttavia che sia il caso.
La verità è che lei non è coinvolta nelle dinamiche politiche e di pacificazione nei paesi con i quali deve trattare. Il suo è il classico comportamento del procuratore, pensarla in questi termini fa dunque parte del suo lavoro. Ci sono però persone che hanno il dovere di prendere in considerazione altri fattori.
swissinfo: Sta facendo un buon lavoro?
A.L.: Come procuratrice la sua missione è di stringere il cerchio attorno ai due colpevoli allo scopo di poterli assicurare quanto prima alla giustizia. Ma la sta portando avanti con un sacco di danni collaterali.
Ricordo che le è già stato tolto il dossier del Ruanda, probabilmente su pressione degli americani, per permettere alla riconciliazione del paese di fare il suo corso.
Del resto Del Ponte non si chiede – perché non è il suo compito – se stanare queste persone e spedirle all’Aja sia, politicamente, la migliore soluzione.
swissinfo: Secondo lei Del Ponte ha ben in mano le redini?
A.L.: Non può fare niente per catturare queste persone. Insomma non può sbarcare nel paese come uno sceriffo, circondata da un gruppo di persone per far rispettare la legge.
Apparentemente non ha molto potere di persuasione. Se così non fosse non si appellerebbe, come invece fa, alle opinioni esterne. O forse, semplicemente, non è il suo stile. Forse non prova neppure a negoziare. Si appella alle opinioni esterne per comprimere e a volte anche umiliare i leader politici.
swissinfo: E’ scoccata l’ora della fine per Del Ponte?
A.L.: Non credo che vi siano statuti sui limiti dei crimini e sul modo con cui vengono formulate le accuse. L’idea che sorregge i tribunali internazionali è la seguente: ci sono dei criminali, vanno catturati e consegnati alla Giustizia. Insomma il copione di un film di cowboy. Ma le cose, fuori da Hollywood, non vanno così.
swissinfo: Secondo lei le origini svizzere di Carla del Ponte giocano un ruolo? La neutralità pesa, in un modo o nell’altro?
A.L.:No. Del resto sulla questione balcanica la Svizzera ha perso ogni ombra di neutralità con le dichiarazioni di Micheline Calmy Rey sulla posizione della Svizzera, favorevole all’indipendenza formale del Kosovo. Non credo che in questa area la neutralità svizzera sia ancora credibile.
Spero davvero che istituzioni come la Croce rossa internazionale possano continuare a godere di autorevolezza e credibilità nella ex Jugoslavia. Tuttavia non credo che la Svizzera sia vista come un attore imparziale e neutrale. Certamente non a Belgrado.
swissinfo: Pensa che la Svizzera debba esercitare maggiori pressioni su altri governi?
A.L.: No. Non penso proprio che i funzionari internazionali debbano sentirsi legati da sentimenti di gratitudine nei confronti dei governi che li hanno nominati o dei paesi da cui provengono.
Sarebbe assolutamente improprio da parte della Svizzera sia schierarsi con Del Ponte, sia schierarsi contro. A livello internazionale lei deve rappresentare uno spirito neutrale e se finisce per criticare la Svizzera, lo dovrà fare nei limiti di ciò che può dire e fare.
Intervista swissinfo, Thomas Stephens
(traduzione e adattamento dall’inglese Françoise Gehring)
11 Luglio 1995: il massacro di Srebrenica. Militari e paramilitari serbi eliminano circa 8 mila musulmani di sesso maschile.
La città era una delle sei zone sicure, protette dalle forze di mantenimento della pace delle Nazioni Unite
Dal 1995 il Tribunale penale internazionale ha messo sotto accusa 14 persone
Carla del Ponte Carla è nata a Lugano il 9 febbraio 1947. Attualmente è procuratore capo del Tribunale Penale Internazionale delle Nazioni Unite.
Dopo avere ottenuto il brevetto di avvocato, si è occupata di inchieste, ha ricoperto la carica di procuratore pubblico a Lugano e di capo della procura federale a Berna.
Nel settembre del 2007, il secondo mandato di quattro anni di Carla del Ponte giungerà a termine e le Nazioni unite dovranno decidere se rinnovarlo per altri quattro anni.
Carla del Ponte è stipendiata dall’ONU, ma il governo svizzero partecipa alle spese per le misure di sicurezza.
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