Ciclismo: doping sempre in fuga
Dopo una serie impressionante di vicende di doping, che hanno portato tra l'altro al forzato abbandono dei protagonisti Alexandre Vinokourov e Michael Rasmussen, il Tour di Francia è di nuovo nell'occhio del ciclone.
Alessandro Donati, uno tra i massimi esperti mondiali nella lotta antidoping, risponde alle domande di swissinfo.
Per il secondo anno consecutivo, il Tour de France è scosso da scandali legati al doping. Dopo Floyd Landis, risultato positivo al testosterone nel 2006, quest’anno è stato la volta del probabile vincitore, Michael Rasmussen, e di uno dei grandi favoriti, il kazako Alexandre Vinokourov.
Quest’ultimo, 33 anni, capitano dell’Astana, è risultato positivo (eterotrasfusione) a un controllo antidoping effettuato in occasione della gara a cronometro da lui vinta sabato ad Albi. In seguito al fatto, l’Astana ha annunciato la decisione di abbandonare la corsa.
Oltre alle imprese dei ciclisti, a fare notizia vi è dunque sempre anche il doping, riesploso pure con i casi – oltre a quelli citati – del tedesco Patrik Sinkewitz della T-Mobile e dell’italiano Christian Molteni di Cofidis.
Per parlare del fenomeno, che puntualmente si ripresenta alle grandi occasioni, abbiamo contattato Alessandro Donati, consulente presso l’Agenzia Mondiale Antidoping (WADA).
swissinfo: Ben prima della conclusione del Tour ha affermato che il vincitore non sarà pulito. Su cosa basa la sua convinzione?
Alessandro Donati: La quasi totalità degli attuali direttori sportivi sono ex corridori che hanno vissuto in pieno le epoche del doping e dunque c’è un’assoluta continuità. Le diverse squadre mantengono poi uno stretto riserbo su ciò che fanno. Ognuno teme che gli avversari continuino, e anzi aumentino, le pratiche di doping e quindi nessuno osa fermarsi.
Inoltre, i ciclisti professionisti che praticano il doping da anni non conoscono nemmeno più i loro limiti reali. Smettere con le sostanze dopanti sarebbe un salto nel buio, fisicamente e psicologicamente.
swissinfo: Alcune televisioni tedesche, così come il quotidiano svizzero Le Nouvelliste, hanno deciso di non coprire più il Tour dopo il caso Sinkewitz. A suo avviso una scelta giusta?
A.D.: Sicuramente. I media che amano il ciclismo devono assumere una posizione precisa. Aggiungo di più: questa scelta è in parte un’autocritica, nel senso che i media si sono resi conto che per troppo tempo hanno amplificato uno spettacolo tanto falso quanto pericoloso.
Se invece fanno un passo indietro, il mondo dello sport è perduto. E i politici, molto sensibili ai media, sono sollecitati a prendere posizione.
Non dobbiamo poi dimenticare che se si oscurano le televisioni il valore commerciale dell’evento diminuisce, ciò che metterebbe una certa pressione sugli sponsor.
Gli sponsor hanno infatti realizzato che lo scandalo doping non comporta forzatamente un danno economico. All’epoca del doping di Ben Johnson (Olimpiadi di Seoul 1988), il suo sponsor, la Diadora, incrementò addirittura le vendite.
swissinfo: Cosa manca alla lotta antidoping per essere più efficace?
A.D.: Alla lotta antidoping è mancata una cosa: il ruolo dei governi e del sistema giudiziario. I leader politici hanno sempre corteggiato lo sport di alto livello e non sono mai intervenuti, delegando al contrario tutto all’apparato sportivo. Esso ha però pensato soltanto a minimizzare il problema doping. Non ha ad esempio mai spiegato il ritardo, di 10-15 anni, che l’antidoping ha accumulato rispetto ai nuovi farmaci.
Sono dell’avviso che bisognerebbe introdurre una sorta di passaporto sanitario digitale, sul quale sono registrati i risultati di periodiche analisi ematiche. Se durante un controllo i parametri fisiologici risultano anomali, l’atleta deve essere fermato fino a che i livelli ritornano alla normalità.
swissinfo: Quale ruolo svolgono i grandi organi, come l’Unione ciclistica internazionale (UCI), il Comitato internazionale olimpico (CIO) o ancora la WADA?
A.D.: L’UCI e il CIO sono troppo condizionati dalla valenza economica dello sport, che ormai ha superato nettamente quella etica. La WADA è invece sulla buona strada, ma è ancora debole siccome la sua veste di organo privato rende difficile il dialogo con i poteri pubblici.
Si è inoltre trovata intrappolata nelle analisi antidoping, come se fossero l’unica soluzione al problema. Ora sta studiando misure alternative, come appunto il passaporto sanitario.
swissinfo: Lei sostiene che come per il riciclaggio di denaro, la Svizzera è stata al centro del commercio mondiale di prodotti dopanti. Ci spieghi meglio…
A.D: Il ruolo della Svizzera è stato importante e molto negativo. In passato, era estremamente facile procurarsi prodotti illegali nelle farmacie elvetiche, che li vendevano senza limite.
Ora nel commercio sono coinvolti soprattutto i paesi dell’Est europeo, assieme a Grecia, Spagna, Olanda e Germania. Alcuni Stati europei – tra cui Francia, Italia e Austria – si sono dotate di leggi penali antidoping. È ora che la Svizzera faccia altrettanto.
swissinfo, intervista di Luigi Jorio
Alessandro Donati, 60 anni, è uno dei maggiori esperti mondiali in materia di lotta al doping.
Ex responsabile delle squadre nazionali italiane di atletica leggera, Donati è salito alla ribalta della cronaca per aver portato alla luce diversi scandali nel mondo dello sport.
Tra questi: il salto in lungo truccato di Giovanni Evangelisti ai Mondiali di Roma del 1987, l’uso sistematico dell’EPO nel ciclismo e il ricorso al doping nel calcio.
In un recente rapporto (vedi link) ha quantificato per la prima volta il mercato nero mondiale dei prodotti dopanti.
Attualmente è consulente presso l’Agenzia mondiale antidoping, creata a Losanna (Vaud) nel 1999.
In un’intervista rilasciata a swissinfo, il presidente della Federazione svizzera di ciclismo Lorenz Schläfli ha dichiarato che certi paesi concedono licenze anche a corridori che fanno uso di sostanze dopanti.
A suo parere, infatti, le federazioni che vogliono sradicare questo fenomeno devono lottare contro gruppi di persone che hanno grandi interessi finanziari nello sport.
Secondo Schläfli è possibile guarire il ciclismo da questa malattia, ma soltanto a condizione di cambiare completamente l’ambiente che lo circonda – medici, direttori sportivi, manager: “dobbiamo essere molto duri (…) e ripartire da zero”.
A tal proposito, i canali televisivi germanici ARD e ZDF e i giornali svizzeri TagesAnzeiger e Le Nouvelliste hanno deciso di interrompere la copertura giornalistica del Tour.
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