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I rifugiati devono poter lavorare

Circa il 60% dei rifugiati ammessi a titolo provvisorio non lavora Keystone Archive

L'accesso al mercato del lavoro deve essere meno restrittivo per i richiedenti l'asilo ammessi a titolo provvisorio in Svizzera.

Secondo il Dipartimento di giustizia e polizia è una misura necessaria per migliorare la loro integrazione, poiché generalmente restano nel paese per un lungo periodo.

Le restrizioni per lavorare alle quali si confrontano i richiedenti l’asilo ammessi a titolo provvisorio devono essere alleggerite.

È quanto sostiene il direttore dell’Ufficio federale delle migrazioni (UFM), Eduard Gnesa, in un’intervista alla «NZZ am Sonntag».

Gnesa rivela che il Dipartimento di giustizia e polizia vuole proporre al Governo di agevolare l’accesso al mercato del lavoro per questa categoria di rifugiati.

Lavoro come fattore d’integrazione

Le leggi svizzere, infatti, sono assai severe: durante i primi tre mesi dopo il loro arrivo in Svizzera, questi rifugiati non hanno diritto d’esercitare un’attività lucrativa. Trascorso tale termine, le autorità cantonali possono sì autorizzarli a cercarsi un lavoro, a patto però che la situazione economica e del mercato del lavoro lo permetta.

A non avere un impiego sono circa il 60% delle 23’000 persone accolte provvisoriamente in Svizzera.

Poiché il 90% di loro resta in Svizzera, «dobbiamo integrarle il meglio possibile», dichiara il direttore dell’UFM.

Nella nuova legge sugli stranieri, il Consiglio degli Stati vuole migliorare le opportunità di lavoro dei richiedenti l’asilo ammessi provvisoriamente. Il testo – ricorda però Gnesa – non entrerà in vigore prima del 2007.

Contatti con il padronato

Il DFGP sta perciò esaminando se queste persone non potrebbero essere equiparate agli stranieri che hanno un permesso di soggiorno annuale o di lunga durata. Il Consiglio federale potrebbe decidere in merito già quest’autunno, indica Gnesa.

Visto che per questi rifugiati non è facile trovare un impiego, la Confederazione sta valutando il da farsi assieme all’Unione padronale svizzera (UPS) e all’Unione svizzera delle arti e mestieri (USAM).

Una delle difficolta sta nel fatto che taluni dovranno lasciare il Paese, ma non è ancora noto quando. «Ciò non è molto attraente per i datori di lavoro», aggiunge Gnesa. La Confederazione presuppone comunque che la maggioranza resterà a lungo in Svizzera.

Meno «falsi» rifugiati

Nell’intervista, il direttore dell’UFM difende inoltre la soppressione dell’aiuto sociale per i richiedenti l’asilo colpiti da una decisione di non entrata in materia (NEM).

Secondo Gnesa, questa misura non ha condotto a un aumento della criminalità, come temevano coloro che si erano opposti al provvedimento.

Circa il 17% degli interessati ha fatto domanda per l’aiuto urgente, i rimanenti sono scomparsi. Stando a Gnesa un terzo di questi ultimi è rientrato in patria, un terzo si è provvisoriamente dato alla clandestinità in Svizzera.

«Grazie al nuovo sistema il 13% dei richiedenti l’asilo è oggi riconosciuto come profugo. Due anni fa lo era il 6,7%». Meno persone vengono in Svizzera per motivi «non legati all’asilo», conclude Gnesa.

swissinfo e agenzie

L’ammissione provvisoria è decisa per i cittadini di alcuni paesi che non possono ottenere l’asilo, ma il cui rimpatrio non è immaginabile.

Il Governo può decidere di abrogare la protezione provvisoria. In tal caso i rifugiati devono ritornare nel loro paese entro un determinato lasso di tempo.

Se dopo cinque anni il Consiglio federale non ha ancora abrogato la protezione provvisoria, le persone bisognose di protezione ottengono un permesso di dimora.

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